Rabbino Judelman: nell’olocausto di Hamas colpito anche chi si batte per i palestinesi

Gerusalemme (AsiaNews) – Una situazione “estremamente difficile” in cui continuano ad arrivare storie che evocano “un olocausto: una donna che rapita si è vista strappare i due bambini, gettati fuori dal finestrino dell’auto”. Un altra ancora “si era nascosta” ma i miliziani di Hamas dopo averla individuata “le hanno rapito i figli. Una realtà drammatica e terribile di uccisioni, rapimenti, confusione”. È quanto racconta ad AsiaNews Shaul David Judelman, rabbino israeliano che vive in una colonia e fondatore, assieme al palestinese Khaled Abou Awad, del movimento Shorashim-Judur (Friends of Roots, Amici delle radici), che promuove il dialogo e la convivenza fra i due popoli. “Fra le persone prelevate – prosegue al telefono – vi sono anche attivisti nell’area che, in passato, si sono spesi per il dialogo” sostenendo una soluzione alla questione palestinese e che oggi si trovano anch’esse travolte da questa escalation improvvisa e sanguinosa.

“Oggi – afferma – tutti rappresentano un obiettivo e non vengono fatte distinzioni. Io stesso in passato ho parlato di sostegno ai palestinesi, ma in questo momento tutto è più difficile” così come è altrettanto chiaro che “Hamas preparava da almeno due anni questa operazione” raccogliendo finanziamenti, armi e sostegno all’estero. Una deriva violenta cui hanno contribuito gli estremismi di entrambe le parti, osserva; ma quanto è successo negli ultimi giorni è un qualcosa di nuovo, e drammatico, per la storia della regione pur martoriata e insanguinata in passato da guerre, violenze e conflitti. “Per questo – auspica – è necessaria una pressione internazionale su Hamas per il rilascio degli ostaggi, dei bambini” così come sarebbe altrettanto necessaria una presa di posizione forte del mondo musulmano, di Fatah e di quanti si oppongono a una deriva estremista.

I vertici dell’esercito israeliano definiscono l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso “il nostro 11 settembre”, mentre il ministro della Difesa Yoav Gallant ha ordinato “l’assedio totale” della Striscia di Gaza che resterà “senza elettricità, cibo e carburante”. Al momento sembrano cadere nel vuoto gli appelli alla pace e al dialogo, come quello lanciato ieri all’Angelus da papa Francesco. Nel Paese continuano a risuonare le sirene di allarme, anche a Tel Aviv e Gerusalemme; nella città santa si sono udite delle esplosioni, almeno tre recitano alcune fonti ma è non chiaro se siano missili di Hamas caduti sul terreno o razzi intercettati dalla contraerea israeliana. I militari hanno riconquistato il controllo delle aree nei pressi del confine con la Striscia, ma sono tuttora in corso sporadici combattimenti con cellule isolate di miliziani di Hamas.

Dall’inizio dell’escalation nella Striscia di Gaza si contano già oltre 123mila sfollati, come emerge dai dati forniti in queste ore dalle Nazioni Unite, la maggior parte dei quali “per paura, timori relativi alla difesa personale e il pericolo di distruzione della propria casa”. Di questi, spiega l’Ufficio Onu per gli affari umanitari “oltre 73mila hanno trovato riparo nelle scuole”. In Israele, intanto, prosegue la conta e il difficile tentativo di recuperare i cadaveri delle vittime – in larghissima maggioranza giovani – partecipanti al rave party nel sud, assaltato in un blitz dagli estremisti di Hamas che ne hanno uccisi a centinaia e sequestrati circa 100.

L’attacco al festival musicale di Nova – cui partecipavano almeno 3mila persone – rappresenta, a livello simbolico e anche nella portata della strage, il colpo più duro inferto a Israele, rivelandone la fragilità di un sistema difensivo ritenuto sinora di primo livello. Uno squarcio enorme nella rete sinora pressoché inviolabile e che, secondo alcuni analisti, è da legare alla politica dell’attuale governo ultra-nazionalista di destra che ha voluto concentrare militari e forze in Cisgiordania – a protezione di coloni e insediamenti – lasciando scoperto il fronte di Gaza. Almeno un centinaio i civili, in larghissima maggioranza giovani, compresi stranieri o cittadini con doppia nazionalità, nelle mani del gruppo estremista che controlla la Striscia e la cui sorte è al momento sconosciuta, mentre i familiari cercano – invano – di raccogliere informazioni. Quanti sono riusciti a fuggire parlano di un “massacro”, mentre i volontari dell’associazione Zaka che hanno recuperato 260 cadaveri denunciano di colpi di arma da fuoco e attacchi che ostacolano le operazioni.

Timori e preoccupazioni per l’escalation del conflitto fra Israele e Hamas vengono espressi in una nota dai patriarchi e dai capi delle Chiese di Gerusalemme che invocano “pace e giustizia” per mettere fine alla violenza in Terra Santa. Alla radice, spiegano, vi sono “la mancanza di giustizia” e del “rispetto per i diritti umani” oltre alla tutela “dello Status Quo nei luoghi santi”. L’auspicio è che vengano interrotte le azioni militari, che rappresentazioni azioni “contrarie ai principi fondamentali di umanità e agli insegnamenti di Cristo”. Vi è infine un appello ai leader politici e alle autorità per un “dialogo sincero” e una richiesta alla comunità internazionale di “raddoppiare gli sforzi di mediazione” verso una pace “giusta e duratura in Terra Santa”.

“Oggi hanno aperto il valico di Betlemme e si potrebbe andare a Gerusalemme” racconta ad AsiaNews il parroco di Gaza p. Gabriel Romanelli, sacerdote argentino del Verbo Incarnato, ma “non posso tornare in parrocchia e sono bloccato”. “Sono in corso combattimenti – prosegue – ma non si riescono ad ottenere molte informazioni e nessuno esce di casa. I fedeli che hanno partecipato alla messa ieri sono i membri delle 10 famiglie ospitate in parrocchia, a distanza cerco di dare una mano e organizzare il lavoro”. Dalle testimonianze raccolte a distanza dal sacerdote, quella appena trascorsa è stata “una notte molto dura per i raid aerei, i bombardamenti, qualcuno è tornato per breve tempo nella propria casa per prendere beni di prima necessità e ha visto con i propri occhi la distruzione”.

Un missile, prosegue p. Romanelli, ha centrato un ristorante “vuoto in quel momento” che si trova di fronte alla casa delle suore del Rosario di Gerusalemme “causando panico fra le religiose, una esplosione molto forte che ha mandato i vetri in frantumi”. “Ne abbiamo sperimentate già in passato di guerre forti – aggiunge – ma quello che fa aumentare la paura è il pensiero di ciò che potrà succedere e il timore che sarà un conflitto ben più lungo… si parla anche di una operazione di terra dell’esercito israeliano. Il valico di Erez, afferma il sacerdote, “non è operativo e resta chiuso” mentre si rincorrono voci sulle centinaia di morti (anche) fra i civili israeliani. L’attacco al festival musicale, il gran numero di vittime “rappresentano un cambiamento sostanziale rispetto al passato, mai vista una cosa del genere prima” conferma il parroco. “Di fronte a grandi problemi – conclude – servono grandi soluzioni, serve l’intervento delle forze internazionali ed entrambe le parti devono fermare, o quantomeno ridurre la violenza” per scongiurare una crisi senza ritorno.

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