«Non ci resta che affidarci a Dio». L’ultimo sms di Ayub prima di essere massacrato a Garissa

garissa-Ayub-Njau-KimothoLe storie di Ayub, Isaac ed Elizabeth raccontate per il progetto “non solo numeri”, che vuole ricordare le vittime dei jihadisti in Kenya.

Kenya, 147 non solo un numero (#147notjustanumber). Si chiama così il progetto ideato dal blogger Owaahh perché le vittime del massacro di Garissa non restino «mere statistiche». «Abbiamo dato vita a questo progetto perché sentivamo che la società in cui viviamo è diventata disumana», scrive sulla Stampa spiegando il suo tentativo di «umanizzare i numeri». Ma perché i numeri, diventati volti e nomi, non scompaiano insieme all’hashtag, è importante offrire qualche dettaglio in più su almeno alcune delle vittime, tutte cristiane, dei terroristi di Al Shabaab.

garissa-isaac-kosgey«AFFIDARCI A DIO». Ayub Njau Kimotho (foto sopra a sinistra), 21 anni, studente in Business administration, ha sentito subito gli spari dei terroristi la mattina del 2 aprile nel campus universitario. Si era alzato, come ogni mattina, per recarsi nell’aula usata per le preghiere.
«Era molto religioso e pregava sempre con i compagni prima dell’inizio delle lezioni», ricorda suo fratello Daniel, a cui Ayub ha cominciato a scrivere sms per raccontare quello che stava accadendo, nascosto nella stanza di un compagno. L’ultimo messaggio ricevuto da Daniel sul telefonino recitava: «Non ci resta che affidarci a Dio». Poi più niente. «Ho capito che qualcosa era andato storto, perché non rispondeva più», ha dichiarato il fratello, che non è ancora riuscito a recuperare il corpo di Ayub e che ancora spera l’impossibile: ritrovarlo vivo.

APPASSIONATO DI MUSICA. Isaac Kosgey (foto a destra) è stato tra i primi che i terroristi islamici hanno assassinato. Studente di Economia, «gli esami stavano andando bene. Era di buon umore», ricorda il fratello Stephen, l’ultima persona con cui Isaac, alle tre di notte, ha parlato prima di essere ucciso. Conosciuto anche come Pop Lord Bushen, era appassionato di musica e calcio. «Mi aveva parlato delle minacce al campus, di messaggi scritti in arabo. Ma era tranquillo, ottimista come al solito», continua il fratello, che ha riconosciuto Isaac all’obitorio, freddato con un colpo alla testa.

garissa-elizabeth-musinai«ORA STA CON IL SUO DIO». «Ora sta con il suo Dio». Questo si è sentito rispondere da una voce maschile Fred Kaskon Musinai, dopo aver provato ripetutamente a chiamare la figlia, Elizabeth Namarome Musinai (foto a fianco), 20 anni, al secondo anno di Lingue.
Ma il Dio dell’odio e della morte del jihadista che ha risposto beffardo al padre, non è lo stesso in cui credeva Elizabeth. Era stata lei a chiamare la famiglia per prima, disperata: «Stanno sparando dappertutto, non so se riuscirò a sopravvivere. Di’ alla mamma di pregare». Poi i terroristi le hanno preso il telefono e hanno fatto ai genitori un’assurda richiesta: contattate il presidente Uhuru Kenyatta e ditegli di ritirare tutte le truppe dalla Somalia. Quando la famiglia ha chiamato di nuovo, un terrorista ha risposto cinico: «Vi avevamo dato due minuti per la risposta, ascolta, ora vostra figlia è morta». Ma i terroristi avevano ragione: ora Elizabeth è con Dio.

Leone Grotti

Fonte: http://www.tempi.it/

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