
Nella biografia certamente romanzata di Marylin si narra una storia di sfruttamento da parte dell’industria hollywoodiana, fino al punto di costringere la ragazza ad abortire.
E c’è una scena in cui la Monroe “parla” con un bambino non ancora nato che le chiede: «Non mi farai del male questa volta?».
La Planned Parenthood ha tacciato il film di propaganda anti-aborto; molti si sono scatenati nel dire che non è vero questo o quello.
Che la suddetta vicenda nella vita della Monroe sia veramente accaduta noi non lo sappiamo.
Ma che questo tipo di sfruttamento sia qualcosa di reale ad Hollywood, invece, è un dato reale.
Ne hanno parlato apertamente l’attrice e cantante Judy Garland (Il mago di Oz), Dorothy Dandridge (Carmen Jones), e Jane Russell (Gli uomini preferiscono le bionde, con la stessa Merylin Monroe).
E, nonostante la spessa coltre di silenzio omertoso calata dal pensiero unico pesudo-femminista abortista e politicamente corretto, è un dato reale incontrovertibile che l’aborto volontario porti dietro a sé un grande malessere psico-fisico nelle madri che hanno ucciso il proprio figlio. Magari non subito. Magari dopo decenni. Ma presto o tardi l’istinto materno si ribella alla violenza che la donna stessa si è auto-inferta.
E se il lutto non viene elaborato, se la realtà del male non viene affrontata e superata, la psiche della madre del bambino morto può risultarne devastata,
Questo è un fatto reale, a prescindere da quello che viene narrato in qualsiasi film.
P.S: Perché “pseudo” femminista? Perché una vera femminista (come le prime suffraggette vissute a cavallo della fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento) non può essere abortista: l’aborto legale uccide un figlio e ferisce la madre: serve solo al maschio e allo Stato per esimersi dalla responsabilità di sostenere una donna che si trova a dover affrontare una gravidanza imprevista o indesiderata.
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