MENTRE ANCORA SI COMBATTE, LE IMPRESE IMMOBILIARI ISRAELIANE STANNO GIA’ PROGETTANDO NUOVI INSEDIAMENTI A GAZA.

Niente di strano. Ricostruire – in base ad altre esigenze e parametri, sostanzialmente quelli del profitto – dopo aver distrutto (in genere sempre per il profitto, oltre che per svuotare e rinnovare gli arsenali) è una costante. Pare che il progetto per una ricostruzione integrale di Beirut fosse già nei cassetti parecchio tempo prima dello scoppio della guerra civile (condita da invasioni varie, da Israele alla Siria) degli anni settanta e ottanta.

E per l’Ucraina  ruspe e cantieri sono in procinto di avviare i motori. Quindi quanto potrebbe in futuro accadere in quel di Gaza non rappresenta una novità. Resta nella norma della prassi in zone di conflitto.

Stando a quanto denunciato da Marc Vandepitte, l’impresa immobiliare Harey Zahav, già nota per aver costruito insediamenti per i coloni in Cisgiordania, avrebbe annunciato un nuovo progetto per Gaza. Dopo il definitivo allontanamento (o l’eliminazione) dei palestinesi ovviamente. Proprio come auspica l’estrema destra israeliana che ormai non tenta nemmeno più di mascherare la vocazione alla pulizia etnic . Vedi il caso limite di David Azoula.

Il presidente del consiglio di Metula ha dichiarato apertamente quanto altri nel governo israeliano forse si limitano solo a pensare. Ossia ridurre la Striscia a un territorio completamente “svuotato e devastato”. Arrivando a un osceno paragone con Auschwitz.

L’impresa immobiliare intenderebbe costruire abitazioni familiari nella zona costiera di Gaza. Nel suo annuncio si può leggere: “Svegliati, una casa sulla spiaggia non è un sogno”. Già circolano bozzetti illustrativi su dove e come sorgeranno tali  insediamenti. Anche con i loro nomi: Maale Atzmona, Oren e Neve Katif (con un esplicito richiamo agli insediamenti preesistenti).

Avendo evidentemente perso ormai ogni freno inibitore, la società immobiliare dichiara di operare al fine di “preparare il rientro a Gush Katif (…) riabilitare la regione, ripulire dalle macerie e allontanare gli abitanti (riferendosi evidentemente ai palestinesi nda ) sperando che in breve tempo i sequestrati e i nostri soldati torneranno alle loro case. Così da poter avviare la costruzione in tutta l’area di Gush Katif…”.

Per chi non lo sapesse Gush Katif costituiva un blocco di insediamenti israeliani costruito nella Striscia di Gaza all’inizio degli anni settanta da cui gli abitanti vennero obbligato ad andarsene nel 2005.

Se per gli israeliani tale progetto sembra riecheggiare quello della Grande Israele (dal mare al Giordano, vedi le due strisce azzurre sulla bandiera), per i palestinesi è inevitabile riandare con la memoria, per analogia, a quanto avvenne con la Nakba. Quando oltre cinquecento tra cittadine e villaggi palestinesi vennero rasi al suolo e 750mila palestinesi costretti ad abbandonare le loro terre.

Nel frattempo, in attesa dell’arrivo di ruspe e betoniere, procede alacremente l’operato di droni, aerei, blindati e truppe di terre. Stando alle fonti di Hamas, i morti palestinesi dal 7 ottobre sarebbero ormai oltre ventimila, più di cinquantamila i feriti. Invece, secondo fonti militari israeliane, sarebbero più di 150 i soldati caduti nella Striscia dall’inizio delle operazioni (27 ottobre).

Gianni Sartori

http://notiziecristiane.com

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