Libri: “Le origini. Bibbia e mitologia” di Alfredo Terino

terino1Alfredo Terino, Le orgini. Bibbia e mitologia. Confronto tra Genesi e mitologia mesopotamica, Milano 2003, Gribaudi Editore.

Recensione di Stefano Molino, DiRS-GBU

Negli ultimi dieci anni non sono comparsi moltissimi testi italiani o tradotti in italiano che trattano delle origini del mondo, della genesi e del rapporto tra Bibbia e mitologia mesopotamica, ed è per questo che riteniamo utile presentare un libro come quello di Alfredo Terino, pubblicato dieci anni fa, ma ancora molto attuale e pertinente rispetto alla tematica presentata. L’autore, come il titolo e sottotitolo esplicitamente affermano, propone un confronto attento tra i testi delle origini presenti nella Genesi e la mitologia mesopotamica e porta avanti una tesi tipica dell’evangelismo classico: la Genesi ha caratteristiche ben diverse dal resto della mitologia mesopotamica, non dipende da questa e presenta una serie di fatti ed un Dio sostanzialmente diversi da quelli presentati negli altri miti.

L’autore parte dalla costatazione che l’indipendenza e l’unicità dei racconti biblici dal XIX secolo sono state oggetto di un triplice attacco che chiede una risposta. La teoria dell’evoluzione di Darwin sul piano scientifico ha messo in discussione la storicità della cosmologia biblica, la critica biblica di Wellhausen ha messo in discussione l’antichità dei testi, e lo studio degli antichi miti mediorientali di Winkler ha mostrato somiglianze forti tra antichi miti mesopotamici ed il testo genesiaco, al punto di pensare ad una dipendenza di questo da quelli. Come rispondere a queste obiezioni, per altro ampiamente diffuse ed accreditate nel mondo accademico odierno?

Per quanto riguarda la problematica del rapporto tra scienza e testo l’autore chiarisce che la genesi non è un testo scientifico e che quindi non dovrebbe essere messo in discussione da argomenti scientifici, ma al più da argomenti ermeneutici; contemporaneamente la teologia dovrebbe evitare di contestare argomenti scientifici in nome di una lettura letteralista e non letteraria dei testi, altrimenti manca il suo oggetto. Quanto alla critica biblica l’autore interagisce con molto rispetto con la teorica documentaria e pur accettando l’ipotesi che il redattore del Pentateuco abbia attinto a numerose fonti, insiste sull’unità profonda del testo e sull’impossibilità scientifica di reperire le fonti precise come viene fatto in ambito di critica bilica. Ipotizza dunque un redattore che può essere Mosè o un suo contemporaneo ed una redazione del testo fatta in due fasi: la prima all’epoca dell’Esodo e la seconda all’epoca della conquista. Questo implica quindi una datazione antica, che prevede l’incorporazione nel testo di fonti anche più antiche. A questo punto la questione della dipendenza o meno da testi mitologici dell’antico oriente trova già una parziale risposta: se il testo biblico fosse molto più recente dei testi mitologici mesopotamici la sua dipendenza da questi sarebbe piuttosto plausibile; ma vista invece la datazione antica si può pensare ad un’interazione senza che per questo ci sia dipendenza. Il racconto biblico si presenta dunque, secondo l’autore, estremamente coeso e portatore di un senso profondamente diverso da quello dei miti mesopotamici.

Nel testo viene messo in evidenza che le somiglianze tra racconto biblico delle origini e cosmogonie presenti in testi analoghi, come l’Enuma-Elish, l’Atra-hasis e l’Adapa sono state molto spesso esagerate da diversi autori e tre capitoli interi sono consacrati ad un attento paragone tra testi biblici e testi mesopotamici, con un accurato commento. Ne emerge che nonostante la presenza di alcune somiglianze strutturali e formali la sostanza trattata è profondamente diversa. I miti mesopotamici presentano delle divinità derivate da un’ulteriore entità astratta non ben definita, sono spesso compromesse con il male che è loro inerente e vengono presentate come entità a-temporali, mitiche appunto; contrariamente a tutto ciò, il Dio che emerge dal racconto biblico è egli stesso l’entità assoluta, estranea al male che viene visto come un’intrusione, e il linguaggio, pur polemizzando con un linguaggio mitico, prende in considerazione il tempo, in cui si svolge la storia degli umani. Proprio questa unicità ed indipendenza rispetto agli altri miti farebbe del libro, secondo l’autore, un libro più vicino al linguaggio storico che a quello mitico. Con questo non intende affermare che il linguaggio usato non utilizzi dei simboli o che i processi descritti siano avvenuti nel modo in cui sono letteralmente raccontati, ma che le narrazioni fatto riferimento a fatti effettivamente accaduti.

Un primo motivo per cui riteniamo opportuno segnalare questo testo, al di là della già menzionata originalità nel panorama italiano, è di natura editoriale: non sono numerosi gli autori evangelici che pubblicano presso case editrici accreditate – come Gribaudi – non evangeliche, ed il fatto di aver ottenuto la pubblicazione nonostante la tesi sia in netto contrasto con la scuola di pensiero storico-critica, particolarmente ben accetta negli ambienti accademici, ci pare meritorio.

Un ulteriore merito del testo è quello di parlare in modo molto chiaro, con la scelta dichiarata nell’introduzione di rivolgersi ad un pubblico di non specialisti del settore, fornendo rapide sintesi, delle diverse scuole di pensiero in materia di studi veterotestamentari, presentate generalmente in modo oggettivo e mai tendenzioso, seppure messe in discussione. A questa chiarezza nell’enunciazione si accompagna un rigore argomentativo lodevole, ed una ricchezza di documenti, in particolar modo nel confronto con i testi mitologici. Da questo punto di vista ci sembra un ottimo complemento alla lettura ben più tecnica ed approfondita di un altro autore evangelico, Henri Blocher, di cui in italiano è stato tradotto l’imprescindibile “La creazione. L’inizio della Genesi”, (GBU, 1984).

Da ultimo, riteniamo apprezzabile anche lo slancio che indubbiamente si avverte tra le righe che il credente fa nel sostenere la validità del testo in cui crede: la parte finale del libro trascende il piano della pura ricerca storica o filologica e evidenzia l’importanza della problematica delle origini sul piano esistenziale e filosofico per la sua capacità di rispondere a domande di fondo.

Fatti presenti questi indiscutibili pregi del testo, possiamo rilevare in alcune pagine qualche affermazione problematica. Premesso che il testo non si occupa di scienza, e che quindi non può scendere nel dettaglio, la parte iniziale che tenta di criticare la teoria dell’evoluzione è piuttosto debole. L’autore afferma ad esempio: “Nonostante la teoria classica dell’evoluzione biologica, sia molto seguita, è rimasta un’ipotesi scarsamente fondata e sono in aumento gli scienziati che la contestano” (p.14). Ci pare un’affermazione un po’ forte per contrastare una teoria che rimane tuttora accreditata in ambito accademico, e che non può essere liquidata in una riga.

Quanto alla contestazione della critica biblica potrebbero essere forse stati utili riferimenti a quelle correnti che sempre in ambito-storico critico, ridimensionano la teoria documentaria sottolineando la forma canonica del testo, come l’approccio canonico di Childs o Rendtorf.

Detto ciò crediamo ci pare che la qualità e la quantità dei pregi superi di gran lunga l’importanza di questi semplici rilievi, ed incoraggiamo alla lettura del testo chiunque si interessi di studi veterotestamentari, sia come specialista che come amatore.

Fonte: http://www.cristiani.info/

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