La storia di Lauryn, sette anni e due leucemie…ma la speranza fa’ superare ogni cosa!

leucemia-ucraina-300x225Una giovane gallese è la prima bambina a cui sono state diagnosticate due tipologie diverse di leucemia: la leucemia linfoblastica acuta e il linfoma non-Hodgkin. Lauryn Robinson, sette anni, soffre di quello che i medici chiamano ‘Dual Hit leucemia’. La prima ad essere stata diagnosticata è la leucemia linfoblastica acuta che colpisce centinaia di bambini ogni anno. Successivamente, nonostante le sedute di chemioterapia, le condizioni della piccola Lauryn sono continuate a peggiorare, portandola a soffrire anche di crisi epilettiche e mini-ictus. Esami successivi hanno poi appurato l’esistenza di un’altra forma di leucemia, il linfoma non-Hodking. La madre della piccola, la 34enne Emma, ha detto della figlia che: ‘è ancora molto giovane, quindi abbiamo cercato di proteggerla in qualche modo. Ma lei sa di stare male e che ha bisogno di tanto riposo e medicine per stare meglio’. Emma spiega inoltre quali sono le attese per il domani: ’Il nostro obiettivo è sempre quello di tenere a bada il suo cancro con la chemio in modo che possa essere pronta a ricevere un trapianto di midollo osseo, quando sarà il momento’. I midolli di Emma ed Andrew, il padre, non sono infatti compatibili con la piccola Lauryn. Ann O’Leary, capo del Register Development presso l’Anthony Nolan, ha detto che ‘Un trapianto di midollo osseo può essere l’ultima possibilità di sopravvivenza per una persona con tumore del sangue. Purtroppo però possiamo avere soltanto un donatore per circa la metà di coloro che ne hanno bisogno. Abbiamo un bisogno urgente di persone che si registrino e che contribuiscano a dare la possibilità di un futuro a chi, come Lauryn, soffre di tumore del sangue’.

A seguito di questa drammatica notizia, noi di notiziecristiane.com non vogliamo solo fare informazione ma dare anche speranza a tutti quelli che vivono un simile dramma; ecco perchè  è importante che voi leggiate con attenzione la testimonianza di Inge Wende che ha vissuto gli stessi incubi e le stesse paure della piccola Lauryn Robinson:

Mi chiamo Inge Wende, ho una tremenda odissea alle mie spalle, a cui molti non sopravvivono, ma che io ho potuto affrontare in una maniera diversa, perché ho nella mia vita un fondamento particolare che mi sorregge.

A questo scritto avrei anche potuto dare il titolo «Gli alti e i bassi scrivono storie», perché scrivendo dovetti pensare a molti apici ma anche a molti abissi nella mia vita. Accettare circostanze positive e viverle, riesce a tutti sicuramente come una cosa più facile che doversi confrontare con difficili situazioni negative e accettarle.

Quel giovedì santo del 1988 ero ricoverata alla clinica universitaria di Giessen (Germania). Già di buon mattino il professore entrò in camera per comunicarmi che avevo una forma molto aggressiva di leucemia.

Non può essere vero!?! Iniziai a essere agitata e fui sopraffatta da una gran confusione. Ero ancora giovane, avevo ancora una vita davanti – e, poi, i miei bambini avevano bisogno di me!

Il mio cuore batteva forte, l’orologio continuava a scandire i secondi, mi diedi un pizzicotto pensando di potermi così svegliare, ma dovetti constatare che tutto ciò purtroppo non era solo un brutto sogno.

Il professore era ancora lì, in piedi accanto al mio letto. Gli feci alcune domande alle quali però nessuno avrebbe potuto rispondere. «Ho ancora una possibilità?». «Potrò sopravvivere?». Ero così oppressa da paura e angoscia, che respiravo con molta difficoltà. Essendo un’ex infermiera, sapevo quello che significava una diagnosi del genere, ma non avevo ancora la più pallida idea di quello che mi sarebbe accaduto.

Prendemmo un appuntamento per un colloquio col professore la sera stessa. Le due signore con le quali condividevo la stanza erano state già dimesse, così che mi trovavo da sola. Ero veramente sola?

Dopo essermi tranquillizzata, iniziai a pensare alle cose che m’attendevano. «Cosa penserà mio marito? Cosa penseranno i nostri genitori, i nostri fratelli, gli amici e i nostri figli?». Proprio i nostri figli avevano già assistito a ciò che era successo quattro mesi prima a Jamila. Jamila è morta! Jamila è deceduta nella notte, alla vigilia della prima domenica d’avvento, anche lei di leucemia. Poiché proveniva dalla Siria, non potendo essere curata nel suo paese e non avendo un’assicurazione sanitaria in Germania, si dovette far fronte, in maniera privata, a tutte le spese.

Tutta la nostra famiglia, insieme con alcuni amici, era stata vicina a Jamila per nove mesi. In diversi giornali demmo notizia riguardo alle sue condizioni, ai suoi cinque figli e agli alti costi della cura. I nostri figli – allora di 9 e di 14 anni – donarono i loro risparmi, raccontarono nel loro ambiente di Jamila e dei suoi cinque figli e dell’intenzione di volerla aiutare raccogliendo delle offerte, affinché potesse esser curata in Germania e quindi guarire. Attraverso quest’azione raccogliemmo più di 200.000 Marchi tedeschi. Jamila non ce l’ha fatta. Morì nella notte della prima domenica d’avvento del 1987, due settimane dopo il trapianto del midollo osseo. Tutte le lotte, le trepidazioni e le speranze furono invano. – Ed ora, quattro mesi dopo ci trovavamo nella stessa situazione!

Dopo che la storia di Jamila mi fu passata per la mente come un film, pensai ai nostri figli; d’una cosa ero sicura: permetterò che mi facciano di tutto, ma non acconsentirò mai a un trapianto di midollo osseo. Proprio perché i nostri figli avevano visto da vicino la morte di Jamila, non volevo esporli alla paura d’un trapianto non riuscito.

Quando poco più tardi arrivò mio marito, piangemmo e pregammo insieme. Ero veramente sola adesso? Non avevo un Padre in cielo che aveva promesso d’essere ogni giorno con me? Di non abbandonarmi e di restare sempre al mio fianco? Molti anni prima avevo affidato la mia vita a Dio. Da cristiana convinta avevo vissuto molti alti e bassi.

Nella Bibbia sta scritto: «Io ti consiglierò e avrò gli occhi su di te…». Che consolazione sapere che Dio aveva gli occhi su di me, anche adesso nella clinica universitaria di Giessen. In preghiera riuscii ad affidargli tutte le mie preoccupazioni, le mie paure, i miei bisogni e i miei interrogativi. Potemmo pregare insieme, chiedere a Dio di prendere tutto nelle sue mani, di prendere il controllo.

La sera stessa ci fu un colloquio chiarificante con il professore. Alla fine, queste furono le sue parole: «Prima di tutto dovrà essere sottoposta a diverse chemioterapie. Queste saranno molto forti, in modo da poter distruggere subito il cancro. Di conseguenza le cadranno i capelli: veda di procurarsi in tempo una parrucca, quest’aspetto è importante, soprattutto per le donne. Le unghie potranno cambiare aspetto o addirittura cadere del tutto.

Questi sono gli effetti collaterali propri della chemioterapia, del tutto normali. Parli riguardo alla sua malattia, parlandone riuscirà a rielaborare il trauma e ad affievolire gli effetti dello shock. Da oggi in poi, la leucemia fa parte della sua vita. Non possiamo tardare con l’inizio della chemioterapia – da adesso in poi il tempo è contro di Lei!». Parlando con il professore gli dicemmo che saremmo stati pronti a tutto, ma che, ripensando alla storia di Jamila, che anche lui aveva conosciuta, non avremmo acconsentito a un trapianto di midollo osseo.

Accettando la nostra opinione, ci disse: «Qualsiasi cosa venga fatta, ciò che da ora in poi l’aspetta sarà molto duro. Lei deve combattere!».

Spiegammo al professore che posizione avesse Dio, ossia Gesù Cristo, nella nostra vita e nella nostra famiglia e che Dio stesso era per noi il dottore dei dottori.

Potemmo ritornare nuovamente a casa, ma solo per tre giorni: dovevamo organizzare i prossimi duecento giorni. I nostri figli avevano bisogno d’una «nuova famiglia» per quel periodo. Mio marito fu esentato dal servizio. Durante quei giorni pensai molto al mio passato e al mio futuro. Cosa succederà se non dovessi sopravvivere? Nel caso avessi dovuto morire, sarei stata davanti a Dio e avrei dovuto render conto dei miei 37 anni di vita. Iniziai a sentire il desiderio e il bisogno di chiedere perdono agli uomini, ai quali avevo fatto qualche torto o anche a coloro che avevano qualche problema con me.

Ciò che m’importava era che non ci fosse più nessuna ombra tra me e Dio e tra me e altre persone. In seguito iniziarono le prime chemioterapie: me ne avevano prescritte 50. Avrebbero dovuto essere così aggressive da poter distruggere subito le cellule tumorali nel sangue e nel midollo spinale. Queste erano le condizioni necessarie affinché un successivo trattamento potesse essere efficace. Effetti collaterali di queste chemioterapie sono, tra altre cose, una forte degenerazione della mucosa della bocca. La mia bocca veniva disinfettata quotidianamente più volte con dei bastoncini di cotone e delle soluzioni. Le ferite mi dolevano talmente, che stavo quasi per perdere la testa. Ero molto grata a mio marito quando, durante quei determinati momenti, mi rassicurava dicendomi quanto bene mi voleva e raccontandomi che anche i miei figli m’erano vicini.

Mio figlio Tobias, allora di dieci anni, disse così: «Non t’abbiamo voluto bene perché avevi dei bei capelli – ti vogliamo bene ugualmente anche senza capelli. T’amiamo perché sei la nostra mamma!». Il quindicenne Matthias mi mandò a dire: «Papà, dì alla mamma che io combatto con lei!».

Che bene che fa, sapere che la propria famiglia, i propri genitori e gli amici combattono con te! Come fa bene, sapere che aver riposto la mia fiducia in loro non è stato sbagliato! Dalla Germania e dall’estero m’arrivarono dei messaggi e dei saluti. Un coro cristiano venne a visitarmi e mi cantò canzoni che mi consolarono. «Ma il Signore è sempre più grande. Più grande di quel che io riesco a pensare! Ha creato tutto l’universo. Tutto gli è sottomesso».

Sempre quando pensavo d’essere alla fine delle mie forze ed ero presa dallo scoraggiamento, sentivo come risuonare dal corridoio fino nella mia stanza: «Ma il Signore è sempre più grande…!».

Sembrava che le cinquanta chemioterapie non finissero più e gli effetti collaterali erano fortissimi: febbre alta, la degenerazione della mucosa orale, gastrica e intestinale, molta nausea, vomito e dolori in tutto il corpo, così come scoraggiamento e debolezza.

In tutti questi alti e bassi anche emozionali ho sempre sentito che Dio stesso era al mio fianco, che mi donava coraggio, consolazione e gioia.

Dopo questa fase di chemioterapie, fu esaminato nuovamente il mio midollo osseo.

Il referto era incoraggiante. Al momento non c’erano più cellule cancerose. Il professore ci spiegò che, pur avendo preso atto della nostra indisponibilità ad acconsentire a un trapianto, tuttavia dal punto di vista terapeutico era consigliabile estrarre una parte del midollo osseo. Questo sarebbe stato possibile nella clinica universitaria di Heidelberg. Qui mi fu estratta, sotto l’effetto dell’anestesia, la metà del mio midollo osseo. Questo può avvenire solo nel caso in cui il midollo sia assolutamente privo di cellule cancerose. Il midollo estratto fu trattato in un’apposita apparecchiatura con ulteriori processi chemioterapici e in seguito congelato e reso così disponibile, se necessario, per un eventuale trapianto. ¹

¹ Nota: Esistono diverse forme di leucemia e quindi, a seconda del caso, differiscono anche i tipi di cura. Nel mio caso, potendo usare il mio midollo osseo, potevo rinunciare a quello messo a disposizione da un eventuale donatore.

Quando a Heidelberg ci fu la visita di dieci studenti di medicina nella mia stanza, vivemmo ciò come una particolare esperienza. Il loro compito era quello di stabilire una diagnosi, facendo domande mirate. Non appena gli studenti ebbero concluso il loro lavoro, mio marito fece loro questa domanda: «In che modo comunicherete un giorno una tale diagnosi ai vostri pazienti? Cosa direte? Non è sufficiente confrontare una persona con una diagnosi del genere, lasciandola poi nel vuoto, nella disperazione. Come pensate d’offrire loro aiuto – non solo a livello medico bensì umano?». – Nessuna risposta! Un lungo silenzio!!! A questo punto cogliemmo l’occasione per raccontare loro in quale modo noi fummo in grado di sopportare questa brutta notizia, dove trovammo l’aiuto e quale fosse il nostro fondamento.

Qualsiasi persona che si trovi nella situazione di dover fare i conti con una simile diagnosi, si pone sempre questa domanda: «È finita? Per che cosa ho vissuto? Cosa m’avverrà, se dovessi morire?». Per poter rispondere a tali domande, ho bisogno d’un fondamento che mi regga anche in tali tempi di crisi – la Bibbia – Dio stesso è il fondamento e l’ancora che fornisce un appoggio sicuro:

■ «Perché Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Vangelo secondo Giovanni 3,16).

■ «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno può venire al Padre, se non per mezzo di me» (Vangelo secondo Giovanni 14,6).

Questo significa che attraverso Gesù Cristo posso avere accesso al Padre. Ho bisogno di trovare perdono per la mia colpa, per il mio peccato. Se accetto il perdono in Cristo, divento un «figlio di Dio». Allora ho un Padre in cielo, nel quale posso confidare. Egli si prende cura di me, anche e soprattutto in tali fasi critiche. E so che quando morirò, sarò in cielo con Lui.

Dopo il periodo trascorso a Heidelberg, dovetti tornare ancora per una volta in clinica a Giessen per un’altra serie di chemioterapie molto forti. «Molto forti» significava: una serie di 21 chemioterapie in una dose 19 volte più forte! Una nausea insopportabile, dolori e vomito m’accompagnarono costantemente durante questo periodo. Parole come «tutto andrà per il meglio» risuonavano così vuote, così «prive di significato»!

Sentivo però che Dio teneva la sua mano protettrice su di me e che nel bisogno potevo avvicinarmi a Lui nella preghiera. Dopo alcune settimane, fui dimessa dalla clinica di Giessen e dichiarata «guarita». Ciononostante, alcuni mesi dopo, caddi in una crisi interiore. A causa d’una debole infezione alla gola, i valori del sangue risultarono sballati. Ho dovuto sottopormi a una puntura del midollo osseo, per accertare se si trattasse d’una recidiva di leucemia. Dopo quest’esame ritornammo a casa. Il professore disse che ci avrebbe telefonato nel corso della giornata per comunicarci l’esito dell’esame. Iniziarono lunghe ore dell’attesa. Nel mio cuore gridavo a Dio!!! – Aver trepidato, sperato, combattuto… era stato tutto invano?!?

Era veramente tornata a manifestarsi la leucemia nel mio corpo?!? Eppure tutto sembrava procedere così bene finora. Sarebbe ora iniziato di nuovo tutto da capo? I dolori, la sofferenza, la nausea, il vomito, la paura dei miei figli di perdere la loro madre?!?

Mi sentivo così sola. Non riuscivo più a seguire tutto quello che mi stava accadendo intorno. Disperata cercavo di pregare e dovetti constatare che nel mio cuore non regnava più la pace. Nel frattempo iniziai a pensare che Dio avrebbe potuto risolvere a mio favore la situazione, facendo in modo che il professore mi telefonasse dalla clinica e mi dicesse: «Signora Wende, tutta l’agitazione è stata inutile, i risultati delle analisi dimostrano che il midollo osseo è privo di cellule cancerose. È tutto apposto!».

Purtroppo questo non divenne realtà: non ricevetti una simile telefonata, ma fui perseguitata e tormentata dalla paura d’essere di nuovo affetta dalla leucemia. Era un’attesa senza fine!

Trascorsero molte ore, finché finalmente alle 9 di sera squillò il telefono. Mia cognata mi chiamò: «È per te, è il professore dalla clinica!» – Nello stesso momento mi tornò in mente un passo biblico del libro d’Isaia (43, 1-3): «Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio! Quando dovrai attraversare le acque, io sarò con te; quando attraverserai i fiumi, essi non ti sommergeranno; quando camminerai nel fuoco non sarai bruciato e la fiamma non ti consumerà, perché io sono il Signore, il tuo Dio!».

All’improvviso provai una pace nel mio cuore, che era indescrivibile. Mi cadde la benda dagli occhi: non morirò di leucemia né a causa del trapianto del midollo osseo, ma solo se e quando Dio lo vorrà! Ad un tratto sapevo che il Padre in cielo si sarebbe assunto la responsabilità per mio marito, per i miei figli e per me stessa, indipendentemente da quello che sarebbe successo!

All’improvviso provai una gran gioia nel cuore. Avrei potuto abbracciare il mondo intero.

Il professore dovette poi comunicarmi al telefono che erano state trovate nuovamente delle cellule cancerose nel midollo osseo e che quindi sarebbe stato necessario un trapianto del midollo osseo. Sembra incredibile, ma per me tutto ciò non era più importante in quel momento.

Quello che contava era solo una cosa: provavo nuovamente una gran sicurezza e una pace profonda in Dio!

Fu quindi avviata la procedura per il trapianto del midollo osseo, che solo nove mesi prima era stato qualcosa d’impensabile per me. Ottenni subito un posto nella clinica. Per una settimana dovetti rimanere nella clinica universitaria di Heidelberg affinché si potessero eseguire tutti i preparativi. Alla vigilia di Natale mi fu concesso d’essere portata a casa per due giorni. Era il Natale 1988.

Paura non ne avevo. Queste parole m’accompagnavano sempre: «Non temere, perché io ti ho riscattato», e «Quando dovrai attraversare le acque, io sarò con te», e ancora «la fiamma non ti consumerà, perché io sono il Signore, il tuo Dio!».

Questo Natale lo festeggiammo in famiglia insieme in modo molto consapevole e contenti. Sarà l’ultima festa assieme? È nato il Salvatore, il mio Redentore. Quale privilegio poter appartenere a questo Redentore. Senza sentirci costretti o sotto pressione cantammo insieme: «È nato Cristo, il Salvatore…».

La partenza, il giorno di S. Stefano, procurò lacrime e dolore nei nostri cuori, ma la pace di Dio restò. I preparativi per il trapianto del midollo osseo iniziarono con una serie di radioterapie totali – per quattro giorni, tre volte al giorno, per 20 minuti. A questo punto sapevo già che queste radiazioni così forti in una dose così massiccia avrebbero potuto distruggere il mio corpo. Non avevo alternative. Successivamente fui anche sottoposta cinque volte al giorno, per quattro giorni, a una fortissima chemioterapia.

In seguito ebbi un giorno di pausa, per affrontare poi il trapianto del midollo osseo, il 5 gennaio 1989. Mi fu trapiantato il mio proprio midollo osseo congelato!

Le settimane che seguirono furono molto difficili. La serie di radiazioni e di chemioterapie ebbero delle ripercussioni. Le mie giornate erano caratterizzate da febbre e da forti dolori. La morfina procurava sollievo solo per brevi periodi. Ma nel mio cuore c’era sempre la pace nonostante le grandi pene a livello fisico.

Fui piena di gratitudine quando le colleghe e i colleghi di mio marito mi cantarono al telefono: «Signore, poiché la tua mano forte mi regge, confido tranquilla…».

Potevo veramente continuare a confidare – nonostante l’esaurimento?!?

Dopo che il midollo osseo malato fu distrutto completamente attraverso la serie di radioterapie e di chemioterapie, fu immesso nel corpo il midollo osseo sano attraverso una vena.

Alla gloria di Dio posso dire e testimoniare che non mi misi a contendere con Lui neanche per un momento. Avevo sempre pace in me!

Il giorno del trapianto del midollo osseo era anche il compleanno di nostro figlio Tobias. Da quella volta festeggiamo questo giorno insieme: è ogni anno una data molto particolare nella nostra vita.

Nel frattempo abbiamo avuto la gioia di festeggiare tanti Natali insieme e la sera della Vigilia risuona ogni anno: «È nato Cristo, il Salvatore!», la nostra salvezza – e il mio proprio Salvatore.

Continuamente ritorno col pensiero a quegli anni passati. Quando venni a conoscenza della diagnosi, il giorno di giovedì santo del 1988, nella clinica universitaria a Giessen, pregai così:

«Signore Gesù Cristo, anche se le prospettive non sono ora per niente buone, se mi doni ancora degli anni da vivere, voglio raccontare quello che tu avrai fatto per me!» – Nel frattempo son passati molti anni, nei quali molte persone malate ci hanno chiesto aiuto.

Sempre più chiaramente riconosciamo il nostro compito nel prestare aiuto agli ammalati e ai loro familiari e nell’essere loro vicini durante questi periodi difficili, affinché le famiglie non vadano «alla deriva» a causa della malattia. Mio marito disse una volta: «Quando s’ama colui che soffre, perché colpito dalla malattia, si soffre da morire. La famiglia deve essere intatta».

Attraverso la mia attività d’infermiera ho avuto modo di vedere che spesso i parenti non sanno come comportasi in tali situazioni e che quando viene diagnosticato il cancro, ciò ha su di loro lo stesso effetto d’una malattia contagiosa.

A questo punto, mio marito e io desideriamo offrire aiuto a coloro che sono colpiti da questa malattia e ai loro familiari – anche fino all’ora estrema!

Ringraziando il Signore possiamo compiere questo tipo d’attività già da parecchi anni. Alti e bassi m’accompagnano tuttora, ma io sono grata di cuore per ogni giorno di vita che Dio mi dona.

Quando nel 1996 mi misi a scrivere la mia storia, avevo superato molti anni con alti e bassi. Ogni punto basso della mia vita mi poneva di nuovo di fronte alla domanda: «È arrivata la temuta ricaduta?». In questi tempi particolarmente difficili, abbiamo continuamente sperimentato l’azione misericordiosa di Dio e la sua protezione. Non avrei mai pensato che, partendo dalla mia esperienza personale, avrebbe potuto svilupparsi un ministero: incontrare nel dialogo individuale altri malati di leucemia in situazioni disperate.

Nell’Ottobre del 1998 fondammo con alcuni amici, che già da tempo c’incoraggiavano in questa direzione, l’associazione «Leben & Hoffnung» (Vita e Speranza) – Assistenza per i malati di leucemia – Opera missionaria.

Oggigiorno la forza, di cui dispongo, è sufficiente per svolgere i lavori domestici. Riconosco che il mio compito consiste nell’incoraggiare coloro che soffrono di leucemia, nell’assisterli mediante la Parola di Dio e la preghiera. Sono molto grata che tutta la famiglia ci sostenga in questo lavoro. Il filo conduttore dell’amore divino è visibile dall’inizio della malattia sino a oggi.

Questo articolo è dedicato a persone che si trovano in un periodo di crisi nella loro vita.

Vuole essere, inoltre, un modo per ringraziare mio marito Rainer, i miei figli Matthias e Tobias, i miei genitori, i miei fratelli, la nostra chiesa, i nostri amici e tutti coloro che hanno pregato per me. Grazie per tutto il vostro amore, il sostegno e l’aiuto in tutto questo tempo di malattia.

Desidero ringraziare inoltre i medici e tutto il personale infermieristico delle cliniche di Diez, di Giessen e di Heidelberg, per tutto l’aiuto datomi a livello medico e a livello umano.

Ma il ringraziamento più grande va al mio Salvatore Gesù Cristo.

Testimonianza di Inge Wende


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