Prometeo è il personaggio mitologico che fu severamente punito per aver rubato il fuoco agli dei. Ma gli “scienziati” moderni non temono le punizioni divine e vogliono farsi dei in modo sempre più sfacciato.
C’è infatti una grossa spinta nel mondo accademico per rimuovere il limite di 14 giorni per la sperimentazione sugli embrioni – che sono bambini, teniamolo sempre a mente.
L’Autorità per la fecondazione umana e l’embriologia inglese (HFEA) ha condotto un sondaggio da cui risulta che il 97% degli intervistati non è favorevole al “progresso”.
Nonostante ciò, nonostante che l’art.18 della Convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e la biomedicina vieti “la creazione di embrioni umani a fini di ricerca”, l’ente, finanziato dai contribuenti, continua a fare pressioni sul governo per estendere il suddetto limite fino a 4 settimane, per poter modificare la normativa esistente con regolamenti amministrativi, quindi senza passare per il Parlamento, con procedure più snelle e meno garantite, e per la creazione di una banca di piccoletti congelati che saranno così pronti ad essere usati al bisogno.
Molti paesi come Germania, Italia e Austria non consentono affatto la ricerca sugli embrioni.
Basti pensare che intorno ai 22 giorni inizia a formarsi il sistema nervoso centrale e dopo 28 giorni il cuore ha iniziato a battere, il cervello ha iniziato a svilupparsi così come gli occhi, le orecchie e il naso del bambino.
Il problema di fondo è che ai bambini nel grembo non è riconosciuto il basilare diritto alla vita. Una volta legalizzato l’aborto, per quale motivo quei piccoletti dovrebbero essere “tutelati” dopo 14 giorni di esistenza? Dal momento del concepimento non c’è alcun salto, alcuna discontinuità, nell’essenza del bambino. Gli scienziati distinguono tra zigote, morula, blastocisti, embrione, feto: ma la dura realtà è che si tratta fin dall’inizio di un essere umano unico e irripetibile. Un figlio di qualcuno. Un bambino.
Se non ci liberiamo dagli artifici della neolingua, se non ricominciamo a chiamare le cose con il loro nome, se non ci impegniamo a promuovere il riconoscimento della reale pari dignità di ogni essere umano, che è persona fin dal concepimento, i limiti e le “tutele” sono inesorabilmente destinati a cadere.
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