Quando parliamo di nevrosi e di vocazione non possiamo non fare riferimento all’uomo sociale che vive in relazione con i propri simili. Come creatura umana, ognuno nasce e cresce attraverso il segno dell’amore tra due esseri viventi, uomo e donna. Ed è attraverso il loro “intenzionale” gesto di amorevole “unione” che nasce nuova vita; La prole. Possiamo affermare, che il neonato, già prima della nascita è presente nella “intenzione” dei genitori. Sebbene non è pensato come il tipo di neonato con una certa fisionomia e caratteristica, è pensato però come desiderio di nascita. Come a dire che il neonato, nell’intenzione dei coniugi, uniti in matrimonio e orientati al bene comune e della prole, è “chiamato” a esistere. Non una chiamata vocale, s’intende, ma pensata e desiderata dalla natura stessa dell’unione scelta: “Dio benedisse Noè e i suoi figli, e disse loro: «Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra”. (Genesi 9, 1). Così, ognuno è un essere chiamato voluto e desiderato.
Dio crea l’uomo, ed egli comincia a esistere. La sua esistenza prende forma perché Dio lo chiama per nome, ADAMO, gli dà il “TU”. Dio non ha creato l’uomo per un proprio scopo, Dio non soffre di solitudine. Anzi, crea l’uomo e lo colloca sopra i mari e la terra assegnandogli addirittura un compito; quello di governare; e Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». (Genesi 1, 26). E il fatto che quest’uomo abbia ricevuto il compito di «dominare», è un evento significativo per la crescita della personalità in quanto richiede responsabilità, verso se stessi e verso la gratitudine di chi ci ha chiamati sin da prima ad esistere. Similmente al neonato, che investito di un significato, deve trovare nel tempo la propria strada per rendere grazie a chi l’ha pensato prima di esistere onde rispondere al volere dell’amore che lo ha generato. In quest’ottica, ogni vita ha una chiamata che richiede una possibile risposta vocazionale che dia senso e significato al proprio esistere.
La mancanza di “senso” rende l’uomo nevrotico così come conferma lo psichiatra Viktor Frankl: «Le forme di nevrosi di oggi, in molti casi, sono da ricondursi ad una frustrazione esistenziale, ad una mancata realizzazione dell’aspirazione umana verso un’esistenza il più possibile significativa» (Frankl, V 1996, p.13).
È il senso il filo conduttore della nostra esistenza, quel filo che conduce verso un processo di maturazione e di crescita, quel filo che coincide con la ricerca della propria vocazione. E, ogni disciplina che s’interessa dell’uomo, dalla filosofia alla medicina, dalla psicologia alla psicoterapia, deve considerare l’uomo come un progetto teso alla ricerca della propria vocazione. La parola “vocazione” ha molti significati. Generalmente si pensa alla vocazione come un qualcosa che ha a che fare con la scelta religiosa. Diventare sacerdote, diventare frate, seguire una confessione religiosa ecc. … accezione fuorviante, se è esclusivamente intesa in tal senso.
Con il termine vocazione, dal latino vocationem, chiamare attraverso la voce, si indica un movimento del chiamare qualcuno verso qualcosa, un bene, una professione, un oggetto. Ora va da sé che qualora una persona senta dentro di se la “voce”, “la chiamata” deve responsabilmente ricevere risposta. Ma, affinché non ci sia confusione di astrattismo terminologico, la chiamata è da intendersi come sensazione, percezione, intuizione, predisposizione che ci attira verso…. E la risposta alla propria percezione deve essere autentica e attinente a ciò che si sente come predisposizione d’animo. Come psicoterapeuta, diverse volte ho constatato che le persone ad un certo punto della vita si sono dovute confrontare con le proprie scelte fatte. Persone all’apice di una buona carriera professionale si lamentano, sono insoddisfatte e in crisi. Ebbene, quando la professione non appaga, benché sia di un certo prestigio, significa che la scelta fatta non è quella della propria vocazione. Una scelta non autentica nel tempo si paga a caro prezzo esistenziale; con un senso di insignificanza alla vita. Un peso, un fardello che influisce e inficia la dinamica relazionale sociale e personale. Ci si chiede allora, quale sia l’antidoto di una scelta di vita che non risponde alla propria vocazione? L’antidoto è ricercare dentro di sé, nel presente, quegli avvenimenti ed eventi carichi di significati e di valori. Perché l’uomo che non segue la propria vocazione non è autentico, non è genuino né spontaneamente libero. E la natura dell’uomo è essere libero. Nella libertà ognuno diventa se stesso, attualizza la propria vocazione ed è autentico. Chi non si sente libero e autentico nella vita diventa un perdente, e un perdente è uno che non riesce a reagire con autenticità (James M – Jongeward D, 2005 p. 19).
Il perdente è uno che confonde il “ruolo” assunto con il proprio essere. S’immagini l’uomo sacerdote. Questi può vivere la propria dimensione di uomo attraverso il “ruolo sacerdotale” senza, però, considerare il valore e il significato connesso “all’essere sacerdote”. Allo stesso modo, un uomo, padre di famiglia, può vivere la propria dimensione di uomo attraverso il “ruolo di padre”, senza considerare il valore “dell’essere padre”. Si può attivare a tirare avanti la famiglia e i figli dal punto di vista economico e sociale, ma può trascurare la dimensione dell’accoglienza, dell’ascolto, della responsabilità affettiva ed emotiva, ecc. … In questo modo anche la famiglia finisce per assumere funzione di “ruolo sociale” anziché essere vissuta come un valore. Con questi presupposti si determina, nel tempo, la nevrosi da “mancanza di senso” definita dallo psichiatra Frankl “nevrosi noogena” (Frankl, 2001 p.41),.
Così l’uomo nevrotico, l’uomo frustrato, l’uomo costantemente insofferente, l’uomo che ha perso la propria vocazione, circoscrive e delimita i confini dell’Io, si rende schiavo di se stesso occultando inconsapevolmente il significato della propria esistenza. Concentrandosi troppo su se stesso, il nevrotico perde di vista il guardare avanti, e diventa infelice. Ma la felicità è un processo di crescita che comporta aspetti di “crisi” e “cambiamento”. Le “crisi” ci spaventano perché esse richiedono il coraggio di ascoltare la propria voce, la propria chiamata, la propria vocazione alla vita. L’uomo di oggi, disabituato ad affrontare le sfide, si lascia passivamente assorbire da schemi precostituiti di pensiero, in regole d’azione preconfezionate; credendo di vivere, si annulla negli altri e sceglie o quello che gli altri gli dicono di fare o quello che gli altri fanno. Così l’infelicità è assicurata per la mancata vocazione alla vita.
Bibliografia
JAMES M.- JONGEWORD D. (2005), Nati per Vincere, San Paolo, Milano.
FRANKL V.E. (1996), Alla ricerca di un significato della vita. Per una psicoterapia riumanizzata, Milano, Mursia, 3ª ed.
FRANKL V. E. (2001), Logoterapia e analisi esistenziale, Morcelliana, Brescia.
Pasquale Riccardi | Notiziecristiane.com
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