Perché la chiesa cattolica mise al rogo Jan Hus 600 anni fa’?

Predicatore e critico della chiesa, Jan Hus (1370-1415) fu processato a condannato al rogo dal Concilio ecclesiastico di Costanza.

(Bernhard Lang) La storia di Jan Hus inizia con un matrimonio in Inghilterra e finisce con un rogo sul lago di Costanza. Il matrimonio è quello del re Riccardo II d’Inghilterra con Anna di Boemia. Celebrata nel 1382, quell’unione fece di Oxford una delle località di studio preferite dalla nobiltà ceca. A Oxford gli studenti boemi venivano in contatto con l’opera del teologo, filosofo e critico della Chiesa John Wyclif (1330-1384), soprannominato “doctor evangelicus”. Wyclif criticava la ricchezza in possedimenti fondiari della Chiesa e lo sfruttamento del popolo umile da parte del clero, auspicava un cristianesimo puro orientato secondo il Vangelo e deprecava il culto dei santi e il celibato sacerdotale. Secondo lui, lo Stato avrebbe dovuto procedere contro gli abusi della Chiesa corrotta.

Accusatore e imputato
Copie delle opere di Wyclif arrivarono a Praga, dove trovarono consensi tra gli accademici della locale università, ma furono anche all’origine di contrasti teologici. Tra i più eloquenti rappresentanti dei seguaci di Wyclif presso l’università di Praga c’era Jan Hus. Nato intorno al 1370 in una famiglia di umili condizioni, nel 1396 si laureò magister e nel 1400 venne ordinato sacerdote. All’università e in particolare nella grande Cappella di Betlemme di nuova costruzione, dove operava come predicatore popolare in lingua ceca, poté diffondere gli ideali ispirati a Wyclif.
Nel 1408 l’arcivescovo di Praga prese provvedimenti contro Hus e gli proibì di predicare. Hus si appellò alla curia papale dislocata a Pisa, ma ben presto da accusatore divenne imputato e contro di lui fu proclamata la scomunica papale.
Quando nel 1412 la tensione crebbe, Hus lasciò Praga. Trovò rifugio nelle corti dei suoi sostenitori nella Boemia meridionale, dove ebbe la possibilità di esporre per iscritto la sua dottrina. La sua opera De ecclesia, uno scritto contenente chiare critiche al papa, suscitò scalpore. Vi si legge tra l’altro che soltanto un papa che viva nella povertà apostolica può essere un vero successore di Pietro; un papa avido è invece un successore di Giuda, il traditore di Gesù. Hus criticò anche la collaborazione tra Chiesa e Stato e definì un assassinio la consegna degli eretici dal tribunale ecclesiastico allo Stato per l’esecuzione della pena capitale.

Condannato dal Concilio
Jan Hus venne invitato al Concilio, riunito a Costanza sul lago Bodanico dal novembre del 1414. Convinto di poter condurre una disputa pubblica nella quale difendere le sue tesi critiche nei confronti della Chiesa e contribuire a una riforma della Chiesa, Hus si accorse ben presto di essersi sbagliato. I magistrati del Concilio non avevano alcuna intenzione di ascoltarlo. Pochi giorni dopo il suo arrivo a Costanza, Hus fu messo agli arresti. Ripetutamente interrogato, fu condannato come eretico. Il giorno stesso del verdetto, il 6 luglio 1415, fu consegnato al potere temporale, trascinato fuori della città e bruciato vivo insieme con i suoi scritti. Le sue ceneri vennero gettate nel Reno.
Il caso Hus era soltanto apparentemente concluso, perché fu allora che la controversia ecclesiastica a Praga divampò più che mai. Si formarono gruppi religiosi, in particolare gli hussiti, che in misura crescente presero le distanze dalla Chiesa ufficiale e svilupparono una propria identità confessionale. L’avvento di Lutero all’inizio del 16. secolo fu dunque preceduto da una “Riforma prima della Riforma” ceca.

Jan Hus e la ricerca storica
Un tempo gli storici consideravano Hus come vittima di un crimine giudiziario, ma le nuove ricerche rilevano che la condanna dell’eretico avvenne in modo regolare, almeno secondo gli usi del 15. secolo. La giustizia ecclesiastica non ha mai discusso con gli eretici la possibilità di criticare le dottrine della Chiesa. Né lo stesso Hus e i suoi sostenitori si possono classificare come esponenti della modernità. Già negli anni Settanta Friedrich Heer rimase colpito dall’ostilità del ceco nei confronti delle donne: Hus era ben lungi dall’accogliere nel proprio programma di riforme la rivendicazione del matrimonio per il clero avanzata dal suo modello John Wyclif, metteva in guardia gli ecclesiastici dal contatto con le donne ritenute seduttrici e vedeva il concubinato di molti sacerdoti come fumo negli occhi.
Un altro limite del pensiero hussita può essere individuato nella sua idea della chiesa “pura”. Chi insiste sulla purezza di tutti e non vuole ammettere una distinzione tra buona amministrazione e peccati privati, arriva a propendere per l’instaurazione di un regime del terrore morale. Alcuni gruppi hussiti del 15. secolo si consideravano angeli vendicatori di Dio. Dimentichi della mitezza di Hus, devastarono – come ricorda Walter Rügert, nel suo recente “Auf den Spuren des böhmischen Reformators” – conventi, bordelli e residenze della nobiltà boema.

Attualità di Hus
Quando a prendere la parola su Hus sono i teologi, la prospettiva cambia. Ne è un esempio evidente il recente “Jan Hus im Feuer Gottes” di Eugen Drewermann. Il noto critico della chiesa cattolica indica dei paralleli tra Hus e il teologo protestante danese Sören Kierkegaard. Secondo Drewermann, Kierkegaard non sarebbe stato il primo a vedere il cristiano come persona che si affranca dal peso di un’autorità ecclesiastica esterna per seguire Cristo così come la propria coscienza e la propria ragione richiedono. Come per Gesù e per Kierkegaard, a essere decisive per Hus – sostiene Drewermann – non erano determinate dottrine, bensì l’“esistenza”, la condotta di vita che non può essere insegnata, ma si condivide tra persona e persona. La fede cristiana è “condivisione di esistenza”, non l’accettazione di dogmi e prescrizioni della Chiesa. È perciò possibile, ritiene Drewermann, considerare Hus precursore di una moderna visione della fede.
E lo Spirito Santo? Entra in gioco quando i teologi cattolici si adoperano per riabilitare Hus. Secondo un aneddoto il buffone di corte dell’imperatore fece a quel tempo ingresso nell’aula conciliare di Costanza con il messaggio: lo Spirito Santo è al momento impegnato e non può venire; bisogna decidere senza di lui. Di conseguenza, anche la condanna venne irrogata senza lo Spirito. L’aneddoto fu raccontato nel 16. secolo da Johann von Staupitz, un erudito monaco agostiniano che fu confessore e amico di Martin Lutero. Ai tempi di Staupitz e Lutero una riabilitazione di Hus era impensabile. Anche nel 1965, quando dopo il Concilio Vaticano II molte cose sembravano possibili nella Chiesa cattolica, non si arrivò ancora a tanto. In quell’anno, il 1965, a cinquecentocinquanta anni dall’esecuzione, si commemorò a Costanza il riformatore boemo, ma senza la partecipazione dell’allora arcivescovo di Friburgo Hermann Schäufele.

Riabilitazione?
Soltanto negli anni Ottanta del secolo scorso si ritornò a parlare di una riabilitazione ecclesiastica di Jan Hus, grazie a un articolo dello storico e filosofo polacco Stefan Swiezawski che risvegliò l’interesse di molti teologi e non ultimo anche di papa Giovanni Paolo II. Una volta assolto dall’accusa di eresia, secondo Swiezawski, Hus potrebbe essere riconosciuto come precursore del Concilio Vaticano II. In effetti l’accento posto da Hus sull’uso della madrelingua e la sua esortazione alla responsabilità da parte dei laici suonano moderni e attuali.
Giovanni Paolo II si adoperò per una rivalutazione del “caso Hus”. Nella sua personale presa di posizione sono riconoscibili anche motivi politici. Nel dicembre del 1999 intervenne a un’assemblea di storici che si occupavano di Hus. “Oggi mi sento in dovere di esprimere il mio profondo rincrescimento”, disse il papa, “per la morte crudele di Jan Hus e per la conseguente ferita – fonte di conflitti e divisioni – che con essa fu inflitta allo spirito e ai cuori del popolo ceco”. Tuttavia né con Giovanni Paolo II né con Benedetto XVI si giunse a una riabilitazione ufficiale di Hus. Oggi, nel seicentesimo anniversario dell’esecuzione del predicatore di Praga, attendiamo con ansia una parola da parte di papa Francesco. (da Neue Zürcher Zeitung; trad. it. G. M. Schmitt)

da: Voceevangelica.ch/

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