Siria. A Yarmuk i jihadisti «giocano a calcio con le teste mozzate dei palestinesi»

siria-yarmuk-isis-2Le terrificanti testimonianze degli abitanti riusciti a scappare dal campo profughi alle porte di Damasco. Dopo una settimana di assedio da parte dello Stato islamico e di Al Qaeda le vittime potrebbero essere più di mille.

Sono terrificanti le testimonianze che arrivano da Yarmuk. Il campo profughi palestinese alle porte di Damasco è da una settimana sotto assedio da parte dell’esercito terrorista dello Stato islamico, e ieri sono circolati i primi video che sembrano confermare le notizie da brivido filtrate nei giorni scorsi dagli abitanti in fuga. In un filmato, scrive Avvenire, «si vedono miliziani in passamontagna posare con le bandiere nere del Califfato in via al-Yarmuk e vicino alla moschea di al-Wasim. L’imam di quest’ultima – ha denunciato poco dopo il deputato arabo-israeliano Ahmed Tibi – è stato decapitato con l’accusa di essere “apostata”».

«TESTE SULLE INFERRIATE». Sarebbero almeno mille, sempre secondo Tibi, i palestinesi già trucidati dai tagliagole del califfo Al Baghdadi. Un esponente di Hamas (che a Yarmuk prende il nome di Aknaf Beit al-Maqdes) racconta che lo Stato islamico «ha decapitato 25 civili e ha infilzato le teste sulle inferriate». Ancora più agghiacciante, se possibile, il fatto riferito da Amjaad Yaaqub, un 16enne che è riuscito a scampare ai terroristi solo perché questi pensavano di averlo già ammazzato: «Sono venuti nella mia casa a cercare mio fratello che fa parte dei Comitati popolari palestinesi», ha detto il ragazzo. «Mi hanno picchiato finché non sono svenuto e hanno pensato che fossi morto». Prima di mettersi in salvo a Damasco come altri abitanti di Yarmuk, Amjaad ha fatto in tempo a vedere «due miliziani dell’Isis che tiravano al pallone con una testa decapitata come se giocassero a calcio».

«MERITANO LA LORO REPUTAZIONE». Anche Ibrahim Abdel Fatah, 55 anni, è riuscito a uscire dal campo profughi e ha trovato riparo, con i sette figli e la moglie, in una scuola della zona sud-ovest di Damasco dove sono per ora stati sistemati un centinaio di sfollati da Yarmuk.«Ho visto teste senza corpo», ricorda. «Hanno ucciso bambini davanti ai loro genitori. Eravamo terrorizzati. In televisione avevamo sentito racconti sulla loro crudeltà ma quando abbiamo visto coi nostri occhi… posso dire che la loro reputazione è ben meritata».
Dei poco più di due chilometri quadrati dell’enclave palestinese in Siria, il 60 per cento sarebbe caduto sotto il controllo dei terroristi, ma «per altre fonti, hanno addirittura il 90 per cento di Yarmuk», scrive Avvenire.

siria-yarmuk-isis-1TRA DUE FUOCHI. Il campo, sorto nel 1957 per dare un tetto ai profughi del conflitto arabo-israeliano, era arrivato a ospitare fino 180 mila abitanti prima dell’inizio della guerra civile, divenendo di fatto un vero e proprio quartiere della capitale siriana. Oggi i civili rimasti sarebbero appena 18 mila, intrappolati tra il fuoco dello Stato islamico e di Al Nusra (leggi: Al Qaeda) da una parte e quello dell’esercito di Assad dall’altra. Anche le varie fazioni palestinesi, dall’Olp fino ad Hamas, hanno imbracciato le armi per difendere l’area dall’assalto dei jihadisti, ritrovandosi paradossalmente “alleate” proprio del regime siriano che nel 2012 ha occupato militarmente la zona strategica. Circa duemila persone sarebbero riuscite a scappare durante l’assedio islamista, secondo il Fronte popolare per la liberazione della Palestina.

EMERGENZA UMANITARIA. «L’ultima volta che abbiamo potuto consegnare il cibo, è stato oltre una settimana fa, il 29 marzo», ha detto ad Avvenire Marina Calvino, segretario generale Unwra Italia, lanciando un allarme soprattutto riguardo ai 3.500 bambini presenti nel quartiere. «Ci sono stati già casi di piccoli, soprattutto neonati, stroncati dalla fame. Varie donne incinta hanno perso il bambino per le condizioni disumane, molte sono morte di parto». Testimoni raccontano di «cecchini ovunque» e si evocano scenari disperati come Srebrenica. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu chiede di garantire l’accesso alle organizzazioni umanitarie.

Tratto da: http://www.tempi.it/

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