I ragazzi di Lampedusa a Castel Volturno

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090525-N-4774B-032di Paolo Naso
“Avevamo il 50% di possibilità di sopravvivere e il 50% di morire. Abbiamo rischiato e ce l’abbiamo fatta. Siamo qui, in Italia”. Ci parla così un ragazzo nigeriano incontrato nel centro Caritas – Fernandes di Castel Volturno (CE), uno dei tanti luoghi di accoglienza che in questi giorni stanno ospitando gli “immigrati di Lampedusa”. Molti di loro, in realtà, l’isola non l’hanno mai vista perché sono stati soccorsi dai mezzi di Mare Nostrum prima di raggiungerla, ma quella era la loro meta, il luogo simbolo della loro salvezza.

Questo ragazzo che ha meno di vent’anni è qui con una ventina di suoi compagni di viaggio, tutti nigeriani, tutti giovanissimi, tutti vestiti con la stessa maglietta acquistata in stock al mercato dai responsabili del centro di accoglienza.

“Quando i militari ci hanno intercettato e accolto sulla nave pensai che stavano per arrestarci – racconta un altro dei ragazzi – e ancora oggi non ci credo che invece sono libero”.

“Sì, io ce l’ho fatta – racconta un altro – ma due miei fratelli sono morti prima di riuscire a imbarcarsi. Ieri però sono riuscito a telefonare a mia madre per dirle che ero vivo”.

“Partire di nuovo? No, per me va bene restare in Italia, dice un altro, in controtendenza rispetto a tanti altri migranti che invece hanno l’obiettivo di ricongiungersi con i loro parenti in Svezia, in Germania o in Olanda.

Parlano a ruota libera, i “ragazzi di Lampedusa” come per liberarsi di un macigno che si portano dentro. Parlano ma i loro occhi sono stanchi. Sono stati recuperati in mare, hanno passato giorni e giorni su una nave e poi sono sbarcati a Taranto da dove sono poi stati trasferiti, casualmente, a Castel Volturno. Sono ancora troppo stanchi per mettere il naso fuori dal centro che li ospita ma quando avranno forza e voglia di uscire scopriranno di essere finiti in una delle cittadine più “nigeriane” d’Italia. Vedranno uomini e donne che parlano la loro lingua, mangiano il loro cibo e pregano come loro. Non lo avrebbero mai immaginato. Sono tutti cristiani, per metà cattolici per metà evangelici in maggioranza pentecostali ma ci sono anche battisti, metodisti ed anglicani. C’è anche un testimone di Geova ma nel gioco turpe della strumentalizzazione religiosa nell’Africa occidentale la cosa non fa alcuna differenza. È un cristiano come gli altri, perseguitato come gli altri nelle zone in cui i fondamentalisti di Boko Haram distruggono le chiese e uccidono chi le frequenta. Così come in altre zone la violenza è a parti inverse. E’ la logica brutale del dente per dente.

Uscendo dal centro Fernandes a Castel Volturno questi ragazzi incontreranno connazionali di ogni tipo: lavoratori che si alzano alle 4 del mattino per recarsi alle rotonde dove – forse – saranno reclutati dai caporali a prezzi da schiavi; ambulanti che carichi di merce prendono l’autobus per Napoli; anche prostitute e spacciatori. Ma anche tante persone che si raccolgono nelle decine di chiese evangeliche sorte come funghi lungo la via Domiziana. È sabato, e in una di queste oggi è festa perché si consegnano i diplomi a una cinquantina di persone che per due anni hanno seguito un corso d’italiano. È una chiesa avventista, una casa del Signore in cui oltre che pregare si studia e si cresce socialmente.

I ragazzi di Lampedusa non lo sanno ma la loro integrazione, se mai sarà in Italia e non altrove, inizierà da luoghi come questo.

(nev-notizie evangeliche 26-27/2014)

Tratto da: http://www.nev.it/

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