Prendere a calci la guerra

Nel libro di Davide Grassi e Mauro Raimondi le vicende di atleti e atlete nell’epoca dell’ultimo conflitto mondiale

Tragedie, drammi, storie di atleti noti e meno noti che incrociano la storia con la “S” maiuscola, contribuiscono a scriverla con le loro vicende umane. C’è questo compendio di vite nel libro Un calcio alla guerra* che Davide Grassi e Mauro Raimondi hanno scritto per raccontarci le drammatiche scelte che moltissimi atleti, calciatori soprattutto ma non solo, hanno dovuto compiere di fronte al più spietato degli avversari: il secondo conflitto mondiale. Ne parliamo con Davide Grassi uno degli autori, membro della chiesa valdese di Milano: «Ho sempre avuto interesse per quel periodo storico e al contempo per lo sport, quindi mi è venuto spontaneo unire questi due interessi in un libro, e raccontare, in compagnia dell’amico Mauro Raimondi, storie di sportivi rimasti coinvolti a vario titolo nella guerra: sportivi finiti a fare i partigiani, altri deportati, altri che hanno combattuto al fronte, alcuni nomi famosi e altri ormai dimenticati che abbiamo scovato con lunghe ricerche. Il valore aggiunto credo sia questo, riportare alla memoria persone che hanno sacrificato la loro vita, ma che erano state in qualche modo dimenticate».

Infatti, tantissime storie singole i cui stessi protagonisti, per pudore, per dolore, ognuno per un proprio motivo, hanno raramente condiviso: «La ricerca è durata circa tre anni: più scavavamo e più trovavamo altre storie, in una ricerca complessa e con qualche sorpresa, come la amichevole fra Juventus e Milan con il rastrellamento finale da parte delle truppe naziste».

Uno degli episodi centrali del libro: «Si tratta di una partita che si sapeva si fosse svolta, ma non c’erano documenti su quanto accaduto dopo; noi siamo riusciti, anche con un po’ di fortuna, a trovare un fonogramma della Prefettura nell’Archivio di Stato che certifica che effettivamente al termine di quel match furono fermati 300 giovani fra il pubblico: giovani che sono stati poi deportati in Germania quale forza lavoro nelle fabbriche tedesche. Una storia agghiacciante perché queste persone erano andate a vedere una partita in un contesto storico che era già di per sé drammatico, e hanno subito un rastrellamento simile».

Nel libro c’è spazio per vicende incredibili come la drammatica partita fra un reparto della Wermacht e una squadra raccogliticcia di italiani, alcuni pare addirittura partigiani: «1° aprile 1944, provincia di Macerata: i tedeschi chiedono all’arbitro di serie A Mario Maurelli, residente in zona per cui persona abbastanza conosciuta, di mettere insieme una squadra di giovani italiani; sembra incredibile ma i tedeschi volevano giocare, svagarsi. Lui si spaventò parecchio ma capì che non aveva molta scelta, aveva anche un fratello partigiano: molti rifiutarono credendo fosse una trappola ma altri accettarono e si giocò questa partita: fra l’altro gli italiani giocavano molto meglio, alla fine stavano vincendo uno a zero e si misero fra loro in qualche modo d’accordo per far pareggiare i tedeschi per non indispettirli troppo. Appena fischiata la fine gli italiani se ne andarono di corsa, e al rinfresco previsto alla fine venne il solo Maurelli, ma per fortuna non accadde nulla di spiacevole».

C’è la storia di Raf Vallone, che conosciamo come attore ma la cui vita meriterebbe un film: due lauree, filosofia, e giurisprudenza, la serie A con il Torino, la Resistenza, la deportazione evitata con una vicenda rocambolesca, poi redattore capo delle pagine culturali de L’Unità e infine celebrità del grande schermo. Poi ancora Tommaso Maestrelli, Gino Bartali e fra i tedeschi il grande campione di ciclismo Albert Richter, che avrebbe potuto vivere una esistenza dorata e che invece si oppose al Nazismo e morì dopo aver aiutato un amico ebreo a fuggire in Svizzera, e molti molti altri.

«Drammaticamente mi hanno colpito le storie dei pugili – conclude Grassi –, lo sport che forse ha pagato il tributo peggiore: addirittura ad Auschwitz si combatteva su dei ring, non solo per vincere o perdere, ma per la stessa sopravvivenza, chi perdeva finiva nelle camere a gas».

https://www.riforma.it/it/articolo/2022/07/19/prendere-calci-la-guerra

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