Fontamara di Ignazio Silone

“…Il povero figlio mio che non era nato per la proprietà, voleva ad ogni costo diventare proprietario. Egli che non aveva mai saputo stare su una sedia, voleva mettere casa. Egli che non aveva mai tollerato le ingiustizie, egli che era nato per gli amici, voleva farsi soltanto i fatti suoi.”

“…La prima notizia deve riguardare, sarete tutti d’accordo, questo: Hanno ammazzato Berardo Viola”. 

Scarpone fu d’accordo, ma propose un’aggiunta:

“Hanno ammazzato Berardo Viola, che fare?”

“c’è nel titolo che fare?” osservò Michele.

“Non basta” rispose Scarpone. ” Bisogna ripeterlo. Se non si ripete, il titolo non vale nulla. Anzi è meglio levarlo. Che fare? Bisogna ripeterlo in ogni articolo. “Ci ha tolta l’acqua, che fare? Capite? “Il prete si rifiuta di seppellire i nostri morti, che fare?” In nome della legge violano le nostre donne, che fare?” ” Don Circostanza è una carogna, che fare?”. Allora tutti capimmo l’idea di Scarpone e fummo d’accordo con lui.

Passò in quel momento un carrettiere di Manaforno, che veniva dalla direzione di Fossa.

“Eh, Fontamaresi, ci gridò, senza arrestarsi” a Fontamara c’è la guerra.

Noi continuammo ad andare avanti.

“La guerra? Perché la guerra?” ci chiedevamo tra noi…

“…Ma che succede a Fontamara?” gridavo io dietro Pasquale Cipolla. “Perché tutti questi spari?”.

“E’ la guerra, è la guerra” rispose Cipolla. “La guerra contro i cafoni, contro il giornale”.

“E gli altri cosa fanno?” domandai.

“Chi ha potuto si è salvato. Chi ha potuto è scappato” rispose Cipolla senza fermarsi.

“Scarpone è scappato?” Domandò mio figlio.

“Pace all’anima sua” rispose Cipolla facendosi il segno della croce.

Venerdì Santo è scappato?

“Pace all’anima sua” rispose Cipolla ripetendo il segno della croce.

“E Pilato?” domandai.

“Ha preso la via della montagna”.

“E Michele Zompa?”

“Ha preso la via della montagna”.

“E il generale Baldissera?”.

“pace all’anima sua”.

“E chi altro è morto?”

Da lontano sentimmo uno scalpitìo di cavalli venire verso di noi. Potevano essere i carabinieri di Pescina che accorrevano a Fontamara.

Ci buttammo perciò in mezzo ai campi. Nell’oscurità perdemmo di vista Pasquale Cipolla.

Né avemmo più notizie di lui.

Né abbiamo avuto più notizie degli altri. Di quelli che morirono e di quelli che si salvarono. Né della nostra casa. Né della terra.

Adesso stiamo qui.

Per mezzo del Solito Sconosciuto, col suo aiuto, siamo arrivati qui, all’estero. Ma è chiaro che non possiamo restarvi.

Che fare?

Dopo tante pene e tanti lutti, tante lacrime e tante piaghe, tanto odio, tante ingiustizie e tanta disperazione, che fare? (1)

Ignazio Silone è uno scrittore di strada del XX secolo, vissuto a cavallo tra la Prima e la Seconda guerra Mondiale. Nato nel 1900 a Pescina dei Marsi (Aquila), è colpito da un grave lutto (perdette i genitori e 5 fratelli nel terremoto del 1915, salvandosi solo lui e il fratello Romolo). Costretto ad abbandonare gli studi liceali visse nella parte più malfamata del suo paese frequentando la baracca della Lega dei Contadini. Amante della giustizia, Silone acquisisce una coscienza nutrita dai valori universali di libertà dell’uomo dalla miseria e di lotta contro ogni forma di sopruso e di vessazione del potere costituito che era rappresentato nella sua epoca dal regime fascista. Nel 1917 scrive all”Avanti”, giornale socialista, denunciando l’appropriazione indebita dei fondi destinati ai terremotati. Partecipa a Lione alla fondazione del Partito Comunista nel 1921, dal quale in seguito prende le distanze per la politica repressiva del Comunismo russo. Entra nel Partito socialista, dirigendo “l’Avanti” e attivandosi per la fusione del Psi e del PSU. Tuttavia, le delusioni politiche lo costringono al ritiro di ogni militanza politica istituzionale (famosa è la sua frase “Socialista senza partito e cristiano senza Chiesa”). Silone fu scrittore, giornalista e saggista, scrivendo saggi sulle origini del Fascismo, ritenuti dagli storici documenti preziosi per la ricostruzione storica della nascita del Fascismo e soprattutto, romanzi in cui i temi sociali di giustizia, di libertà si fondono con i temi etico-cristiani di uguaglianza e lealtà, come Fontamara (1930), Il Seme sotto la neve (1941), Una Manciata di more (1952), Il Segreto di Luca (1956), La Volpe e le Camelie (1960), Uscita di Sicurezza (1965) e L’Avventuta di un Povero Cristiano (1968). Silone muore a Ginevra nel 1978.

“Fontamara” è considerato da una buona parte dei critici il suo capolavoro, sebbene i più siano convinti che sia “L’avventura di un povero Cristiano”, è stato redatto nel 1930 e pubblicato a Zurigo nel 1933. Ignorato in Italia per un ventennio, il romanzo ha avuto un successo europeo. Narra la storia della classe contadina offesa nella sua dignità do soffrire una atavica miseria e di subire vessazioni e gli abusi del potere costituito.

E’ un nome fittizio, scelto dall’autore, per definire geograficamente “un antico e oscuro luogo di poveri contadini, situato nella Marsica, a settentrione del prosciugato lago Fucino, all’interno di una valle, a mezza costa tra le colline e la montagna (2)

Questo paese, in cui gli abitanti ereditano da padre in figlio la miseria, diventa il simbolo ideologico dei “cafoni”, che vivono l’eterna lotta contro il potere costituito, rivendicando coraggiosamente il diritto inalienabile a godere delle conquiste sociali, economiche e tecnologiche di ogni essere umano. Senza subire prevaricazioni e e ingiustizie da chi detiene e abusa del potere istituzionalizzato.

Così Fontamara è il luogo ideale di ogni offeso che inizia a ribellarsi e formarsi una coscienza sociale liberata da ataviche rassegnazioni. I Fontamaresi, che sono i cafoni di ogni parte della terra,i Fellahin, i Coolies, i Peones, i Mugic, gridando coralmente ed energicamente, rifiutano la fissazione della loro condizione sociale e rivendicano una vita socialmente dignitosa e integrata, denunciando gli abusi e le oppressioni della cosiddetta “società degli integrati”.

Berardo Viola è il cafone che si erge a portavoce di questa protesta, il quale senza retorica rivendica per sé e per i suoi amici, giustizia ed equa distribuzione dei beni, valori cristiani che non possono essere annullati da una società che formalmente si definisce cristiana. La sua morte scuote le coscienze, pungolando i Fontamaresi per organizzarsi per una lotta coesa, dura e animata dalla speranza che possono farcela. Già ribellarsi e provarci è una vittoria: i Fontamaresi raccolgono l’eredità della fede nella giustizia, attraverso la frase finale del romanzo, “Che fare”?.

(1) Ignazio Silone- Fontamara – Mondadori ed Oscar Classici,Mi, 1988, pagg.164-166

(2) Ignazio Silone – Op Cit. – pag. 3

Paolo Brancè | Notiziecristiane.com

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