Siria, le reclute bambino uccidono per 15 dollari – Viaggio a Nahr al Bared dove i terroristi di Jabhat al Nusra reclutano i soldati-minorenni. Che in cambio di pochi soldi combattono Assad. Rischiando di non tornare più in Libano.

Il campo profughi palestinese di Nahr al Bared a Tripoli in Libano.Ventimila lire libanesi. Sembrano molte, ma sono 15 dollari (circa 11 euro). Tanti bastano per convincere un ragazzo di 16 anni a lanciare bombe a mano da un quartiere all’altro di Tripoli, nel Nord del Libano.
In questa città vive infatti il 40% dei poveri di tutto il Paese. E «con 15 dollari si può mangiare per una settimana intera», spiega a Lettera43.it Bilal Obeid un 30enne di Nahr al Bared, il campo profughi palestinese poco distante dal centro cittadino.
AREA RASA AL SUOLO DALL’ESERCITO. Nel 2007, l’area venne rasa al suolo dall’esercito di Beirut, per stanare il gruppo terrorista Fatah al Islam. Oggi ne è stato ricostruita solo una parte, mentre nella zona sopravvissuta ai bombardamenti molte famiglie vivono ancora nelle famigerate baraks, i container di metallo che d’estate sono vere e proprie fornaci e d’inverno scatole di freddo e di miseria.
RAGAZZINI-SOLDATI A 15 DOLLARI. Qui i ragazzini vendono la propria manodopera per 15 dollari al giorno. Come a Nahr al Bared succese anche nei quartieri rivali di Bab Tabbane e Jabal Mohsen, nel cuore di Tripoli.
Le ragioni per combattere variano in base al periodo e al luogo: in passato erano i palestinesi di Fatah al Islam contro l’esercito libanese, oggi, a due anni dall’inizio della guerra civile siriana che ha fatto 70 mila morti e 1 milione di sfollati, la battaglia si è spostata tra i supporter dell’Esercito siriano libero contro Hezbollah, i guerriglieri di Dio che sostengono il dittatore Bashar al Assad.

Dal look si possono riconoscere salafiti e alawiti

Baraks, baracche, abitanti di Nahr al Bared nei containers.Baraks, baracche, abitanti di Nahr al Bared nei containers. 

 

 

 

I salafiti di Bab Tabbane e gli alawiti di Jabal Mohsen si riconoscono dal look. I primi hanno barbe lunghe senza baffi nonostante la giovane età. Gli altri teste rasate e tatuaggi che inneggiano alla Siria.
«Che tu sia palestinese, libanese o siriano, basta essere povero e troverai sempre una buona motivazione per eseguire gli ordini di qualcuno che ti fa sentire importante», spiega Bilal.
«Anche io stavo per cascarci, ma poi ho imparato l’inglese e trovato un lavoro».
RECLUTAMENTO CON L’IDEOLOGIA. Le tecniche di reclutamento sono simili a quelle della peggiore criminalità di tutto il mondo, ammantata però da valori ideologici.
Contrariamente alle comuni bande criminali, chi offre lavoro ai ragazzini di strada sviluppa in loro un forte senso di affiliazione, che in questa parte di mondo viene declinato in salsa islamica.
IN LIBANO DOMINA FATAH AL ISLAM. A Tripoli, nel Libano tormentato che la Siria ha sempre considerato un cortile di casa, scaricando qui tutte le tensioni interne, il movimento che va per la maggiore è quello degli integralisti salafiti, ma in passato ci sono state infiltrazioni di organizzazioni molto vicine ad al Qaeda, e non si può sapere se non agiscano ancora.
Tra di essere c’è Fatah al Islam che non a caso era riuscita a proliferare proprio a Nahr al Bared, una delle zone più povere del Libano.
Così come i salafiti a Bab Tabbane anche i membri di Fatah al Islam hanno cercato da subito di catturare i consensi dei ragazzini.

Jabhat al Nusra vicino as al Qaeda combatte Assad con i bambini

I soldati bambini imparano a sparare per combattere il regime di Bashar al Assad.(© Getty Images) I soldati bambini imparano a sparare per combattere il regime di Bashar al Assad. 

 

 

 

Il modello si replica uguale dappertutto. Jabhat al Nusra, l’organizzazione filoqaedista che combatte al fianco dei ribelli siriani e che è stata inserita dagli Stati Uniti tra i gruppi terroristici, si serve di bambini combattenti come carne da macello contro l’esercito di Assad.
Lo sospettavano in molti, ma a metterlo nero su bianco è stata la Ong Save the children nel rapporto Childhood under fire, pubblicato in occasione del terzo anniversario dell’inizio della guerra.
POCHI SOLDI, MA TANTI RISCHI. Per convincere gli adolescenti a imbracciare le armi bastano fame e miseria. L’indottrinamento religioso fa il resto.
Il legame tra i vari gruppi fondamentalisti di ‘lotta’, ‘resistenza’, ‘liberazione’ (libanesi, siriani e palestinesi) si basa sulla condivisione e la vendita di armi, e sul loro contrabbando.
I giovani libanesi partono da Tripoli o Arsal, una piccola città libanese sul confine, ed entrano in Siria per fornire ai combattenti «ciò di cui hanno bisogno». Le ricompense sono bassissime: spiccioli. I rischi, invece, sono enormi.
NESSUNO PUÒ DIVENTARE RICCO. «Nessuno sta diventando ricco con questo tipo di attività», spiega a Nahr al Bared, Fatma, madre di Abdo, 17 anni, che combatte nell’Esercito libero siriano a Damasco, affacciandosi dalla baracca in cui vive.
Quando hanno raso al suolo il campo le avevano promesso una nuova abitazione: sei anni dopo, sta ancora aspettando.
Il container misura due metri per quattro, ma lei invita i giornalisti a entrare e a sedersi con grande dignità. E spiega come ha avuto inizio il massacro dei giovani.
IN GUERRA PER SOPRAVVIVERE. Era il 2007 quando nel campo fecero la loro comparsa per la prima volta i miliziani di Fatah al Islam.
La Siria, allora, sembrava ancora un’oasi di pace e prosperità: Assad era un presidente giovane e rispettato dalla comunità internazionale. Abdo, il figlio di Fatma, aveva appena 11 anni, ma rimase fortemente affascinato dai combattenti.
«Mio marito fa il muratore lo chiamano a lavorare quando serve», spiega la donna. «Abbiamo cinque figli e viviamo con circa 200 dollari al mese (circa 150 euro, ndr)».
È bastato fare di conto, e ascoltare i borbottii della stomaco perché Abdo decidesse un’altra strada. E, quattro anni dopo, prendesse la via delle armi, scegliendo di combattere in Siria.
«Avrei voluto che facesse un lavoro normale, ma guardate come viviamo», incalza la madre. La donna indica lo stanzone in cui dormono in 13 perché dalla Siria sono arrivati dei parenti fuggiti dai bombardamenti.
«Qui prendere 15 dollari per lanciare una bomba non è un peccato», spiega Bilal interpretando la psicologia di chi lo fa. «Basta dire che è per una buon causa». Così la coscienza tace mentre la guerriglia va avanti.

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