Nessuno mi può giudicare: ma ne siamo proprio sicuri?

Nell’era dei social media, è sempre più frequente esprimere giudizi gratuiti e non richiesti sulle persone, sui fatti, sulle scelte.

In nome della libertà di pensiero e di espressione si tende a scagliare pietre contro le persone. Non poche volte per si è costretti ad appellarsi al consuetudinario divieto di esprimere giudizi.

Ma è proprio vero che: Nessuno mi può giudicare?

Giudicare o non giudicare? Questo è il dilemma

Quante volte accade di essere esposti alla gogna mediatica per un post, una foto, per aver espresso la propria opinione. O al contrario di fronte a fatti di discutibile moralità si usa lo stesso principio, ma in qualche modo stravolto: “non sta a me giudicare”. Eppure, echeggia sicuramente nella mente di tanti il monito biblico: “non giudicate!”.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

Effettivamente il giudizio non è qualcosa che appartiene all’uomo. I passi della Scrittura sono chiari, in particolare Mt 7, 1-5 e Lc 6, 27-38.

Non giudicate per non essere giudicati. Il metro di giudizio che useremo con gli altri sarà lo stesso che sarà usato per noi. In effetti il giudizio appartiene a Dio. Egli solo conosce la profondità del cuore dell’uomo, le motivazioni che lo spingono, le circostanze che portano ad agire in un certo modo.

Noi possiamo fermarci solo alla superficie, non possiamo varcare la soglia di quella che è la terra sacra della coscienza del fratello. Tante volte a muovere le parole sono sentimenti di invidia, gelosia, senso si superiorità, la presunzione di saper fare meglio dell’altro. Dunque, la proibizione di esprimere giudizi è un invito a riflettere prima di aprire bocca.

È un invito a usare il metro della misericordia, dell’accoglienza, del dialogo. In altre parole, occorre chiedersi: “al posto suo cosa vorrei mi fosse detto?”. Probabilmente molti diremmo: la verità, ma proferita con dolcezza, amore. Ecco a cosa richiama il divieto di pronunziare giudizi.

La responsabilità di correggere

Un altro passo è illuminante: “togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello” (Lc 6,42). È un invito a guardare con onestà e lealtà in fondo al proprio cuore prima di sentenziare quello dell’altro. Solo scoprendo la nostra miseria e piccolezza ci disporremo, non a giudicare il fratello, ma a dialogare con lui e scoprire insieme se effettivamente ha sbagliato e, in caso affermativo aiutarlo a cambiare.

Giudicare non ci appartiene, infatti, ma questo non significa che non si deve provare a correggere il fratello quando è in errore. Bene e male non sono soggettivi. Ci sono delle azioni che sono sbagliate, che sono male.

Dunque, di fronte alle evidenti situazioni di peccato non possiamo giudicare la persona che lo ha commesso ma abbiamo la responsabilità di condannare il peccato e, per quanto ci è possibile, provare a correggerla con carità, misericordia e senza alcuna pretesa di superiorità. Questa nella Scrittura si chiama correzione fraterna…


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