LA COMMOVENTE E INTENSA LETTERA SCRITTA DOMENICA DA UN’INFERMIERA…

Ciao, lavoro in ospedale, e da cittadina vorrei descrivere una giornata tipo. Una come tante, in questo periodo. Ma non vorrei descrivere quello che stanno passando i media: numeri, statistiche, decreti e divieti. Vorrei farlo visto dal lato del paziente Covid positivo e degli operatori. Il Covid è molto più che un virus subdolo.

Siamo un Paese che sa solo lamentarsi per qualsiasi cosa, mai contenti di nulla. Sembra che la quarantena sia un castigo anziché una protezione per ognuno di noi.

È un sabato mattina di una settimana di allerta Covid-19. Finalmente un giorno di riposo dopo tanto lavoro. Finalmente puoi dedicarti alla famiglia. Per te la quarantena non esiste, non esiste il divieto ad uscire e non è mai esistito. Tu devi lavorare, sei preziosa dicono. E invece no, niente riposo. Arriva la chiamata. Si deve andare.

Arrivi in ospedale. Ti apre la collega che è li da ieri sera. La vestizione è lunga, ci si deve bardare molto bene e non si possono commettere errori di trascuratezza.

Entri dalla paziente, la conosci e la saluti. Ha un casco sulla testa. Serve per respirare meglio ma non ha molte speranze. La paziente è cosciente, lucida e sa che sta per morire. Parli un po’ con lei.

Non mangia da giorni. Questa mattina chiede due fette biscottate con la marmellata. Ha il diabete ma può mai essere il diabete il suo peggior nemico ora? La accontenti.

Lei ti prende la mano e ti chiede: ”Amore, sei mamma?”. “Si, di due ragazzi”.

“Allora puoi capire cosa sto provando?”.

“Posso provare, ma se vuoi, puoi descrivermelo… ti ascolto”.

“Ho quattro figli e sono sempre stati tanto mammoni. Un rapporto bellissimo, anche perché gli ho fatto da madre e da padre, visto che sono rimasta vedova da giovane. Non ho paura di morire, non vorrei solo soffrire. Un giorno, uno dei miei figli è venuto a trovarmi e non lo hanno più fatto entrare.. Non ho potuto vedere più i nipoti, le nuore, nessuno. Non ho potuto dir loro quanto bene gli voglio”.

“Ma chiamali al telefono e diglielo”.

“Li chiamo ogni giorno, li sento senza poterli più vedere e so che stanno soffrendo perché non possono stare con me fino alla fine”.

Entra il medico, la visita e squilla il telefono, è uno dei figli. La paziente gli dice: “c’è il medico, te lo passo”. Il medico descrive al figlio la situazione. È davvero critica. Alla signora viene detto che dovrà essere intubata presto. Il figlio chiede di poterla vedere per un ultimo, breve saluto. Non è possibile. il Covid non ammette eccezioni. Il medico esce dalla stanza e la signora piange disperata al telefono con il figlio che piange con lei. La signora ha un telefono vecchio, non è anziana, ma nemmeno tecnologica, non posso avvicinare il telefono all’orecchio, ma urlo al figlio: “Radunatevi tutti e quattro, ma proteggetevi con le mascherine. Fatelo prima che potete e poi chiamate in video chiamata questo numero che vi do”.

Gli dici che sarai li per altre dieci ore ma non passa neanche un’ora e la collega dice che dalla borsa sta squillando il tuo telefono. Tu sei sempre vestita e sempre in quella stanza, non sei mai uscita e le chiedi di prendere il cellulare, metterlo in un sacchettino, disinfettarlo e passartelo.

Apri la video-chiamata e tutti e quattro i figli sono lì. La paziente non se lo aspettava ed è felice come una Pasqua e tu con lei. Si parlano un bel po’, si raccontano, si dicono ti amo. Lei è affaticata ma non te la senti di chiedere di chiudere. La chiamata dura circa mezz’ora ed è come se un cerchio si fosse chiuso, quello che doveva essere è stato… lei aveva resistito solo per loro, per vederli e salutarli un’ultima volta. Hai il cuore in mille pezzi.

Pensi a te e ai tuoi figli e comprendi tutto… ogni sua preoccupazione.

Ti prende la mano, ti dice: “grazie, veglierò su di te, per quello che hai fatto”. E fai fatica a non piangere. La paziente si spegne serena. La cospargono di disinfettante, la avvolgono in un lenzuolo e la portano in camera mortuaria in completa solitudine. I suoi effetti personali messi in triplice sacco nero andranno inceneriti e non potranno essere restituiti ai familiari.
È domenica mattina. L’agenzia di pompe funebri è venuta a prendere la salma. Uno solo dei figli è presente, a debita distanza. Non l’ha più vista da quella video chiamata. La saluta da lontano. La sua macchina svolta a destra, la salma va a sinistra… sola. Non ce la fai, è troppo. E se fino ad ora non avevi pianto, ora non ce la fai più.

A casa apri Facebook. Lamentele ovunque. Vi hanno negato la libertà, il bimbo non può andare più al parco, il cane passeggia poco e non si trova più lievito. Quanta ignoranza, quanti pochi problemi ha la gente. A noi ci saranno state anche negate delle cose, dovremmo anche fare sacrifici, ma almeno noi abbiamo ancora la vita e soprattutto la dignità, un diritto che il Covid-19 ti toglie, senza poterti lamentare. Un diario dalla prima linea, quella umana, quella del cuore di una semplice infermiera.

ODETTE (MARIKA)

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