Continuare a resistere…

Come è possibile scrivere di speranza oggi? Possiamo vincere il pessimismo, confidando nell’amore di Dio sparso nei nostri cuori. Palermo luccica lontana quando di notte arrivo all’aeroporto conosciuto quando di notte arrivo all’aeroporto conosciuto quando ancora si chiamava Punta Raisi e che ora trovo ristrutturato anche nel nome di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino; sulla strada verso la Foresteria intravedo, a ricordarmi il perché di quell’intitolazione, le due steli gemelle su cui stanno insieme i nomi di chi, più noto o meno, ha condiviso la medesima sorte. Ho con me il computer, come sempre: mi aspetta questo che sto scrivendo, una riflessione sulla speranza – più volte il foglio mi rimbalza bianco dallo schermo, perché dovrei lasciare che la fede che mi è stata donata apra nel mio pensiero una porta che, invece, una buona parte di me non vuole neppure socchiudere, spaventata di trovarvi dietro motivi di disillusione invece che di consolazione. Guai alla nazione peccatrice, popolo carico d’iniquità, razza di malvagi, figli corrotti! Le notizie arrivano incapaci di sovrastare l’eco del mio amato Isaia: mi sembra di vederlo mentre scuote la testa di disapprovazione di fronte a una realtà in cui la ricerca di giustizia abita un capanno abbandonato nei campi, la solidarietà senza giudizio vive in una città assediata dall’interesse solo personale e dalla paura a ribellarsi, e la stessa voglia di combattere non solo per se stessi è soffocata da urla becere o da melliflue rassicurazioni che tutto sta andando esattamente come deve andare, perché è sempre stato così. Difficile compito, dunque, questo di scrivere della speranza, dal microcosmo di tutti i giorni popolato dal pensiero ai molti amici pallidi alla luce fredda del lavoro incerto; dalle barriere dell’indifferenza e soprattutto dal senso di assoluta impotenza personale contro tutto questo e i mille altri guai di ogni giorno: al punto che la mia razionalità sembra ben decisa a non voler seguire il resto di me nel viaggio cominciato quando, non per mia scelta né tanto meno per mio merito, proprio il dovere di rendere conto della speranza in Cristo, luce di questo mondo, è entrato a far parte delle mie personali responsabilità. Tutto questo mi accompagna, mentre comincia il convegno che sono venuta a seguire. Persone impegnate ed entusiaste condividono storie di concreto intervento a fianco di chi soffre per sua colpa o per colpa altrui. Sotto i miei occhi vedo disegnarsi il segno del lavoro testardo, paziente e senza sosta di chi apporta ogni giorno un pugno di terra per colmare il più tremendo dei baratri, il giudizio dato solo per decidere di chi è stata la colpa dimenticando che, invece, ogni ferita può rimarginare solo se i suoi lembi sono, entrambi, curati al punto di farli riavvicinare. Mia figlia, studentessa in Giurisprudenza, prende per due giorni seri appunti sul suo quaderno giallo. Più tardi, in visita per la città, la fotografo mentre legge attenta i messaggi sull’albero davanti alla casa di Falcone – trattengo il respiro in disparte perché per un attimo mi sembra che si stiano parlando, il giudice che lottava contro la vita sbagliata e la giovane che forse non ha ancora chiaro come, ma che sa che vuole anche lei «metterci la faccia» per cercare di cambiare in meglio quel che ci circonda. Domenica, al culto di tre comunità insieme, vedo il germinare del progetto che luccicava negli occhi degli amici quando ancora ci incontravamo in Facoltà a Roma, mentre intorno a me si alzano accompagnate dal vecchio organo voci nere e bianche su note che spesso ho già sentito, ma separate: un coro unito nella danza in cui ieri e oggi sono insieme per costruire un domani davvero comune – anche a prezzo di lasciare qualcosa di sé per accettare il regalo di chi hai di fronte. E mi torna in mente la bella visita al palazzo dove l’Inquisizione destinava al buio e alla disperazione i suoi nemici – da uno dei tanti graffiti, unico mezzo conquistato da uomini prigionieri di altri uomini per vedere la luce e agganciare la speranza, il sorriso dolcissimo di Dio invia una colomba che porta l’annuncio della Parola fattasi carne. Ed è così che mi ritrovo, ora, irresistibilmente oltre le colonne d’Ercole del mio stesso pessimismo, e con tutta me stessa mi rendo conto che parte del dono che non posso non condividere è proprio questo: una speranza che non finisce di resistere, perché l’amore di Dio sparso nei nostri cuori trova sempre modi nuovi per rivelarsi – ed è più forte di ogni nostra paura.

Tratto da riforma.it

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