Dopo secoli di esilio e persecuzioni, viviamo in una delle migliori epoche della storia ebraica – grazie a Israele e alla democrazia.
Spesso mio nonno, un sopravvissuto alla Shoà originario della Polonia, dice che stiamo vivendo il periodo migliore che gli ebrei abbiano mai sperimentato nella loro lunga storia. A molti questa affermazione può sembrare un bel po’ forzata. Israele si trova ad affrontare una minaccia nucleare da parte dell’Iran, la costante minaccia del terrorismo e la frattura interna fra laici e religiosi; l’assimilazione è in allarmante aumento nelle comunità ebraiche del Nord America, mentre dilagano i sentimenti anti-israeliani in molti campus universitari e sulla scena internazionale, giusto per citare alcuni dei nostri problemi.
Davvero tutto questo può essere descritto come l’epoca migliore nella storia ebraica?
Noi ebrei preoccupati spesso ci dimentichiamo di ricordare il mezzo bicchiere pieno. Mettiamo le cose in prospettiva. Settant’anni fa eravamo un popolo indifeso e disperso senza una sede centrale. Fummo gettati nelle camere a gas a milioni: un ebreo ogni tre venne assassinato. Non avevamo nessun posto dove andare, mentre gran parte dei paesi del mondo sprangava i cancelli davanti a noi, persino paesi come il Canada dove un anonimo responsabile dell’immigrazione, alla domanda quanti ebrei sarebbero stati ammessi nel paese dopo la guerra, diede la sciagurata risposta: “Nessuno è già troppo”.
«Mai più accadrà che in tutto il mondo non vi sia un posto dove gli ebrei possano andare a rifugiarsi»
Abbiamo fatto molta strada in questi 70 anni. Per la prima volta dopo duemila anni abbiamo di nuovo uno Stato ebraico indipendente nella Terra di Israele. Per la prima volta la “caccia all’ebreo” non è più una spensierata pratica impunita. Non solo il popolo ebraico dispone di un esercito per difendersi, ma il suo è anche uno dei migliori eserciti del mondo. Mai più accadrà che in tutto il mondo non vi sia un posto dove gli ebrei possano andare a rifugiarsi in caso di necessità.
Circa la metà dell’ebraismo mondiale vive oggi nello Stato ebraico, parla la lingua ebraica, celebra le feste ebraiche (che sia religioso o meno) e difende la patria ebraica. Programmi come MASA e Birthright Israel si adoperano per portare ogni anno in Israele migliaia di ebrei non israeliani per conoscerne la realtà e confrontarsi con il proprio patrimonio culturale e la propria identità. Mai nella storia ebraica così tanti non ebrei hanno espresso il desiderio di diventare ebrei, e mai come oggi l’ebraismo è stato così accessibile e conoscibile attraverso internet, le app ebraiche e altre tecnologie innovative.
Anche se l’antisemitismo senza alcun dubbio esiste e persiste in vari segmenti della società, la stragrande maggioranza degli ebrei nella diaspora vive oggi in paesi che proteggono e tutelano i diritti dei loro cittadini ebrei e intrattengono relazioni positive con lo Stato ebraico. Non si può dire che un ebreo in Canada, negli Stati Uniti o in Australia, tanto per fare degli esempi, non goda oggi della libertà di essere pienamente e orgogliosamente ebreo, godendo al contempo delle immense opportunità e dell’eguaglianza di quelle società (e della porta aperta verso qualsiasi campo professionale a cui aspiri: università, governo, medicina ecc.).
«Abbiamo molto di cui essere fieri». Negli ultimi anni, quando grandi catastrofi naturali si sono abbattute su paesi come Haiti e le Filippine, Israele è stato spesso fra i primi paesi a offrire sul campo quell’aiuto di cui v’era tanto bisogno, mettendo a disposizione la competenza e tecnologia medica che ha sviluppato. Per essere un paese così spesso vittima di risoluzioni dell’Onu unilaterali e faziose, approvate da maggioranze automatiche, vale la pena ricordare che Israele annovera fra i propri principali alleati i paesi più forti e sviluppati e democratici della terra.
Nonostante la campagna globale demonizzante e delegittimante e l’atteggiamento pregiudizialmente negativo di tanti mass-media, Israele e le Forze di Difesa israeliane preservano il loro saldo codice etico attraverso le difficilissime prove che sono costretti ad affrontare e, insieme al resto della popolazione ebraica nel mondo, sperano e pregano ogni giorno per la pace.
Non c’è dubbio che c’è ancora molto lavoro da fare. Ci sono un sacco di cose da migliorare, un sacco di cose da mettere a posto, un sacco di problemi da risolvere. Ma questo non ci impedisce in alcun modo di aprire bene gli occhi e vedere quello che abbiamo. Mio nonno ha ragione. Dopo migliaia di anni di esilio, senza casa, esposti alle discriminazioni, ai pogrom, all’oppressione, persino alla Shoà, non c’è dubbio che oggi viviamo in una delle più belle epoche della storia ebraica.
Ricordo una memorabile conversazione che ebbi in una calda sera di Sukkot del 2008. Ero seduto nella tradizionale sukkà (capanna), a casa di un mio amico di Kiryat Shmonà, chiacchierando con suo fratello che è un chassid marocchino. Dopo una lunga discussione su tutti i problemi e le questioni che Israele deve affrontare, mi rivolsi a lui con la classica frase israeliana “yihiyè tov” (andrà bene). Lui mi guardò con un sorriso sul volto e mi rispose: “tov kvar” – va già bene.
(Da: YnetNews, 19.12.13)
Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook