Quattro aspetti che la conclusione dell’Ecclesiaste dovrebbe insegnarci

Le parole creano cose.

Ricordo in maniera vivida il cambiamento nell’espressione facciale in alcuni membri della congregazione mentre predicavo in Ecclesiaste. Succede ogni volta che interagiamo gli uni con gli altri. Le parole che pronunciamo possono portare qualcuno al pianto, ad arrossire, alla rabbia o ridere a crepapelle.

Le parole cambiano anche le cose. Con due piccole parole come: “Lo voglio”, due vite cambiano per sempre. Parole di promessa che vengono pronunciate in un matrimonio non  lo descrivono, né lo commentano; lo creano. Qualcosa che prima non esisteva, è creato nel momento in cui si pronunciano quelle parole.

A causa di ciò che fanno le parole, abbiamo il libro dell’Ecclesiaste.

Dio ci ha donato le parole perché ama creare le cose. Ama vedere le cose che prima non esistevano, essere chiamate all’esistenza. Egli parla e con una parola crea ogni cosa. Sta parlando anche ora, affinché possa accadere qualcosa mentre lo ascoltiamo.

Per conoscere Dio, dobbiamo avere la capacità di ascoltarlo. L’Ecclesiaste ci aiuta a capire che l’udito spirituale è un organo importante per il cristiano.

Il Predicatore si accomoda e per l’ultima volta nel suo libro, ci spiega quanto sia importante capire come funzionano le parole. Nella sezione finale, infatti, egli risponde a due domande: come faccio a ricordare il mio Creatore e perché dovrei ricordarmi del mio Creatore? Come e perché dovrei vivere saggiamente nella Parola di Dio?

Il Predicatore finisce ricordandoci del messaggio esposto in tutto il libro. Ecclesiaste 12:9-12 ci provvede un mini-commentario sul suo libro. Questi versi spiegano come e perché il Predicatore ha fatto quello che ha fatto con le parole e, inoltre, il loro effetto su di noi.

Egli non era uno studioso relegato in una torre o rinchiuso in una biblioteca universitaria insieme ai suoi libri. Era un saggio, questo è vero, ma “ha anche insegnato al popolo la scienza” (v.11). L’ha condivisa. Ha utilizzato la sua saggezza per rendere saggi gli altri. Guardava alla vita e vedeva che, spesso, con discorsi concisi e proverbi catturava perfettamente la complessità e la perplessità della vita e per questi motivi li ha trascritti.

Finisce il discorso mostrandoci che queste osservazioni sono state fatte per portarci a realizzare quattro cose.

  1. Soddisfazione

È una triste ironia che molti credano che l’Ecclesiaste sia un libro malinconico e pessimista. In realtà è stato scritto per darci piacere e diletto. “L’Ecclesiaste si è applicato a trovare parole gradevoli; esse sono state scritte con rettitudine e sono parole di verità” (12:12). Ha cercato delle “parole gradevoli”, delle parole piacevoli e proprio perché ha fatto questa scelta di parole, quello che ha scritto è giusto e veritiero.

Come fai a sapere se conosci Dio? Ascoltando le sue parole di gioia e trovandole piacevoli. Dio non è un guastafeste. Non è burbero. Senza dubbio non è puritano nel modo in cui vuole che viviamo nel mondo. Dio si diletta in noi, deliziandoci della bellezza delle parole.

Spesso guardiamo alla Bibbia attraverso la prospettiva dell’ultima parola riportata al verso 12: “Verità”. Vogliamo sapere se possiamo fidarci della Bibbia. Possiamo fidarci di cosa dice? È vera? È giusto chiederselo. Ma la Bibbia nell’essere bella, è anche vera e nell’essere vera, è bella.

Dopo aver letto l’Ecclesiaste, rivolgiti anche al Cantico dei cantici. Per Dio una cosa è parlaci del matrimonio, un uomo e una donna che si uniscono, un’altra è darci una poesia per esprimere cosa significhi essere innamorati e vivere l’amore. La verità delle parole non si discosta dalla bellezza delle parole.

  1. Dolore

“Le parole dei saggi sono come degli stimoli (pungoli) e le collezioni delle sentenze sono come chiodi ben piantati; esse sono date da un solo pastore” (12:13). I pungoli erano utilizzati dai mandriani nel mondo antico per tenere gli animali sulla retta via. Erano delle verghe con delle sporgenze affilate incastrate all’interno ed erano usate per colpire e stimolare l’animale. Se andava a destra, dolore; se andava a sinistra, dolore; se si fermava, ancor più dolore. L’unico modo che aveva l’animale per evitare il dolore era andare nella direzione che il pastore indicava.

Le parole del predicatore sono come quelle sporgenze. Feriscono. Alcune possono averti raggiunto come una punta acuminata. Ma ti sono arrivate direttamente da Dio, da quell’unico Pastore. Potrebbe essere difficile imparare che se vuoi conoscere, amare e camminare con Dio tutti i giorni della tua vita, dovrai sentire un po’ di dolore. Alcune parole ti faranno sedere e ti spingeranno e prendere appunti.

Dio ha donato ad Adamo ed Eva il sentiero della vita, un percorso lineare in cui camminare, ma essi hanno virato altrove per ammirare un cibo diverso. Dio ci mostra che il sentiero della vita si trova nella sua Parola, una via stretta in cui camminare con Cristo come nostro Re, ma noi viriamo altrove per ammirare altro.

Ricordati del tuo Creatore lasciando che la sua Parola dissipi le tue illusioni e affronta la tua follia, anche se fa male, e spesso farà male. Lasciato ai tuoi mezzi, non sceglierai mai ciò che è giusto. Lasciato a vagare in me stesso, finirò per andare nella direzione opposta rispetto alla direzione in cui mi sarei dovuto dirigere. Poiché siamo inclini al vagare, le parole del Predicatore, le parole di Dio, ci pungono, per trattenerci sul giusto cammino.

  1. Prospettiva

Perché dovremmo trovare piacere nella Bibbia e dovremmo permettere a essa di ferirci? Una risposta è questa: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l’uomo” (12:15.)

Quello che mi colpisce qui è la totalità globale dell’espressione “questo è il tutto per l’uomo”: temere e osservare.

Non pensiamo così noi. Noi dividiamo la nostra vita in compartimenti. Abbiamo sogni e speranze, ambizioni e obiettivi e in tutto questo pensiamo alle nostre responsabilità verso gli altri: coniugi, bambini, genitori, colleghi di lavoro, amici. Ma il Predicatore ci ricorda che ogni singolo dovere o responsabilità che abbiamo verso chiunque o verso qualsiasi cosa, noi l’abbiamo prima e soprattutto verso Dio.

Il Predicatore in Ecclesiaste è d’accordo con i Proverbi: “Il principio della saggezza è il timore del Signore e conoscere il Santo è l’intelligenza”.  (Proverbi 9:10)

Temere il Signore consiste nel ricordarsi del Creatore e viceversa. Questo è il sentiero che porta a una vita saggia. Temere il Signore e ricordarsi del nostro Creatore, ci rende saggi e ci rende umili in quanto creature, esaltando Dio come Creatore; egli sa ciò che è meglio per noi.

  1. Preparazione

Come abbiamo visto molte volte, la semplice saggezza sta nel prepararsi per la fine: “Dio, infatti, farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male” (12:16.)

Uno degli aspetti più difficili che troviamo nello studio del libro dell’ Ecclesiaste, è comprendere una delle verità in esso contenute: in questa vita non possiamo ottenere risposte immediate ad alcune delle domande più comuni: “Mi sono messo poi a considerare tutte le oppressioni che si commettono sotto il sole; ed ecco, le lacrime degli oppressi, i quali non hanno chi li consoli; da parte dei loro oppressori c’è la violenza, mentre quelli non hanno chi li consoli” (4:1).

Come possiamo rispondere a tali interrogativi? Cosa dire alle persone che hanno vissuto queste esperienze? C’è, in ultima analisi, una sola risposta: Dio sistemerà ogni cosa. Da parte nostra invece, dovremo prepararci ad incontrarlo. La morte e il giudizio che ne consegue, arriveranno inesorabilmente.

Le parole del Predicatore hanno il compito di scuotere energicamente le nostre menti esattamente come farebbe una mano che appoggiata sulla nostra spalla, ci risveglia dal torpore mettendo fine alle nostre illusioni per riportarci, in un attimo, nel mondo reale.

Per il credente però, la morte e il giudizio non sono cose di cui avere paura. Ci sarà un momento in cui, i terrori di quest terra, lasceranno il posto alla gloria di un nuovo mondo. Scrive Berkouwer:

“Il male non sarà più chiamato bene, né il bene male; l’oscurità non sarà trasformata in luce, né la luce in oscurità; l’amaro non sarà più reso dolce, né il dolce amaro (Isaia 5:20) Il conflitto tra il bene e il male finirà, così come tutte le discussioni sulle motivazioni, sulle intenzioni e sulla natura del bene… L’errore sarà esposto; l’errore sarà allontanato dal Signore.”

Così mentre l’Ecclesiaste afferma che non c’è nessun “guadagno” nello stare sotto il sole, l’apostolo Paolo sostiene che in realtà c’è un solo guadagno: morire. “Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno”.  (Filippesi 1:21)

Paolo aveva compreso che in Cristo, il vivere o il morire rappresentavano comunque una vittoria. Possiamo operare per Dio mentre viviamo e possiamo vivere con Cristo quando moriremo.

La morte e il giudizio a venire, i più grandi punti fissi della tua vita, sono gli unici eventi futuri che, se riconsiderati al presente, possono trasformare davvero la vita che Dio ti ha dato da vivere.

Traduzione a cura di Anna Lombardi

Tematiche: Antico TestamentoInsegnamento biblicoMeditazioneTeologia

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