Il consiglio tribale di Kohat locale ha stabilito la loro uccisione. Saàdia, 22 anni, era sposata ma aveva una relazione con un altro uomo, con cui sarebbe scappata di casa. Condannate a morte anche una cugina e una zia, colpevoli di averla aiutata.ISLAMABAD – Saàdia è stata giustiziata per aver tradito il marito. E con lei due parenti, una zia e una cugina, accusate di averla aiutata. È successo a Kohat, in Pakistan. Una donna di 22 anni, sposata, è stata accusata di avere una relazione illecita con un altro uomo. Il tribunale, una jirga tribale, che l’ha giudicata l’ha ritenuta colpevole e ne ha ordinato l’uccisione. Ad eseguire la pena, i suoi stessi familiari che le hanno portate in casa, uccise a colpi di pistola, poi le hanno sepolte.
Saàdia, aveva sposato due anni fa un uomo nel nord-est del paese. Secondo chi l’ha accusata, la vittima avrebbe mantenuto una relazione illecita con un altro uomo e poi sarebbe scappata da casa per sposare il suo amante. Un reato troppo grave per l’Assemblea che l’ha giudicata.
Un alto responsabile dell’amministrazione politica locale, ha raccontato che la decisione è stata presa e discussa in una ‘jirga’ locale (un’assemblea che ha funzioni di tribunale nelle tribù) composta da cinque o sei anziani che l’hanno trovata colpevole. “E’ un caso di delitto d’onore che rientra nei costumi tribali del luogo, dove il codice penale pakistano non è applicale”, ha spiegato il funzionario locale. La decisione è arrivata ieri, nella notte, con lei anche una zia di 42 anni ed una cugina di 20, responsabili di aver aiutato la giovane nonostante fosse già sposata, sono state portate in una casa e uccise. “Hanno infangato l’onore della loro famiglia”, questa la motivazione con cui sono state uccise le tre donne.
Quasi 1.000 donne uccise per delitti d’onore. La commissione Diritti umani del Pakistan ha reso noto che nel 2011 sono state uccise 943 tra donne e ragazze, perchè accusate di aver infangato l’onore delle proprie famiglie. Nel luglio del 2013 aveva fatto scalpore l’omicidio di due sorelle (assieme alla madre), ‘colpevoli’ di aver danzato, benché velate, sotto la pioggia e aver macchiato la reputazione della famiglia.
Chi ha deciso la loro condanna a morte? Certo il consiglio degli anziani che ha deciso ma anche l’uomo e la sua famiglia che si sono prese carico di punirle, controllarle e possederle nel solo modo che gli era possibile, uccidendole, ma anche la società non è esente da colpe.
“Il femminicidio, non è solo un fatto criminologico, non ha solo una valenza simbolica del rapporto (arretrato) uomo-donna, in Pakistan come nel resto del mondo. Ecco perché non riguarda solo politica, ma il modo di vivere di ogni essere umano”. Ed è per questo che si chiede anche “agli uomini di aprire gli occhi e di camminare e mobilitarsi con le donne per porre fine a quest’orrore”.
Le notizie sui mezzi di informazione li segnalano come omicidi passionali, storie di raptus, amori sbagliati, tradimenti gelosia. La cronaca li riduce a trafiletti marginali e il linguaggio le uccide due volte cancellando, con le parole, la responsabilità.
L’amore che uccide, l’amore malato, l’amore che distrugge invece di costruire. Forse dobbiamo insegnare ai nostri giovani il vero senso di questa grande e importante parola, partendo da comandamento più importante che Cristo Gesù ci ha lasciato: Ama il tuo prossimo come te stesso, affinché non si travisi che cosa sia amare e non si perda la strada che porta alla salvezza. Sì, perché amare non vuol dire possedere, padroneggiare e usare; maltrattare tanto da spingere a uccidere quando si è traditi, respinti o lasciati.
Le donne sono stanche e gridano a gran voce: “Giustizia!”.
Speriamo che queste voci siano finalmente sentite da qualcuno, prima di leggere altri nomi e altre drammatiche storie.
Pietro Proietto
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