In occasione di polemiche recenti, abbiamo letto numerosi interventi sulla notizia secondo cui sarebbero somministrati a bambini e adolescenti dubbiosi sulla loro identità sessuale ormoni per ritardarne la pubertà e dare loro «più tempo» per scegliere se essere uomini o donne. Questa, s dire di molti, sarebbe una leggenda urbana o una bufala inventata da ambienti pro family. A prima vista, l’obiezione convince. Chi infatti potrebbe essere così folle da somministrare ormoni a bambini per impedirne lo sviluppo e dare loro più tempo per scegliersi un’identità sessuale eventualmente diversa dal sesso biologico?
Nessuno, in effetti, tranne una parte dell’establishment medico-psichiatrico ispirata dalla lobby gay e sostenuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Cose da Stati Uniti o da Nord Europa, che non arriveranno mai in Italia? Non è proprio così. Non qualche bollettino di omofobi ma il Corriere della Sera (clicca qui) e ilFatto quotidiano (clicca qui) hanno riferito che l’ospedale fiorentino di Careggi intende, ottenute le debite autorizzazioni, iniziare la somministrazione di ormoni anche ai «bimbi» incerti sulla loro identità di maschietti o di femminucce.
Di che cosa, esattamente, stiamo parlando? Di qualcosa che nel suo manuale diagnostico – anche nella versione 2015, di prossima pubblicazione – l’Organizzazione Mondiale della Sanità chiama Gid (Gender Identity Disorder), espressione talora tradotta in italiano come «disforia di genere», che sarebbe presente in forme diverse negli adulti e nei bambini. Nei più piccoli si tratterebbe della ripetuta insistenza dei bambini a essere considerati e vestirsi in modo opposto rispetto al sesso biologico, nonché preferire i giochi tradizionali e la compagnia dell’altro sesso. Che si tratti di un “disordine” è contestato anche da una frangia del mondo gay militante, secondo la quale per questa via si rischia di riaprire la porta a considerare l’omosessualità una malattia. Per altro verso, chi dice malattia dice cura, e dagli Stati Uniti alla Scandinavia, all’Australia, all’Inghilterra e ora all’Italia esistono psichiatri e psicologi che, una volta diagnosticato il Gid, imbottiscono i bambini di ormoni per ritardarne lo sviluppo e, esattamente come sostengono le fonti pro family, dare loro «più tempo» per decidere se vogliono essere maschi o femmine. Anzi, quello del «più tempo» è spesso un eufemismo, perché alcuni terapisti danno per scontato che il bambino debba essere aiutato ad abbracciare un’identità opposta rispetto al sesso biologico.
Non sono temi solo da medici. Io sono un sociologo che tra i suoi titoli accademici ha anche una laurea in legge, e in diversi Paesi se si debba autorizzare la terapia ormonale sui minori pre-puberi è un problema legale ampiamente discusso, con intervento anche dei sociologi i quali contribuiscono a studiare in quale tipo di popolazione siano più diffusi i problemi di Gid, e quali siano le conseguenze a lungo termine delle varie terapie. Gli studi sono ancora in corso, ma due dati sembrano emergere. Primo: nella grande maggioranza dei casi i problemi di Gid non derivano dai bambini, ma dei genitori. La maggioranza assoluta dei bambini con diagnosi di Gid, secondo uno studio americano del 2003, ha almeno un genitore in cura per disturbi psichiatrici, alcolismo o uso di droghe (cfr. “Psychopathology in parents of boys with gender identity disorder”, Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, 42: 2-4).
Come risultato, secondo un altro studio, la maggioranza dei bambini che soffrono di Gid sviluppano contemporaneamente altri problemi psichiatrici, per cui la stessa diagnosi di Gid è sempre problematica (cfr. Wallien, M.S., et al. 2007, “Psychiatric co-morbidity among children with gender identity disorder”, Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, 46:1307-14.) Ma, anche al di là di questi casi estremi, la stragrande maggioranza dei bambini diagnosticati come affetti da Gid ha problemi con i genitori, i quali mandano segnali che fanno credere al bambino che «avrebbero preferito» se fosse nato di sesso diverso. Che senso ha, allora, bombardare i bambini di ormoni se il problema sono i genitori? Il secondo dato che emerge è che la terapia ormonale è pericolosa. I suoi sostenitori affermano che alcuni bambini con problemi di Gid che non sono sottoposti alla terapia si suicidano. In realtà, i dati statistici dimostrano che questi suicidi sono rarissimi, mentre sono molto più frequenti della media – lo dimostra per esempio una ricerca condotta in Svezia nel 2011 – i casi di suicidi di soggetti che hanno subito terapie e interventi di “sexual realignment”. Per questa ragione non solo critici dell’ideologia di genere, ma voci autorevoli della comunità psichiatrica come il professor Paul McHugh, già direttore della scuola dI psichiatria della Johns Hopkins University, sono schierate con chi chiede che le leggi e i tribunali non autorizzino le terapie ormonali su minorenni (leggi qui un editoriale di McHugh sul Wall Street Journal del 12 giugno 2014:clicca qui).
Le stesse autorevoli voci fanno notare che, mentre la terapia ormonale e l’intervento chirurgico per cambiare sesso presentano un’ampia serie di contro-indicazioni, nella stragrande maggioranza dei casi un accompagnamento psicologico e se del caso psichiatrico che aiuti il bambino ad accettare la propria sessualità biologica e non dia per scontato che la sua “vera” aspirazione è cambiarla, intervenendo nello stesso tempo anche sui genitori, risolve in modo definitivo il problema diagnosticato come Gid.
Proviamo a tirare le fila e a trarre due conclusioni. Conclusione numero uno: se il bambino preferisce giocare con le bambole che con i soldatini, prima di sottoporlo a un bombardamento di ormoni è meglio pensarci due volte, qualunque cosa ne pensino l’Organizzazione Mondiale della Sanità o l’Arcigay. Conclusione numero due: negli Stati Uniti, in Australia e altrove dei complessi problemi etici, legali e sociali – non solo medici – collegati alla terapia ormonale dei bambini con diagnosi di Gid si discute apertamente, e i critici possono esprimersi anche su grandi quotidiani come il Wall Street Journal. Da noi sembra che si sia deciso di fare le cose all’italiana: tranne qualche articoletto in cronaca locale sul caso dell’ospedale Careggi, “qualcuno” ha pensato che certe terapie è meglio sperimentarle in silenzio. Di qui le proteste quando qualche ambiente pro family tira la tenda e fa vedere gli apprendisti stregoni che giocano con la vita e la salute dei bambini. Si grida subito alla disinformazione e all’omofobia,
Dice un proverbio cinese che il saggio guarda la luna mentre lo stolto guarda il dito che indica la luna. Il saggio guarda i bambini sottoposti alle pericolose teorie ormonali e si chiede se tutto questo avvenga in nome della salute o dell’ideologia di genere. Lo stolto – o il finto tonto in malafede – se qualcuno denuncia pratiche rischiose per i bambini non si preoccupa dei bambini, ma di aggredire chi pubblica la notizia. Può darsi che chi milita in una certa parte politica non ami i saggi cinesi e preferisca riferimenti più di casa sua. Lo inviterei allora a riflettere su quel detto di Gramsci secondo cui, prendendosela con il barometro, non si abolisce purtroppo il cattivo tempo.
di Massimo Introvigne
Tratto da: http://www.lanuovabq.it/
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