Il giorno in cui il mondo disse no alla guerra

Roma (NEV), 16 febbraio 2023 – “Le manifestazioni contro la guerra di questo fine settimana ci dicono che sul pianeta potrebbero essere rimaste due super potenze: gli Stati Uniti e l’opinione pubblica mondiale”. Così il New York Times descriveva l’onda di 110 milioni di persone che il 15 febbraio del 2003 scese in strada in tutto il mondo, secondo il proprio fuso orario, per manifestare contro l’imminente guerra in Iraq. “Una superpotenza di cui il mondo ha ancora bisogno”, ha detto Alfio Nicotra, co-presidente dell’associazione “Un ponte per”, in apertura del convegno “Disertare la terza guerra mondiale a pezzi” – tenutosi a Roma presso la chiesa metodista di via XX Settembre per iniziativa di “Un ponte per ” e la “Rete pace e disarmo” – che a vent’anni esatti ha voluto ricordare quelle manifestazioni per provare a riflettere sul presente.

“Allora il movimento pacifista si trovò in connessione con la maggioranza della popolazione mondiale, proponendo un’analisi condivisa della realtà e un chiaro rifiuto della guerra”, ha ricordato Chris Nineham, di Stop the War Coalition, in collegamento video da Londra. Un contesto molto diverso da quello attuale in cui “l’analisi sulla guerra in Ucraina è controversa e non c’è la coscienza che l’Occidente stia perseguendo una politica di guerra spacciata per lotta di liberazione”.

“Le manifestazioni del 2003 non impedirono la guerra, ma di sicuro la frenarono. I governi erano coscienti di essere sotto la lente dell’opinione pubblica”, ha sottolineato Piero Bernocchi portavoce dei COBAS, richiamando il ruolo cruciale svolto dal Primo Social forum europeo tenutosi a Firenze nel 2002, dal quale nacque l’idea di una giornata mondiale di mobilitazione contro l’intervento in Iraq.

Se quell’esperienza fu ricca di frutti, la rete che la sostenne oggi è dispersa per la crisi economica che ha cambiato le agende delle opinioni pubbliche, l’assuefazione a due decenni di guerre permanenti, ma anche per la difficoltà di individuare un chiaro antagonista a cui opporsi: “Nel 2003 la potenza a cui opporsi era chiara: gli Stati Uniti; mentre c’è da dire che l’antimperialismo e l’ostilità alla guerra hanno sempre funzionato meno quando a condurre le guerre erano l’URSS o la Russia”. In realtà, ha sottolineato ancora Bernocchi, “oggi i ‘cattivi’ sono moltissimi” perché il mondo è disseminato di conflitti regionali che possono essere avvertiti come distanti, ma tutti potenzialmente in grado di generare un effetto a catena e far scoppiare un conflitto mondiale.

Sul cessate il fuoco in Ucraina, Bernocchi non si fa illusioni: “Finirà quando gli Stati uniti decideranno di non poter più sostenere un appoggio militare all’Ucraina così oneroso. A quel punto, la sfida sarà definire un accordo negoziale che non umili l’Ucraina e non premi la Russia, distinguendo gli aggrediti dagli aggressori”.

Anche secondo Raffaella Bolini, responsabile delle Relazioni internazionali dell’ARCI, “il mondo di oggi non può essere interpretato con le vecchie visioni”, bisogna saperlo rileggere. In questo, tuttavia, “l’esperienza di vent’anni fa può ancora insegnare molto. Prima di tutto la capacità di non soccombere alla narrazione dominante, ma decostruirla”. Nel 2003 significava per esempio resistere al richiamo di chi “identificava nell’islam il nemico”; oggi, può essere nell’affermare che in “Ucraina non si deve cercare la vittoria ma la pace”.

Compito del movimento pacifista, allora come oggi, è, secondo Bolini, “stare dalla parte delle vittime e del diritto internazionale, non dalla parte dei governi” e promuovere una “sicurezza comune condivisa: solo quando il mio nemico si sente al sicuro, sono al sicuro anch’io”.

Molti i contributi internazionali che hanno proposto punti di vista diversi sulla guerra in Ucraina: la statunitense Phyllis Bennis, dell’Institute for Political Studies, ha ricordato i gravissimi costi collaterali della guerra: la crisi alimentare in diverse parti del mondo, il drastico recedere delle politiche ambientali, la crisi energetica che provoca un maggior uso di carburanti fossili, il pericolo di un conflitto nucleare. Sono conseguenze che devono avere un peso nel considerare il conflitto in Ucraina.

Dal Sudamerica Edgardo Lander, del Transnational Institute e Global Dialogue, ha invitato a distinguere la guerra guerreggiata in Ucraina, la cui responsabilità cade sulla Russia, dalla guerra geopolitica globale condotta dagli USA nel confronto con la Cina di cui anche il conflitto in Ucraina è parte.

L’iracheno Ismaeel Daewood, della Iraqi Civil Society Solidarity Initiative, ha portato la sua testimoniazna sulle conseguenze di lungo termine della guerra in Iraq. In collegamento video, Alexander Belik, del Movimento russo obiettori di coscienza, ha raccontato di come le autorità russe non rispettino il diritto all’obiezione di coscienza e reprimano le “manifestazioni del dolore” tenute per le vittime della guerra.

Sono inoltre intervenuti Marga Ferrè, Tranform Europa; Moussa Thangari, Alternative Espace Citoyens; Ada Donno, Associazione donne regione mediterranea; Emanuele Genovese, Fridays for Future;  Parisa Nazari, attivista iraniana; Sergio Bassoli, Europe for Peace. Ha moderato l’incontro Fabio Alberti, Un ponte per.

L’incontro si è svolto presso la chiesa metodista di via XX Settembre a Roma, a nome della quale ha portato un saluto la pastora Mirella Manocchio.

https://www.nev.it/nev/2023/02/16/il-giorno-in-cui-il-mondo-disse-no-alla-guerra/

Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook