2 aprile, giornata mondiale dell’autismo.
Le «Giornate mondiali» dedicate di volta in volta a una questione spinosa (spesso irrisolta) non sono inutili liturgie: infatti i media sono, in qualche modo, costretti a cercare spunti per trattare l’argomento e, così, vanno a caccia di «esperti», vicende vissute, problematiche. L’occasione è quindi propizia per far uscire i problemi, per denunciare le inefficienze, per sollecitare una maggiore attenzione degli enti pubblici e della gente in genere.
La Giornata mondiale dell’autismo (martedì 2 aprile) non fa eccezione, anzi, offre lo spunto per lanciare subito un’accusa: i tagli di bilancio degli enti pubblici (dovuti alla crisi) hanno colpito senza troppe remore proprio i disabili in generale. In taluni casi, poi, come in Piemonte, oltre ai tagli all’assistenza è stato letteralmente azzerato il fondo per la disabilità adulta. Del resto colpire l’assistenza ai disabili è un’operazione semplice: in questo settore opera la maggior parte dei precari, degli operatori pagati come «consulenti», delle cooperative e associazioni che, in convenzione, operano con fondi pubblici e privati garantendo servizi che, altrimenti, spetterebbero all’ente pubblico.
È un «sottobosco» virtuoso cresciuto man mano che ci si rendeva conto delle reali esigenze dell’utenza e che le piante organiche ufficiali faticavano a recepire, un sottobosco che si può cancellare senza ripensamenti con il risultato di eliminare i servizi più efficaci nell’assistenza ai disabili. Per non parlare del triste paradosso delle liste di attesa dei disabili, destinati a un inserimento in Centri diurni o residenziali, a causa della mancanza di fondi per le rette.
L’autismo, in quanto sindrome «recente», è una delle patologie maggiormente colpite dai tagli proprio mentre, grazie principalmente alle nuove conoscenze e alla diagnosi precoce, si è accertato come i disturbi dello spettro autistico interessino una fascia sempre maggiore della popolazione. Soltanto da pochi anni in Italia si sono sfatate errate e devastanti convinzioni sulla natura di questa sindrome (che sostanzialmente addossavano alla madre e alla famiglia la responsabilità dell’insorgere della malattia) e si sono abbandonate strategie terapeutiche senza alcun fondamento scientifico.
In sostanza l’autismo è un disturbo dello sviluppo di natura organica. La maggior parte delle persone con autismo ha anche un ritardo mentale, gli altri un’intelligenza normale sovente con particolari abilità.
Quello che accomuna i due gruppi è una grande difficoltà a percepire il mondo circostante e a dare gli stessi nostri significati alle esperienze. Pertanto gli autistici, con una percezione alterata della realtà, hanno problemi di comunicazione, interazione sociale, comportamento e immaginazione. A tutt’oggi la sindrome autistica non è curabile, ma si può intervenire sui sintomi per alleviarli e migliorare sostanzialmente la qualità della vita della persona colpita.
L’esperienza insegna che l’approccio educativo (quello proposto dal «metodo Teacch», ma con significative varianti a seconda dei casi) è efficace specialmente se accompagnato da strategie di inserimento nel contesto sociale (scuola, gruppi organizzati, sport e così via) secondo un percorso di crescita che i soggetti autistici spesso intraprendono migliorando le loro capacità di relazione e le loro autonomie. Ovviamente le strategie variano da soggetto a soggetto – ci sono differenze enormi fra autistici di alto e basso funzionamento – e in taluni casi si è rivelato efficace anche il coinvolgimento emotivo di familiari, amici e operatori.
Proprio la possibilità di ottenere significativi progressi della persona autistica impone una riflessione sulla necessità di operare investimenti mirati a partire dall’unificazione delle modalità di diagnosi e dall’individuazione delle strategie migliori per garantire la crescita del soggetto. Ma se per i minori molto si è fatto – sfruttando anche la scuola e le strutture per l’infanzia – per gli autistici adulti si è fatto ancora troppo poco, basti pensare che un soggetto autistico dopo i 18 anni spesso viene considerato un malato psichiatrico e seguito come tale.
Solo in talune realtà si è superata questa frattura con la creazione di centri specializzati sull’autismo, sia infantile, sia adulto (come a esempio a Mondovì in provincia di Cuneo, dove proprio il 2 aprile si inaugura il nuovo centro diurno per autistici – e, in ambito valdese, a metà febbraio si è inaugurato a Torre Pellice il Centro diurno della Csd per l’autismo). Del resto non è possibile nessuna strategia di intervento e non è possibile evitare il peso dei costi sociali ed economici degli autistici adulti sulla società senza investire seriamente in progetti di inserimento sociale e lavorativo. Gli autistici in generale (e gli Asperger, in particolare) nel raggiungere l’età adulta manifestano, ovviamente se seguiti in maniera adeguata, importanti abilità e una costante maturazione. Insomma, l’autistico adulto può acquisire autonomia e contribuire allo sviluppo della società senza rappresentare un problema insormontabile come spesso accadeva in passato.
Ci sono progetti, attivati in varie realtà, per seguire la fase delicata dell’adolescenza e della prima età adulta accompagnando il ragazzo (l’autismo è più raro nelle femmine, a eccezione della sindrome di Rett che colpisce solo le bambine) nel contesto sociale che lo circonda, in gruppi di amici, nelle attività sportive e ricreative, nei rapporti affettivi e nell’inserimento lavorativo. Si tratta di strategie che spesso devono essere attuate nel rapporto uno a uno fra operatore (psicologo) e paziente. Pertanto sono interventi costosi, ma capaci di aprire le porte a un futuro di quasi autonomia per molti ragazzi e, comunque, di migliorare notevolmente la qualità della vita degli autistici e delle loro famiglie.
Non so se l’azzeramento del fondo per la disabilità adulta in Regione Piemonte, a esempio, o come probabilmente è avvenuto in altre regioni d’Italia, avrebbe potuto essere evitato semplicemente azzerando i fondi destinati ai gruppi consiliari in Regione; quello che so è che i tagli sull’assistenza producono modesti risparmi nell’immediato garantendo, però, costi pesanti per il futuro, allo stesso modo di come i tagli su qualsiasi forma di prevenzione si trasformano in un aggravio di spesa negli anni a venire.
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