Come può un paese tanto piccolo e per di più uno dei più poveri al mondo dichiarare di voler distruggere la capitale del suo vicino meridionale e mettersi contro gli USA? O i politici nord coreani sono pazzi – ipotesi che escluderei –, oppure nel complesso lavoro di stendere una cronaca dei fatti sono state offerte errate letture della storia recente. La Corea del nord è un minuscolo pezzo del puzzle mondiale che si incastra in un mare mosso da correnti cinesi, russe e americane. Pechino e Washington sono i protagonisti di un dibattito che però può individuare il dialogo diplomatico come unica soluzione percorribile.
Che cosa è la Corea del nord? Un angolo di mondo enigmatico, conteso da anni, di cui si conosce il limite oltre il quale ci si deve fermare nella scoperta, un limite che blocca ma nello stesso tempo seduce reporter, fotografi, giornalisti, scrittori, appassionati e curiosi. Una palestra di sanguinose partite diplomatiche dove gli arbitri sembrano riesumati dai giochi della Guerra Fredda. La questione è se l’idea di una nazione blindata è reale oppure se è “solo” l’immaginario di come noi vogliamo rappresentarla. La seconda domanda riguarda le minacce di questi giorni: sono ossigeno per le fiamme dello streaming globale oppure davvero la piccola Corea che sta sopra il 38° parallelo può concretamente realizzare ciò che promette? La storia recente in questo caso non è complessa e merita di essere ripercorsa.
Storia e relazioni internazionali. Nel 1945, dopo 35 anni, si è concluso l’assedio nipponico; l’alleato russo ha legittimato Kim-II Sung – nonno dell’attuale leader – a neo condottiero del paese. Il 9 settembre 1948 fu proclamata la Repubblica Popolare Democratica di Corea.
Dal 1950 tre anni di conflitto tra le due Coree: una guerra terribile in cui più volte si giunse a un passo dall’utilizzo di armi atomiche, ma che pure gettò le fondamenta dei pochi ponti che oggi connettono – malamente – nord-sud e queste due parti con i rispettivi alleati internazionali: Russia-Cina e USA. Appena nata la Corea del nord era una creatura leninista-maoista. L’avvento del leader tramutò l’identità in qualcosa di unico, in un paese che si doveva fondare su un’esacerbata autosufficienza “Juche”, negli anni poi affiancata da un’intensa militarizzazione. Fobie, minacce, terrore di nemici esterni ed interni sono stati i propulsori di quel culto della personalità che fin dal primo giorno dei Kim ha incarnato corpo e anima di questo stato.
Il nucleare. 1993-2013: 20 anni fra apertura e dialogo. Questo ventennio si può scandire in tre fasi: il missile Rodong che nel 1993 finì nel mare nipponico, il ritiro coreano dal TNP (Trattato di non proliferazione nucleare) nel 2003 e infine le minacce alla sicurezza globale di questi giorni (dopo un anno di dialogo conflittuale dove Pyongyang ha assunto un ruolo via via sempre più determinato nella crisi nucleare).
Un battibecco diplomatico ha tessuto le vesti militari che oggi scaldano la forza – apparente e per molti debole – del “Brillante compagno” Kim-Jong Un. Richieste e promesse hanno ritmato la retorica americana e coreana, ma nessuna canzone ha portato una o l’altra a particolari successi.
Pechino e Washington. Una crisi Coreana che preannuncia un cambio nei rapporti fra Est e Ovest o è solo una palestra per pindarici voli geopolitici?
Se fino a qualche anno fa la situazione era chiara e immobile, da un anno a questa parte anche in Cina le opinioni dei Think Tank si diversificano: chi da buon veterano sostiene Pyongyang, chi invece favorisce un avvicinamento americano, dunque anche nipponico. Il 12 febbraio scorso dopo il terzo test nucleare le sanzioni ONU sono state siglate da un’unione sino-americana.
il paese di Kim III è, per la Cina, essenzialmente l’argine per contenere l’amico-nemico americano, un’eventuale collasso nella penisola metterebbe a rischio il controllo sui territori: sul confine settentrionale la mano di Washington toccherebbe quella di Pechino. Uno schiaffo sul lato geopolitico, ma non violento quanto lo sarebbe sul lato umanitario (profughi nord coreani in fuga verso territori cinesi).
La Cina invita a mantenere la calma e lancia messaggi al mondo chiaramente indirizzati a limitare le volontà dell’amico coreano. Dall’altra parte l’America dovrà esporsi sulla questione e – forse – dovrà iniziare a farlo abbandonando la politica del laisse passe – come su diritti umani o Tibet –. La paura cinese è quella di perdere il cuscino coreano che le ha permesso di fare sogni tranquilli e quella americana è un dubbio: aprire la mano del potere per lasciarne parte in dono alla Cina o resistere rischiando futuri rapporti conflittuali con l’altra parte della sua stessa medaglia?
Non conosciamo la Corea del nord e avere paura è giustificato ma fino a un certo punto.
Conosciamo invece chi siamo noi ed è da qui che dovremmo iniziare nella comprensione del presente che corre.
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