Export di armi: un bilancio delle attività della “strana maggioranza”

A pochi giorni dal voto può essere utile fare un bilancio delle attività degli ultimi due governi in una materia che, purtroppo, raramente entra nel dibattito politico ed elettorale anche perché tocca diversi e forti interessi trasversali, ma che riguarda la sicurezza comune e la costruzione della pace. E’ la questione delle esportazioni di armamenti. Un business in costante crescita e che, stando ai dati ufficiali delle ultime relazioni governative, vede l’Italia al secondo posto in Europa preceduta solo dalla Francia: anche se quasi nessuno se n’è accorto, lo spread con la Germania in questo delicato campo è infatti a “nostro” favore.
Un’attenta ricostruzione dei dati contenuti nelle Relazioni annuali dell’Unione europea, mostra che nell’ultimo quinquennio la Francia ha autorizzato esportazioni di armamenti per oltre 56 miliardi di euro, l’Italia per quasi 26,7 miliardi, la Germania per poco più di 25,5 miliardi, il Regno Unito per 17,5 miliardi e la Spagna per 13,3 miliardi. Le cifre sulle consegne effettive di armamenti sono alquanto carenti sia perché le Relazioni ufficiali dell’UE degli ultimi anni non riportano (e non si capisce il motivo visto che è un impegno che i governi si sono presi da oltre dieci anni) i dati di vari paesi membri, tra cui appunto Germania e Regno Unito, sia perché le cifre che l’Italia ha inviato a Bruxelles sono quanto mai al ribasso rispetto a quelle inviate al nostro Parlamento. Considerando i rapporti nazionali, l’Italia mantiene comunque il secondo posto anche per le consegne di armamenti: sempre nell’ultimo quinquennio, la Francia ha esportato armi per oltre 18,7 miliardi di euro, l’Italia per quasi 10,7 miliardi e la Germania per poco meno di 7,7 miliardi. Il giro d’affari, come si vede, è consistente. Tra i maggiori acquirenti di sistemi militari prodotti dalle aziende europee figurano i regimi autoritari della penisola araba, le economie emergenti del subcontinente indiano, i paesi del Medio oriente e anche quelli dell’Africa settentrionale (per i dettagli si veda qui). La concorrenza tra le industrie militari dei paesi membri è alquanto aspra e da diversi anni tutte le aziende del settore militare con sede in Europa focalizzano la propria attenzione sui mercati d’esportazione nei quali dispongono – come nota un documento europeo di un “notevole margine di manovra” grazie anche all’incoraggiamento da parte dei rispettivi governi. Anche degli ultimi due governi del nostro paese.
L’ultimo governo Berlusconi si è distinto per due elementi: il forte impulso all’esportazione di armamenti verso nazioni al di fuori delle tradizionali alleanze del nostro paese (Ue e Nato) e per la sottrazione di rilevanti informazioni dalla Relazione annuale presentata al Parlamento. Soffermandoci sul primo elemento va ricordato che, mentre nel triennio 2006-8 oltre il 62% delle autorizzazioni all’esportazione di materiali militari italiani era stata diretta ai paesi alleati della Nato e dell’Unione europea, nell’ultimo triennio il rapporto si è invertito e, con il 61% del totale, sono stati i paesi al fuori delle alleanze Nato/Ue i principali destinatari di armamenti italiani. Nell’ultimo anno del suo governo, Berlusconi ha autorizzato consistenti forniture di sistemi militari a governi dittatoriali e a regimi autoritari: dall’Algeria (primo acquirente nel 2011 con oltre 477 milioni di euro di forniture autorizzate), all’Egitto nel pieno delle rivolte che hanno scardinato il rais Mubarak, fino alla dittatura monopartitica del Turkmenistan e al regime autoritario del Gabon. Si tratta di esportazioni di armamenti che contrastano fortemente con il dettato della legge 185 del 1990 che regolamenta la materia, ma sulle quali, a parte la Rete italiana per il disarmo e la Tavola della pace, ben pochi parlamentari hanno chiesto le dovute spiegazioni. In mancanza della Relazione annuale – che ci auguriamo sarà inviata alle Camere nei tempi previsti e cioè a fine marzo – non è possibile fare un esame dettagliato di tutte le esportazioni militari autorizzate dal governo Monti: ma alcune informazioni ci sono già e mostrano una preoccupante continuità dell’attività autorizzatoria del “governo tecnico” col precedente governo. Va segnalato, innanzitutto, il chiaro sostegno e il via libera del governo Monti al contratto per la fornitura a Israele di 30 velivoli addestratori M-346 della Alenia Aermacchi, un’azienda di Finmeccanica. Un contratto sul quale il presidente Monti si è pronunciato a favore a più riprese: durante la sua visita in Israele, nella conferenza stampa col premier israeliano Benyamin Netanyahu, Monti dichiarava infatti “l’intenzione del governo di finalizzare al più presto i dettagli del contratto” aggiungendo che esso “consentirà un salto di qualità nei rapporti tra i due Paesi”. Di fatto l’accordo per circa un miliardo di dollari per la vendita di aerei addestratori M-346 per i piloti dei caccia d’attacco F-35 (che Israele ha intenzione di acquisire dalla Lockheed Martin) in cambio dell’acquisto da parte dell’Italia di un pacchetto da un miliardo di euro di velivoli senza pilota e altro materiale bellico rappresenta “un salto di qualità” sia perché negli ultimi 20 anni le esportazioni di armi dall’Italia verso Israele erano state quanto mai contenute, sia – soprattutto – per le implicazioni sulla politica mediorientale del nostro paese. Tra i contratti autorizzati nel 2012 dal governo Monti figurano inoltre quello per la fornitura all’Oman di 12 velivoli Eurofighter, con la Marina militare delle Filippine per la vendita di tre velivoli leggeri lanciamissili AW109 “Power”, con la Royal Thai Army per due elicotteri militari da trasporto truppe AW139 e diversi contratti di Selex Galileo per il radar Grifo e il velivolo senza pilota Falco per destinatari non reperibili.
Ma è soprattutto nel campo dell’informazione e della trasparenza che il governo Monti ha segnato gravi mancanze. Il governo Berlusconi come primo atto formale del suo mandato ha fatto sparire dalla Relazione governativa il voluminoso allegato che dettagliava tutte le singole operazioni autorizzate alle banche per servizi riguardanti le esportazioni di armamenti. Si tratta di un elenco presente nella Relazioni fin dai governi Andreotti di fondamentale importanza per tutti gli attivisti della Campagna di pressione alle “banche armate” per poter verificare l’attendibilità delle direttive emanate da diverse banche italiane e estere negli anni recenti. E proprio per questo è un elenco quanto mai scomodo: nonostante le reiterate richieste delle associazioni, la Relazione presentata dal governo Monti al parlamento lo scorso maggio lo vedeva ancora mancante. Ma non solo. Nel Rapporto del Presidente del Consiglio Mario Monti mancavano anche altre tabelle che negli ultimi anni, documentando i valori e le tipologie dei sistemi militari autorizzati verso i singoli paesi e i paesi nei quali si riscontrano “gravi violazioni dei diritti umani”, fornivano informazioni preziose per il controllo e la trasparenza sulle politiche di esportazione militare.
Anche nella comunicazione all’Unione europea il “governo dei tecnici” ha confuso (al ribasso) le cifre sulle effettive esportazioni di armamenti: nell’ultima Relazione dell’UE, infatti, risultano esportazioni dall’Italia di sistemi militari per soli 1.022 milioni di euro mentre nella Relazione consegnata al Parlamento italiano queste operazioni superano i 2.664 milioni di euro. La Rete italiana per il disarmo, dopo aver emesso un comunicato, ha inviato agli uffici competenti del governo una richiesta formale di chiarimento, ma a un mese esatto non è pervenuta alcuna risposta.
Almeno, il 22 giugno scorso con il Decreto legislativo n. 105, il governo Monti ha modificato la legge 185/1990 sul controllo dell’esportazione dei materiali di armamento. La modifica si era resa necessaria per recepire la Direttiva europea 2009/43/CE che “semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all’interno delle Comunità di prodotti per la difesa”. Come nota Emilio Emmolo in un approfondito studio curato per Archivio Disarmo (al quale rimando) “è la prima volta che il legislatore interviene attraverso lo strumento del decreto legislativo per modificare la disciplina del commercio di armi. In particolare, la legge delega approvata dal Parlamento conteneva una serie di indirizzi molto generici, lasciando sostanzialmente ampia discrezionalità al Governo”. Le associazioni della Rete Disarmo e della Tavola della pace avevano ripetutamente denunciato i vari tentativi di manipolazione della legge da parte del governo Berlusconi: grazie alla costante attività di monitoraggio e di pressione delle associazioni il decreto legislativo emanato dal governo Monti, pur con diverse sostanziali modifiche alla legge, si è sostanzialmente limitato a recepire le direttive europee.

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