La persecuzione ai cristiani non fa più notizia

Mentre le strade degli Stati tradizionalmente meno democratici si riempiono di manifestanti [1] e persino in Italia c’è chi invoca un governo militare [2], una persecuzione continua a non fare notizia.

È quella contro i cristiani che lo scoppio della pandemia e la sua cronicizzazione endemica ha reso ancora più energica in diverse parti del mondo: in molti Paesi, infatti, i cristiani affrontano le stesse sfide del resto della popolazione, ma vengono discriminati anche nella distribuzione degli aiuti sanitari.

Non solo, ma continuano ad essere tanti e poco conosciuti i casi di oppressione e maltrattamento a motivo della fede religiosa: lo scorso mese di giugno, ad esempio, nel Sud-Ovest del Bangladesh una ex-musulmana di 37 anni è stata cacciata di casa dopo aver accettato la “buona notizia” ed essersi convertita al cristianesimo. Il marito, «un musulmano devoto, preso da un momento di ira, ha cominciato a colpirla ferendola e ordinandole di non andare più in chiesa e di smettere di studiare la Bibbia. Ma Rubina* […] ha iniziato a frequentare la comunità cristiana di nascosto fino a quando il marito, venutone a conoscenza, ha deciso di divorziare cacciandola da casa insieme a Shalma*, la loro figlia di 18 anni. Nemmeno i suoi genitori le hanno dato un aiuto» [3].

Il 7 luglio, in Algeria, nelle città di Orano, Ain el Turk e El Ayaida, sono state chiuse definitivamente tre chiese dopo l’ordinanza di un tribunale locale: ciò ha portato a 16 il numero complessivo dei luoghi di culto interdetti ai fedeli cristiani nel Paese. Non si tratta di un fulmine a ciel sereno, bensì della risultante di una politica di contrasto al cristianesimo in atto da tempo: «le autorità algerine avevano iniziato a lavorare per giungere a tale conclusione già da novembre 2017, ponendo l’obbligo, per ogni luogo di culto non musulmano, di effettuare una procedura speciale per ottenere i permessi di operare. Nonostante avessero avviato da tempo tale richiesta, le 3 chiese in questione non avevano mai ricevuto risposta» [4].

Quelli citati sono solo due esempi di Paesi nei quali le condizioni di vita dei cristiani sono tutt’altro che facili e inversamente proporzionali a quanto se ne occupi l’opinione pubblica del mainstreamingSolo nell’anno in corso: sono più di 340 milioni i cristiani in luoghi nei quali subiscono alti livelli di persecuzione e di discriminazione; 4.761 sono stati uccisi per la loro fede; ben 4.488 le chiese e altri edifici cristiani che hanno subito attacchi di vario tipo; 4.277 credenti sono stati indagati e senza un regolare processo e arrestati, condannati o incarcerati.

Lo riporta la World Watch List 2021 di Open Doors, una ONG che monitora, dal 2002, l’intolleranza anticristiana nei Paesi del “villaggio globale” misurandone i livelli rispetto gli ambiti in cui l’ostracismo si declina: nella vita privata, familiare, comunitaria, civile e ecclesiale. E che stila anche una vera e propria classifica degli Stati che si “distinguono” in tal senso: al primo posto  da vent’anni  c’è la Corea del Nord, al secondo l’Afghanistan, al terzo la Somalia. Livelli di violenza, tutt’altro che irrilevanti, si registrano poi in Libia, Pakistan, Eritrea, Yemen, Iran, Nigeria [5] e India.

Questa, de facto, la Top Ten della persecuzione a motivo della fede che colpisce in questi contesti ogni confessione che si rifà alla Sacra Bibbia. Dall’elenco appare evidente che la maggior parte degli Stati sia prevalentemente di religione islamica: anche scorrendo la classifica si evidenzia quanto in Paesi come la già citata Algeria ‒ al 24esimo posto ‒ la situazione sia tutt’altro che incoraggiante. Giova infatti ricordare che, in molti Stati afroasiatici, siano in vigore una serie leggi che regolamentano il culto non musulmano proibendo qualsiasi iniziativa che possa «scuotere la fede di un musulmano» o essere utilizzata come «mezzo di seduzione con l’intenzione di convertire un musulmano a un’altra religione» [6].

Fatto sta che nel 2021, rispetto all’anno precedente, si è registrato un preoccupante aumento del 60% del numero dei cristiani uccisi a causa della loro fede: più di 9 su 10 del totale globale di 4.761 decessi, sono accaduti in Africa [7].

Ma non sono solo i Paesi a prevalenza islamica a rappresentare un pericolo per la popolazione cristiana: al primo posto della classifica c’è, infatti, la Corea del Nord e la Cina è rientrata nella Top 20 dopo circa vent’anni salendo in soli tre anni di 26 posizioni. Una vera e propria escalation anticristiana che sta riportando la Cina ai tempi di Mao Zedong quando fu necessario il Progetto Perla per introdurre nel Paese, via nave, un milione di Bibbie in un’epica operazione notturna condotta da Paul Estabrooks il 18 giugno 1981 [8].

In Corea del Nord, oggi, l’unico culto ammesso è quello per l’attuale leader Kim Jong-un. Nella patria del comunismo più ortodosso, essere scoperti cristiani è una condanna a morte: «se non vieni ucciso all’istante, verrai portato in un campo di lavoro come criminale politico. Queste prigioni disumane hanno condizioni orribili e pochi credenti ne escono vivi. Tutti nella tua famiglia condivideranno la stessa punizione. Si dice che Kim Jong-un abbia ampliato il sistema dei campi di prigionia, in cui attualmente sono imprigionati circa 50-70.000 cristiani» [9].

La maggior parte dei cristiani non può incontrare altri credenti. Di conseguenza, si trovano costretti a mantenere la propria fede completamente nascosta. Una sorta, insomma, di ritorno obbligato al “nicodemismo” che in Europa si diffuse già nel Cinquecento [10]. Oggi, infatti, in Corea del Nord si raccolgono delle testimonianze di mariti e mogli che non sapevano, per molti anni, che anche il proprio coniuge fosse cristiano.

D’altra parte, come pochi sanno, la polizia segreta comunista effettua raid per identificare i cristiani e i bambini sono incoraggiati a raccontare ai loro insegnanti qualsiasi segno di fede nella casa dei loro genitori: una delle tattiche è quella di chiedere ai bambini di portare in classe un libro che i propri genitori hanno a casa. Quando l’ingenuo bimbo (o bimba) porta, magari, proprio la Bibbia, la famiglia viene immediatamente segnalata alla polizia che piomba a casa degli sfortunati genitori [11]. Nel Paese comunista di Kim Jong-un, insomma, un cristiano non è mai al sicuro.

La Cina non è da meno: abbiamo già denunciato il fatto che si tratti del «primo Paese ad aver realizzato un sistema pervasivo di sorveglianza algoritmica: sfruttando i progressi nell’IA nell’estrazione e archiviazione di dati per costruire profili dettagliati su tutti i cittadini, il partito-Stato comunista cinese sta sviluppando un “punteggio cittadino” per incentivare un comportamento “buono” dei propri sudditi» [12]. Chiaramente, essere cristiani non è affatto un modo per aumentare questo punteggio: il governo ha aumentato la sorveglianza, con sistemi di riconoscimento facciale installati nelle chiese “approvate” dallo Stato in alcune aree e servizi online minuziosamente monitorati. La campagna del governo per “sinizzare” [13] il cristianesimo «ha significato che le croci e altre immagini cristiane siano state sostituite con immagini del presidente Xi Jinping e bandiere nazionali» [14].

In Cina è vietato comprare una Bibbia online e le attività religiose sono considerate alla stregua di quelle illegali. Chi segnala al governo comunista dei sospetti cristiani riceve un premio in denaro. La politica cinese è quella di monitorare tutti i cristiani poiché considerati rei di avere connessioni pericolose con l’Occidente: non sorprende che, già nel 2018, alle diocesi cattoliche in Cina sia stato chiesto di elaborare persino un piano quinquennale che delinei come intendano adattarsi alla cultura cinese ‒ adeguando le proprie architetture, le opere artistiche in esse ospitate e, addirittura la musica sacra usata durante le riunioni di culto [15] ‒ e, soprattutto, quanto mostreranno lealtà al Partito comunista [16].

Anche qua il Covid-19 non ha certo migliorato le cose, anzi «ha agito da catalizzatore per la persecuzione religiosa attraverso la discriminazione, la conversione forzata e come giustificazione per aumentare la sorveglianza e la censura» [17].

Alla persecuzione di derivazione islamica e comunista fa eco, poi, anche quella induista: in India gli estremisti sostengono che tutti gli indiani non dovrebbero seguire altri culti e i cristiani sono accusati di seguire una “fede straniera” nonché accusati di “portare sfortuna”. Perciò vengono spesso attaccati fisicamente e talvolta uccisi, oltre a essere sottoposti a continue pressioni per tornare all’induismo. Se non si “riconvertono”, vengono boicottati in ogni modo, come avviene, ad esempio, in Bangladesh dove i cristiani sono perseguitati anche dai buddisti [18]. Tornando all’India, i crimini commessi contro i cristiani sono aumentati del 40,87% nell’ultimo anno e i casi accertati di persecuzione grave sono stati quasi 300 [19]: «le chiese sono state demolite e bruciate, le riunioni di culto sono state interrotte, le croci nei cimiteri sono state vandalizzate e le Bibbie e altra letteratura cristiana sono state confiscate e bruciate» [20].

È oggettivo che ci si trovi davanti a numeri impressionanti e sorprende il disinteresse dei media rispetto a questa persecuzione che pare non avere mai avuto sosta. Noi, dal canto nostro, abituati come siamo ad andare controcorrente, continueremo a seguire gli sviluppi e denunciare ciò che il mainstreaming fa finta di non vedere in quanto pare proprio che ogni pride sia lecito, ogni diritto degno di essere preteso, tranne quello di essere cristiani.

E lo facciamo condividendo la speranza espressa proprio in un versetto particolarmente significativo di quel libro che continua, a quanto pare, a far paura nel mondo: «I miei giorni sono nelle tue mani; liberami dalla mano dei miei nemici e dai miei persecutori» (Salmo 31:15).

Di Roberto Bonuglia | corriereregioni.it

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