Il cristocentrismo? Una ideologia religiosa oppure una radicale sfida al sistema religioso?

Nella mia decennale esperienza cristiana evangelica ho avuto modo di percepire o addirittura udire con parole forti e chiare che il Cristocentrismo è quello che unisce le Chiese.

In un certo senso questo è vero: la fede centrale del Cristianesimo è la fede in Cristo. Ci si chiede: cosa significa siffatta forte e corretta affermazione?

La parola nella sua etimologia è formata da due parole “Cristo” e “Centro”, volendo significare che al centro della vita cultuale della Chiesa è Cristo e nella prassi etico-spirituale quotidiana. Ma l’espressione ci rimanda a qualcosa di molto più complesso dal punto di vista biblico-teologico. Cosa sottende a tale espressione? Analizzando il fenomeno religioso e sociale delle Chiese, la centralità di Cristo appartiene alla categoria concettuale retorica dell’essere cristiano. È come dire: io sono siciliano o napoletano o italiano, inglese o americano e giù di seguito. Significa che la mia identità religiosa ruota attorno alla persona, l’opera e insegnamento di Gesù. Tutto questo è corretto e biblicamente ineccepibile. Ma il quesito si pone poi in termini rigorosamente etico-spirituale: si può essere d’accordo sulla dottrina cristologica, si può abbracciare una visione ortodossa della Cristologia, si può comunicare ai cristiani che Cristo solo unisce le chiese, ma in termini pratici cosa significa?

Il Cristocentrismo significa La Signoria e la regalità di Cristo nella vita del cristiano, significa che il Cristiano abdica, rinunciando alla propria sovranità, “divinità”, permettendo l’intronizzazione del Vero Dio. Cosa accade in questo processo di “colpo di Stato”? Accade che il cristiano non è più in controllo della propria vita, facendo prevalere quelle che sono definite le opere della carne (cfr. Gal 5:16-27), ma la sua vita è amministrata dal Signore, che ha dato tutto se stesso perché lui avesse vita in abbondanza. Ciò porta al corollario: Se Cristo ha amato l’uomo dando la Sua vita, allo stesso modo il Cristiano ama Dio, disposto a dare tutto se stesso. Ciò si traduce in termini concreti nella prassi ecclesiale, interecclesiale e sociale, che il Cristiano è libero di amare come Gesù ha amato lui, amare il suo fratello, il suo compagno di umanità e persino il suo nemico. È un amore non idilliaco, né romantico, ma volitivo e circostanziato, cioè si esprime ogni qualvolta il Cristiano è chiamato ad esercitarlo: “…Da questo vi riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri.

E ancora: non c’è amore più grande che quello di dare la propria vita per i suoi amici. E ancora, Cristo è morto quando l’uomo era peccatore. Forse qualcuno può dare la sua vita per uno dabbene, ma nessuno dà la sua vita per il suo nemico, Cristo è morto mentre l’uomo era peccatore. non c’è amore più grande che quello di sacrificarsi per il proprio nemico. Questo è l’Amore eccezionale del nostro Signore, ineguagliabile, né inimitabile, perché è quell’Amore esclusivo, salvifico, che appartiene al progetto salvifico di Dio. Ma insegna una lezione di vita ai cristiani: Il Cristiano è chiamato ad amare in maniera contro-culturale, amare il non amabile, il detestabile. Ma amare non annulla la Giustizia, perché l’amore è amore anche per la Giustizia: “l’Amore non gode dell’ingiustizia ma gioisce con la Verità”. Grazia e legge, giustizia e amore e sono categorie fortemente cristocentriche.

Allora siamo arrivati al punto cruciale del Cristocentrismo: Cristo sta al centro della vita cristiana, come il Cristiano sta al centro del progetto salvifico di Dio. Non ci può essere Cristocentrismo nella Chiesa/e se non c’è nella Chiesa/e una espressione cristocentrica dell’amore.

Un Cristocentrismo retorico e ideologico equivale a una mercificazione della grazia.

Paolo brancè | Notiziecristiane.com

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