“Il manifesto di una rivoluzione non ancora completata”

Il diritto del bambino al rispetto, Janusz Korczak, Luni Editrice, 2004, € 9,00

«Gesù, veduto ciò, si indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano da me…» (Mc 10,14).

Secondo un luogo comune molto diffuso Gesù si adirò una sola volta nella sua vita terrena: quando scacciò dal tempio mercanti e cambiavalute.Ma non è esatto. Ed anzi a voler essere precisi nessuno dei racconti evangelici dell’evento usa termini per descrivere lo stato emotivo di Gesù mentre fracassava le gabbie degli animali o sparpagliava a terra il denaro. Al contrario Mc 10,14 descrive in modo inequivocabile lo stato d’animo del Maestro, il suo animo si accende di sdegno contro l’ottuso atteggiamento dei discepoli che si sentono disturbati dalla spensierata irriverenza dei bambini. “Non impedite i bambini” è detto in modo ben diverso da un consiglio, quasi una minaccia: «chiunque non avrà ricevuto il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto» (Mc 10,15).

Janusz Korczak è uno dei tanti pseudonimi di Henrik Goldszmit, ebreo polacco vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900 e morto in un forno crematorio di Treblinka insieme ai duecento bambini dell’orfanatrofio da lui fondato: aveva avuto più volte l’occasione di fuggire nelle settimane precedenti l’arresto, ma si rifiutò di abbandonarli.

Sotto nomi diversi scrisse romanzi, racconti a puntate, testi teatrali ma anche articoli scientifici, divulgativi, inchieste e reportages, curò rubriche radiofoniche, fondò riviste. In tutta la sua vasta opera uno solo è l’argomento ricorrente: il bambino, la sua vita, i suoi diritti, le sue difficoltà, il modo di relazionarsi ad esso da parte del mondo degli adulti.

Il diritto del bambino al rispetto, del 1929 può essere considerato come un manifesto dei diritti del bambino secondo le idee di Korczak.

In realtà al bambino è richiesto, il rispetto, prima di tutto. È egli che deve rispettare i genitori, le autorità, le regole. Ma tutto ciò per il suo bene, dicono gli adulti. Perché il suo stato di minorità è una fase di passaggio, di formazione. Il bambino è un essere umano in fieri, imperfetto, che deve essere modellato per raggiungere un giorno la sua forma completa di adulto.

Il bambino è incapace di giudicare, di distinguere il bene dal male, di capire cosa sia meglio per lui, non sa scegliere, non sa ancora davvero pensare in modo corretto, per tutto questo deve essere diretto, indirizzato sulla retta via dalla mano sapiente dell’adulto, una mano che, se necessario, saprà essere anche pesante. Ma il giusto, però…

Il testo di Korczak si divide in quattro agili capitoli che analizzano questo quadro relazionale, questo rapporto impari tra l’adulto e il bambino. Non rispetto e mancanza di fiducia, è il titolo del primo. Il bambino è piccolo e essere grandi è meglio, e questo assioma viene ripetuto e ripresentato ad ogni momento dagli adulti, legittima la disparità relazionale. Un lavaggio del cervello che con l’andare degli anni legittimerà il piccolo un poco cresciuto a far valere il proprio status di grande (anche se solo di pochi anni) su quelli a lui inferiori. Inoltre il bambino è debole, è facile sottometterlo sul piano fisico, costringerlo a fare, a non fare, a non toccare, a non parlare. Sbatacchiato, strattonato, obbligato, ne viene con il tempo domata la volontà di reagire, la dignità. Non faremmo mai le stesse cose ad un adulto, abbiano piena coscienza di quanto ciò sarebbe umiliante (o le faremmo con il preciso intento di umiliarlo); mai però ci coglie il sospetto che l’animo del bambino possa sentirsi umiliato dalla nostra prepotenza. Ma è per il suo bene, ci diciamo, perché cresca bene. Però, dice Korczak, la nostra sollecitudine per ciò che sarà è direttamente proporzionale alla mancanza di rispetto per ciò che è. E, aggiunge, solo di fronte a Dio il fiore del melo ha lo stesso valore della mela matura, non nella nostra logica “commerciale”.

Il bambino è il più povero di tutti gli esseri, tutto quanto ha lo deve alla nostra generosità, alla nostra condiscendenza, al nostro affaticarci per lui; di conseguenza ci aspettiamo la sua completa sottomissione e che lasci a noi il compito di amministrare le sue cose, il suo cibo, i suoi giochi, i suoi vestiti. Perfino un mendicante può gestire quanto riceve in elemosina, il bambino non ha questo diritto.

Il secondo capitolo affronta una questione difficile da dire: Il risentimento. Tutto il nostro affaccendarci per la crescita del bambino, per non fargli mancare nulla, per nutrirlo, curarlo, proteggerlo, costa moltissime energie e libertà, come ogni genitore scopre a proprie spese. Cosa si ottiene in cambio? Notti insonni, preoccupazioni, capricci, imprevedibilità, mille piccoli crucci che si accumulano nell’animo e diventano, senza che abbiamo il coraggio di ammetterlo, risentimento. Ogni genitore onesto sa di aver provato un istante di sadico piacere nel gesto brusco della punizione, dopo tanta sopportazione di un comportamento ribelle del figlio. L’ebbrezza della forza.

Il bambino non è quello che volevamo che fosse, prende strade autonome, delude le nostre aspettative, tradisce i nostri sforzi. Ma quante volte il suo comportamento è solo la conseguenza di nostri errori che non ci conviene riconoscere, che lui pagherà, forse nella sua vita futura, ma che di sicuro paga al presente, punito per le colpe di un adulto.

Anche il nostro amore, spesso, è solo un amore mercenario, non puro, nel quale ci rifugiamo dalle nostre private frustrazioni, caricando “impunemente”, dice Korczak, le piccole spalle di bambini del peso dei nostri dolori. Altre volte è ricatto, pretendiamo di essere “pagati” in tenerezza per gli sforzi che facciamo per mandarli avanti.

Il diritto al rispetto, titola il terzo capitolo. “Una vita tanto per ridere non esiste”, dice Korczak, l’infanzia sono anni fondamentali, determinanti, anche, della vita di un essere umano; meritano rispetto. “Il bambino non è un imbecille: non ci sono più imbecilli tra loro che tra noi”, affermazione di una evidenza incontestabile, ma che non rientra nella nostra considerazione dell’età dell’infanzia. Crescere non è facile, imparare le regole di un mondo disegnato a misura degli adulti, nel quale tutte le caratteristiche tipiche dell’infanzia, la spensieratezza, la voglia di sognare, la fiducia cieca, sono disvalori. Crescere è faticoso, ci sono fallimenti, rallentamenti, perdita di coraggio. Il bambino merita tutto il nostro rispetto per lo sforzo che compie per adeguarsi al mondo che noi abbiamo disegnato per lui, senza consultarlo. Merita tutto il nostro rispetto per tutta la sua ostinata voglia di conoscere. Merita tutto il nostro rispetto per le sue cadute durante il percorso, le sue lacrime; e invece le disprezziamo, ci piace insistere sul fatto che altri bambini non piangono per certe piccolezze, senza renderci conto di star umiliando chi andrebbe invece incoraggiato, consolato, perdonato, magari anche.

Il diritto del bambino ad essere così com’è, recita il titolo dell’ultimo capitolo. Perché intanto e prima di tutto, il bambino è degno di rispetto al presente, per la sua unicità e il suo modo di essere al mondo nel presente, non soltanto per l’adulto che diventerà. Usiamo, verso noi stessi e le nostre mancanze, grande indulgenza, ci perdoniamo molte cose, molte altre ce le sopportiamo. Non facciamo lo stesso verso i bambini, sempre attenti, invece, a far loro notare ogni errore, a correggere, punire, modellare. Tutta la nostra sollecitudine è “una volgare truffa”. Ci preoccupiamo anche poco e male di dare il buon esempio. Quanti bambini si portano ferite inguaribili provocate dagli adulti… un bambino che porta a casa il cattivo esempio ricevuto da un adulto per strada, o a scuola, non merita di essere punito, deve essere aiutato a lavarsi dal male che lo ha sporcato.

In realtà i bambini hanno un mondo interiore che spesso neanche sospettiamo, sanno contemplare, hanno un senso della giustizia estremamente vivo, “il loro disgusto per l’ipocrisia è forse un resto di santità”.

Per molti, troppi cristiani, il discorso di Janusz Korczak è incomprensibile, anzi, dannoso. Amano rifarsi, fuori contesto, ai tanti detti sulla correzione dei Proverbi, sanno che la verga serve ad estirpare il peccato che si annida in ognuno dei figli di Adamo. Disciplina. A questo, ad esempio, servono le scuole domenicali nelle nostre chiese.

Nella pratica, però, si tratta di modi per allontanare da noi i bambini che con la loro turbolenza disturberebbero l’ordine dei nostri culti. Nella pratica non si fa alcuna attenzione nel valutare, formare i monitori, che potranno essere semplicemente ragazze da coinvolgere in un qualche servizio (e la scarsa considerazione che, nella pratica, ha questo servizio, è testimoniata proprio dal numero di persone di sesso femminile che vi sono coinvolte, vista la visione fortemente androcratica del servizio a Dio che ancora ci contraddistingue).

Giuliana Limiti, nella prefazione all’opera di Korczak dice che esso “è il manifesto di una rivoluzione non ancora completata”. Di sicuro il fanciullo ha ricevuto una sempre maggiore attenzione in termini di protezione dei suoi diritti nell’ultimo secolo. Ma siamo ancora lontani. Si tratta ancora e soltanto della benevola liberalità del mondo degli adulti verso un’umanità ancora considerata inferiore, incompleta.

Si tratta, per noi cristiani, di prendere sul serio le parole di Gesù sui bambini, di liberarci dalla ipocrita e disonesta interpretazione secondo la quale il fanciullo è modello solo per la sua capacità di ubbidire ciecamente, attraverso la quale manipoliamo le coscienze dei fedeli alla sottomissione acritica. Si tratta di considerare che la nostra vita di adulti ha accumulato pesantezze, sconfitte, diffidenze, rancori e da esse la mano saggia di Cristo ci può liberare. Soltanto dopo aver ricevuto leggerezza e freschezza e capacità di aprirci al futuro, potremo ricevere il regno di Dio, accoglierlo con la semplicità che in qualche modo ci è testimoniata dalla vita dei bambini.

Perché, per usare le parole di Korczak, nel mondo di Dio il fiore del melo non vale meno della mela matura, né il grano verde meno della spiga pronta da mietere e anzi, in quanto a bellezza, stando a tante parole di Gesù, sono i fiori, i teneri e verdi steli non colti, a procurare piacere maggiore.

Daniele Mangiola, DiRS-GBU

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