Missili per tutti Prove della nuova guerra fredda

Prima i reiterati test balistici del regime nordcoreano, poi quelli statunitensi e infine russi. La nuova guerra fredda si “combatte decisamente a colpi di missili balistici e di armi in grado di intercettarli”.

Il 30 maggio il Pentagono ha annunciato di essere riuscito ad abbattere un bersaglio che simulava un missile balistico lanciato dal Reagan Test Site sull’atollo di Kwajalein nelle isole Marshall nel Pacifico con un intercettore sparato base aerea di Vandenberg in California. Si tratta del primo test del sistema di difesa nazionale contro i missili balistici effettuato dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. L’ultimo test del sistema Ground-based Midcourse Defense (Gmd), che difende il suolo americano da missili balistici a lunga gittata, era stato effettuato a giugno del 2014. Le procedure dell’ultimo test sono le stesse del precedente. Anche in quel caso il missile intercettore era stato lanciato dalla base della Air Force di Vandenberg, in California, e ha colpito l’obiettivo, un altro missile lanciato dall’atollo Kwajalein, nelle isole Marshall.

I test dello “scudo anti missile” sono iniziati nel 1999 e nel 2002 sono stati accelerati da George W. Bush.  Prima del test del 2014 si susseguirono tre fallimenti di seguito. Lo scudo spaziale Usa è estremamente complesso: usa un sistema di sensori sparsi nel mondo per individuare il lancio di un missile balistico e per studiarne la traiettoria di intercettazione per poter lanciare la contromisura attraverso il cosiddetto “Exo-atmospheric Kill Vehicle”. Quest’ultimo spara una testata senza esplosivo per distruggere, solo con la potenza cinetica dell’impatto, il missile nemico. Il test odierno puntava a mostrare deterrenza alla Corea del Nord evidenziando la capacità di distruggere in volo missili balistici intercontinentali. Il GMD avrà comunque capacità limitate, dispone attualmente di 30 missili intercettori che saliranno a 44 nei prossimi anni, basati a Vandenberg e a a Fort Greely (Alaska), ma non certo sufficienti a fermare attacchi di massa. Nel 2014 un’inchiesta del Los Angeles Times sostenne che il sistema, costato 40 miliardi di dollari, si era rivelato un mezzo flop: all’epoca il Pentagono aveva effettuato 16 test, ognuno al costo di 200 milioni di dollari, e solo nella metà dei casi il missile intercettore lanciato dalla base di Vanderberg, in California, aveva centrato la finta testata nucleare sparata dalle Isole Marshall a 8.800 km di distanza. Questo nonostante, nella base californiana di lancio, conoscessero tutto, ma proprio tutto, della testata da distruggere: l’esatta posizione dell’area di lancio del missile, l’orario, la traiettoria e la sua velocità.

Il giorno dopo anche i russi hanno effettuato uno show missilistico di tutto rilievo. Mosca ha lanciato 5 missili da crociera di ultima generazione, l’ipersonico Zircon, che raggiunge fino ad 6 volte la velocità del suono (oltre 7.300 km/h) così veloce da bucare ogni sistema di ‘scudo anti-missile’, sostengono i russi, e di colpire grandi navi come le portaerei a propulsione nucleare Usa i cui sistemi di difesa antimissile sono efficaci contro ordigni in movimento a non più di 3.700 chilometri orari. Lo Zircon ha un raggio d’azione stimato in 800 chilometri, è in fase di sviluppo avanzato e dovrebbe entrare in servizio negli arsenali russi tra il 2018 ed il 2020, secondo il sito russo Sputnik. La prima unità a imbarcarlo nel 2018 saràò l’incrociatore a propulsione nucleare Petr Velikij. Lo Zircon puo’ essere lanciato indifferentemente sia da unità di superficie che da sottomarini e può trasportare una testa convenzionale od una nucleare tattica, come tutti i grandi missili da crociera. Secondo analisti britannici, con questo test, Mosca ha dimostrato di essere “almeno venti anni avanti” rispetto all’Occidente su questo tipo di armi dotate dei motori ‘scramjet’ (su cui anche gli Usa stanno effettuando test) che potenzialmente può raggiungere velocità di 15 volte quella del suono.

Sui missili si consuma anche l’ultimo scandalo esploso in Corea del Sud dove il sistema statunitense Thaad è al centro del primo grosso grattacapo del neo-presidente di Seul, Moon Jae-in, alla guida del Paese dal 10 maggio scorso. Il portavoce dell’ufficio presidenziale di Seul, Yoon Young-chan, ha confermato il 31 maggio che il presidente era rimasto all’oscuro dei quattro lanciatori aggiuntivi del sistema anti-missilistico installato nel Paese dagli Stati Uniti, confermando che il Ministero della Difesa di Seul ha “intenzionalmente omesso” di informare il presidente della consegna delle armi. Il presidente sud-coreano aveva lanciato un’inchiesta sull’episodio e Moon ha chiarito, durante un incontro con il senatore Usa Dick Durbin in visita nel Paese, che le indagini sullo scudo anti-missile non metteranno in discussione l’accordo con gli Stati Uniti per lo spiegamento del sistema d’arma, secondo le corrette procedure interne sud-coreane, un riferimento ai mancati rilevamenti ambientali prima dell’installazione dello scudo anti-missile.

La vicenda ha impensierito anche Pechino, che insieme a Mosca si oppone allo spiegamento dello scudo anti-missile. La portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha dichiarato che la Cina è “seriamente preoccupata” per gli ultimi sviluppi legati allo scudo anti-missile statunitense installato in Corea del Sud. Pechino ritiene che il Thaad (Terminal High-Altitude Area Defense) possa intromettersi nei propri sistemi di sicurezza militari. Il radar del sistema anti missile è infatti in grado di esplorare in profondità lo spazio aereo cinese e di raggiungere quello russo. Il Thaad, ha spiegato Hua, “non serve alla denuclearizzazione della penisola coreana, né alla pace e alla stabilità regionale, e va contro gli sforzi fatti per risolvere la questione attraverso il dialogo”.

Dure anche le reazioni di Mosca che, lo dice Vladimir Putin, non resterà a guardare in maniera passiva all’espansione del sistema missilistico di difesa Usa, dall’Alaska alla Corea. “Guardiamo con attenzione ciò che stanno facendo in Alaska e in Corea del Sud. Possiamo stare a guardare? Certo che no. Stiamo pensando a come replicare a questi cambiamenti, perchè di questo si tratta per noi” ha detto Putin a margine di un evento organizzato in occasione del Forum economico di San Pietroburgo.

di Gianandrea Gaiani | Lanuovabq.it

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