Il messaggio complessivo degli scritti di Giovanni e del messaggio evangelico in generale: la figliolanza divina è il risultato dell’azione dello Spirito Santo, che conduce a un’esistenza in cui prevale la purezza (cfr. Salmo 15). Ma cos’è la purezza se non essere amanti della verità e lottare contro ogni ingiustizia. Essere puri significa essere amanti della verità, e la verità è Gesù il Cristo. Egli è scomodo alla società secolare e lo vuole eliminare, come vuole espellere i Cristiani, che sono uniti a Cristo, che determina la figliolanza divina.
ESSERE FIGLI DI DIO COMPORTA UN ESSERE IN DIVENIRE (1° Giov. 3:1-3)
Cosa significa “essere Figli di Dio”?
Se vogliamo usare l’analogia con l’essere figli dei nostri genitori, essi portano lo stampo dei propri genitori, sono chiamati a onorarli, sebbene i figli possano agire in maniera scriteriata, macchiando l’onore dei propri genitori, essendo spesso bistrattati.
Allo stesso modo i Figli di Dio portano lo stampo di Dio, ossia sono rigenerati dallo Spirito Santo, che trasmette Cristo. E’ la nuova nascita (cfr. Giov.3:3): la figliolanza divina non si attua per mezzo della volontà umana, ma per opera di Dio. Il Figlio di Dio è chiamato a guardare il futuro con il Signore, iniziando a vivere la purezza nel momento in cui diviene Cristiano. Si parla di perfezione.
La perfezione degli eretici, che avevano sconvolto il vivere quotidiano dei cristiani delle comunità giovannee, si basava sul raggiungimento di essa in questo tempo, mentre la perfezione cristiana è in divenire: essere Figli di Dio ci rimanda all’essere perfetto in divenire, ossia è il cammino del Cristiano, il viaggio del Cristiano in compagnia di Gesù che ci accompagna fino a quella che sarà la manifestazione piena del Signore e i Cristiani saranno simili a Lui (1° Giov.3:2). La perfezione è di tipo escatologico, ma i Cristiani sono chiamati ad assaporarla “nunc et hic”, “qui e ora” in cammino con Gesù.
Ecco una parola chiave: “speranza”. Cosa significa in termini biblici? La speranza di cui parla l’evangelo riguardante il mistero della Redenzione, non ha il significato che viene attribuita alla parola “speranza, come sentimento umano di aspettativa fiduciosa di eventi, situazioni condizioni future, che possono non accadere, ma richiama alla forte fiducia di promesse divine che tassativamente accadranno. Si può dire che il Cristiano sarà assolutamente puro, quando sarà al cospetto di Dio. La sua purezza è in divenire.
ESSERE FIGLI DI DIO COMPORTA L’ALLONTANAMENTO DAL PECCATO (1° Giov. 3:4-6)
Nei versetti 4-6, Giovanni traccia una contrapposizione con i primi tre versetti. In questi versetti è enfatizzato il cammino in avanti verso la maturità del Cristiano a vivere la purezza, in quelli è vergata la regressione del Cristiano, il quale gioca con il peccato.
La parola greca “anomia”, significa non tanto “contrarietà alla legge”, “illegalità”, quando la condotta riprovevole nei confronti di Dio e contro ogni agire morale. Il peccato è l’iniquità in se stessa.
Il Versetto 5 esplicita la consapevolezza del Cristiano di essere liberato dal peccato per mezzo dell’evento storico della parola che si è incarnata in Cristo. Giovanni si riallaccia ai versetti 1:7-9; e 2:1.
L’affermazione “togliere i peccati” richiama l’immagine plastica e simbolica dell’Agnello di Dio, sacrificato per togliere i peccati del mondo. Guardare a Gesù comporta che il Cristiano non ha più a che fare con il peccato.
Il versetto 6 fa risaltare la libertà in Cristo, che porta a vincere il peccato, ma nello stesso tempo è tracciato l’aspetto negativo di chi vive una pericolosa lassezza morale, mostrando di avere una conoscenza intellettuale di Dio, una conoscenza concettuale della grazia. Chi non conosce Dio è colui che non ama, non ama il proprio fratello, che non ama Dio, è colui che specula intorno al mistero di Dio, è il cristiano nominale, oserei dire il Cristiano senza Cristo. Chi, invece, ha preso seriamente la fede, sebbene egli cada, ha l’umiltà di confessare il suo peccato, sapendo che Cristo è la propiziazione per i peccati commessi dai credenti. Il peccatore del versetto 6 è il religioso che dice e non fa, che viola ripetutamente e sfacciatamente il dettato etico-spirituale dell’Evangelo senza mostrare alcun pentimento, ovvero s’illude di essere graziato, perché la grazia di cui lui si fregia, è grazia a buon mercato, grazia senza pentimento.
ESSERE FIGLI DI DIO COMPORTA LA PRATICA DELLA GIUSTIZIA (1° GIOV. 3:7-10)
Si arriva così all’acme del discorso teologico-parenetico di Giovanni: il criterio di distinzione tra i veri cristiani e quelli presunti è la pratica della giustizia.
Qui echeggia una forte affermazione di Gesù: “Se la vostra giustizia non supera quella degli Scribi e dei Farisei, voi non entrerete nel Regno dei Cieli” (Matteo 5:20). La giustizia è l’agire morale del Cristiano. Vi è una corrispondenza con altre due espressioni precedenti, “santificare se stessi” (v.3), “non pecca”(v.6), “è giusto” (v.7).
I cristiani provano la loro santità e giustizia nell’agire, sapendo che Gesù è santo e giusto. I presunti cristiani, invece, sguazzano nei peccati. Infatti, colui che pratica l’iniquità non conosce Dio, è “Figlio del Diavolo”, il quale è l’artefice del caos morale e spirituale, perché, in fondo, il peccato è caos, disordine, dissociazione, divisione. Gesù stesso usa un linguaggio duro e spietato, accusando i Giudei, che lo rifiutavano, di discendere dal diavolo (Giov. 8:44). Il legame espresso in Giov. 6:70 e 13:2 tra Giuda e il diavolo rivela una rapida demonizzazione dei nemici di Cristo all’interno delle chiese giovannee, vi è un gruppo di oppositori, che viene presentato come stirpe di Satana: il peccatore, che è amico del peccato, è “figlio del diavolo” con il suo agire immorale. Giusti e peccatori si conformano al loro rispettivo modello con il loro agire: coloro che compiono la giustizia sono sulla strada tracciata da Gesù, i peccatori fanno quello che il loro progenitore ha fatto e fa da sempre. E Cristo è venuto per distruggere il peccato e le opere del diavolo (1° Giov. 3:8).
Nel Cristiano dimora il seme di Dio (l’espressione in greco è: “sperma Theou”), che lo rende capace di allontanarsi dal peccato. Al contrario, colui che dice di essere cristiano e non ama suo fratello, dimostra di essere “figlio del diavolo”, perché il diavolo è nemico dell’amore. La rottura con il peccato e la pratica della giustizia si concretizzano nell’amore fattivo verso il fratello della comunità.
Si è di fronte al punto più alto dell’essere cristiano, che lo distingue dai falsi cristiani, che sono mimetizzati nelle comunità cristiane: il praticare la giustizia.
“Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio, che è nei Cieli” (Matteo 7:21).
Paolo Brancè | Notiziecristiane.com
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