La campagna di Survival International per fermare i “safari umani” nelle Isole Andamane, in India, ha segnato un’importante vittoria almeno sulla carta: la Corte Suprema in gennaio ha deciso di proibire definitivamente ai turisti di viaggiare lungo la Andaman Trunk Road, la strada che passa attraverso la riserva indigena del popolo Jarawa, un piccolo popolo autoctono di 403 persone sopravvissute alla globalizzazione in quel serbatoio di biodiversità che è questo scampolo di territorio indiano nel golfo del Bengala. La decisione replica però una sentenza inascoltata del 2002 e un’ordinanza restrittiva del luglio 2012 che imponeva una zona cuscinetto di cinque chilometri attorno alla riserva per bloccare lo sfruttamento della tribù da parte dei turisti e tour operator senza scrupoli che hanno continuato i loro “safari umani” sotto il benevolo occhio della polizia locale, mettendo a rischio non solo la dignità, ma anche l’incolumità di questo popolo. La zona dove vivono è, infatti, teoricamente, tutelata e la polizia dovrebbe vigilare sull’osservanza dei numerosi divieti, tra cui quello di fare foto e riprese video. Ma 200 euro sono una somma sufficiente a chiudere un occhio e dare una mano ai turisti desiderosi di provare ad amici e parenti di essere davvero stati lì, tra i “selvaggi”.
Cosa cambia ora? Non tanto anche se “Questo nuovo ordine temporaneo è sicuramente positivo – ha dichiarato Stephen Corry, direttore generale di Survival – ma rimarrà fine a se stesso se la Corte Suprema permetterà ancora alle autorità andamanesi di aggirare platealmente, ancora una volta, le sue decisioni. È di vitale importanza che questa ordinanza sia rispettata e sia messa fine ai safari umani perché decidere se, come e dove degli estranei possono attraversare le loro terre spetta solo agli Jarawa”. La campagna lanciata da Survival per ottenere la chiusura della strada che attraversa la riserva indigena dura ormai da anni. Nel 2010 Survival aveva denunciato, per la prima volta a livello internazionale, i tour operator che trattano gli Jarawa come animali e insieme all’organizzazione andamanese Search, aveva chiesto ai turisti più responsabili di boicottare la strada anche per motivi sanitari: nel 1999 e nel 2006 gli Jarawa erano stati colpiti da un’epidemia di morbillo una malattia che, a seguito del contatto con persone estranee alla tribù, ha rischiato di cancellargli dalla faccia della Terra. Nonostante il rischio di genocidio, per il turista senza scrupoli tutto è sempre possibile grazie all’organizzazione messa a punto da alcune agenzie turistiche di Port Blair, capitale delle Andamane. C’è un prezzo per l’affitto delle jeep e un “sovrapprezzo per la mancia” indispensabile a far sì che il tour sia un successo dal punto di vista fotografico. Soddisfatti o rimborsati, promettono gli organizzatori.
Il problema ha però conquistato le prime pagine dei giornali a livello mondiale solo un anno fa, quando in gennaio il britannico The Guardian pubblicò un video in cui si vedeva una donna jarawa costretta a danzare per divertire e ricevere cibo da alcuni turisti. La realtà raccontata dal video ricorda di più i visitatori, particolarmente indisciplinati, di uno zoo con foto a raffica, biscotti e banane lanciate ai nativi. “Una storia che puzza di colonialismo e di degradanti retaggi del passato” aveva commentato Corry, sottolineando come “evidentemente l’atteggiamento di alcuni individui verso i popoli tribali non è cambiato di una virgola negli anni, se c’è ancora chi considera gli Jarawa animali da circo costretti a ballare su richiesta”. Da allora Survival ha accusato il governo locale delle Andamane di “grave e continuo oltraggio alla Corte” per le “flagranti e continue violazioni delle sue sentenze”, e lo scorso mese ha chiesto alla Corte Suprema di intervenire nuovamente attraverso una lettera (.pdf) inviata al tribunale, corredata dalle foto che dimostrano il continuo ed indisturbato passaggio di turisti attraverso la riserva, incuranti della zona cuscinetto creata lo scorso luglio.
“Se rispettata, la zona cuscinetto ridurrebbe in modo significativo il numero dei turisti nella foresta degli Jarawa, privando i tour operator di scuse per attraversare l’area” ha spiegato Survival.
Tuttavia, a più sei mesi dall’ordinanza restrittiva, i vulcani di fango e le grotte calcaree, due attrazioni raggiungibili attraversando la riserva Jarawa, sono ancora aperti a dispetto dell’esplicito ordine della Corte Suprema e centinaia di turisti continuano a viaggiare attraverso l’area ogni giorno, “per dare occasionalmente un’occhiata anche agli Jarawa”. Ecco perché questa nuova sentenza arrivata proprio a fine gennaio, durante l’alta stagione del turismo nelle isole Andamane, ha un’importanza doppia per Survival International e per gli Jarawa.
Se ancora una volta (e sarebbe la terza in 10 anni) la Andaman Trunk Road non sarà definitivamente chiusa allora “La Corte Suprema sarà costretta a prendere una posizione verso un’amministrazione che ha ignorato ripetutamente la sua giurisdizione consentendo lo sfacciato sfruttamento di una delle tribù più vulnerabili e indifese del mondo” ha concluso Survival. Solo lo scorso marzo, infatti, un alto funzionario di polizia, la seconda carica più alta delle Andamane, è stato sorpreso a compiere un esclusivo “safari umano” tra gli Jarawa nonostante fosse stato affidato proprio a lui l’incarico di proteggere la tribù e porre fine al suo scandaloso sfruttamento turistico.
Se così non sarà in pochi anni finirà la vita di una tribù che, secondo gli antropologi, si era conservata intatta fin dai tempi remoti delle prime migrazioni dall’Africa vivendo fino ad oggi di caccia, miele selvatico e frutta. “La civilizzazione forzata per loro significa il genocidio”, ha avvertito Anstice Justin, a capo dell’Anthropological Survey of India mentre Survival International spera in questa definitiva sentenza per fermare un allarme che ormai è emergenza. Se i pullman continueranno ad arrivare dipende ora dalla legge indiana e dal grado di responsabilità del turista.
Alessandro Graziadei da Unimondo
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