“L’ebola è solo un campanello di allarme. Ci sono altri virus pronti a trasformarsi in epidemie”. In molti lo avevano anticipato. Anche Rony Brauman, l’esperto di malattie tropicali ecofondatore di Medici Senza Frontiere, pur non preannunciando nuove potenziali catastrofi, avevachiesto di tenere alta la guardia e di investire in ricerca medica. Se “la deforestazione, l’urbanizzazione selvaggia, la crescita demografica hanno portato la gente a stretto contatto con animali contaminati e permesso al virus ebola di propagarsi più velocemente che in passato”, in alcuni Paesi tra i più poveri del pianeta la stagione delle piogge con le conseguenti inondazioni sta creando le condizioni ottimali per la diffusione del colera, minando la già scarsa disponibilità di acqua potabile e di servizi igienici adeguati. Il colera si trasmette infatti ingerendo acqua o cibo contaminato da un batterio, il cosiddetto “vibrio colera”; la diarrea e il vomito causati dall’infezione inducono velocemente a una disidratazione severa e, se non curati in tempo, possono condurre alla morte. Una patologia ricorrente in modo ciclico, che torna puntuale come un orologio in quei Paesi, specie dell’Africa, che non hanno raggiunto degli standard igienici sufficienti. Là dove la sovrappopolazione fa rima con la mancanza di igiene, il colera fa la sua comparsa eresta una temibile minaccia. Le circostanze che vedono la comparsa di queste epidemie hanno indotto a considerare il colera una “malattia della povertà”, inserita non a caso tra gli indicatori chiave dello sviluppo sociale.
Ad oggi risultano più di 1300 casi accertati di colera in Niger: 51 i morti, di cui 38 nel solo mese di settembre in corrispondenza con la stagione delle piogge che di per sé ha provocato altre decine di vittime. Preoccupante resta in particolare la regione di Diffa, nella zona orientale del Paese, dove dal 2013 sono stanziati in condizioni igieniche precarie circa 105mila profughi nigeriani fuggiti dagli attacchi delle cellule estremiste islamiche Boko-Haram e dalle repressioni dell’esercito. Proprio nella zona nord-est della Nigeria, nello Stato di Borno, si sono verificati oltre 1700 casi e 75 decessi negli ultimi 3 mesi. Dato impressionante ma non quanto quello sui casi di colera registrati in Nigeria dall’inizio dell’anno che ammontano a 32mila con 600 morti.
Altrettanto preoccupanti le infezioni di colera in Repubblica Democratica del Congocalcolate in 600 la settimana: 13mila nel 2014 con 159 decessi. “Appena” 2.200 casi in Camerun dove l’epidemia sembra in fase di soluzione, pur con un alto tasso di decessi, ben 113 persone, e 25 casi in Ciad dall’inizio dell’anno.
A maggio i riflettori erano puntati invece sul Sud Sudan che aveva registrato diversi casi di colera nei numerosi campi profughi privi di adeguate infrastrutture sanitarie: in quell’occasione era stata attuata una vasta campagna di vaccinazione ritenuta di più facile realizzazione rispetto al miglioramento delle condizioni igieniche sanitarie generali del Paese e della fornitura diffusa di acqua potabile.
Oggi è però il Ghana a preoccupare fortemente gli operatori internazionali. Accra, la capitale del Paese, è stata scelta come quartier generale della missione di emergenza dell’ONU per contrastare la diffusione del virus ebola in Africa occidentale (UN Mission for Ebola Emergency Response, UNMEER). Non è la vicinanza alle aree più critiche di diffusione del virus ebola a rappresentare la maggiore preoccupazione per il Paese bensì i 15.400 casi di colera registrati dalla scorsa primavera, di cui più della metà si sono verificati a partire dal mese di agosto e praticamente la totalità proprio nella zona metropolitana di Accra, che ammonta a circa 3 milioni di abitanti. Non è un caso: in assenza di uno sistema di stoccaggio dei rifiuti, la zona dei mercati diventa un ricettacolo di infezioni: si cucina, si vende, si dorme e si vive nello stesso identico posto. Il numero di vittime si aggira ad oggi intorno alle 100 e resta fortunatamente basso, in proporzione ai numeri del contagio; tuttavia rispetto ai dati degli scorsi anni, secondo cui nel 2013 si registrarono solo 22 casi di colera e nessun morto, nel 2012 i casi furono 7mila e 48 i decessi e nel 2011 le vittime furono 105 a fronte di oltre 10mila casi, questa epidemia appare di ben più vaste dimensioni. Il Ghana occupa da sempre un posto nella lista nera delle epidemie di colera: la presenza nella capitale e nelle aree circostanti di discariche a cielo aperto con cui le persone debbono convivere “spalla a spalla” risulta la normalità e un focolaio della malattia.
È però più probabilmente l’assenza di acqua potabile e di servizi igienici nelle casea determinare questa ricorrente comparsa di un contagio da cui non fu esente anche l’Italia: appena 40 anni fa, nell’agosto del 1973, un’epidemia di colera si abbatté su Napoli infettando quasi mille persone e provocando tra i 12 e i 24 morti. L’introduzione del gabinetto e dell’acqua corrente nelle case degli italiani negli anni del boom economico aveva contribuito a debellare molte malattie: il colera era una di queste. Di certo questo da solo non era bastato e non basta ancora oggi.
Miriam Rossi
Tratto da: http://www.unimondo.org/
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