Storia di un genocidio negato e dimenticato

391B934C903D0E8E163F2D742C5E66 Aprile 1994:  21 anni, storia di un genocidio negato e da dimenticare in fretta. Ventuno anni fa fu scritta una delle pagine più degradanti e più infami della storia dell’umanità. Per questo genocidio nessuno versa lagrime o indice commemorazioni solenni e piene di sdegno per i diritti umani violati, o per ricordare, con la solita retorica, le quasi ottocentomila vittime massacrate in nome di un solo ferocissimo e disumano odio tribale.

Le ragioni per cui nessuno verserà una lagrima, sono molteplici, alcune davvero imbarazzanti e sgradevoli da portare alla luce; per cui nessuno scriverà una riga sui “grandi e democraticissimi” giornali ultraliberal. I giornalisti pigri continueranno a spacciare al pubblico una storia obsoleta; quanto a quelli “militanti”, seguiranno imperterriti a conformare i loro articoli alle veline che saranno loro recapitate direttamente in redazione dagli agenti di Kigali.

Il 6 aprile 1994, l’aereo che riportava in patria il presidente del Ruanda Juvénal Habyarimana ed il suo collega del Burundi, Cyprien Ntaryamira, fu abbattuto in volo da un missile terra aria lanciato da ignoti attentatori. Il delitto fu compiuto nelle vicinanze dell’aeroporto di Kigali, la capitale del Ruanda. I due presidenti tornavano in patria dopo aver preso parte a dei colloqui di pace riguardanti proprio gli scontri etnici tra Hutu e Tutsi.

Cosa davvero strana nell’aereo, che era francese e guidato da piloti transalpini, non era voluta salire la moglie di Habyarimana, Agathe, che preferì tornare in patria con altri mezzi, successivamente. La figura di questa donna resta molto controversa. Di sicuro esercitava una grande influenza sul marito e sulla conduzione politica del Ruanda. Molti l’accusarono di aver avuto una parte determinante nell’attentato, ma le ragioni profonde del medesimo sono ben altre e cercheremo di esporle più avanti. Nel Ruanda sono presenti tre etnie principali: i Twa fisicamente di bassa statura, come i Pigmei, essi costituiscono il gruppo meno numeroso dello stato; gli Hutu sono, invece, di statura media e sono anche l’etnia numericamente intermedia del paese sia numericamente che economicamente, ma, tuttavia, costituiscono una minoranza rispetto ai Tutsi.

Infine i Tutsi: sono molto alti e snelli e tendono ad avere il naso e l’intero volto più sottili, essi rappresentano la maggioranza della popolazione.

Anticamente era possibile passare da un gruppo all’altro, ci si poteva sposare tra appartenenti a gruppi diversi ed esisteva una reale convivenza pacifica tra le varie etnie. Insomma, la differenza tra i gruppi era più di carattere sociale che razziale e chiunque poteva migliorare la propria condizione, salendo nella scala sociale. I colonizzatori belgi fecero l’errore di considerare questi aggregati umani come delle divisioni razziali non tenendo assolutamente in considerazione, invece,  la vera e reale differenza, che era solo sociologica ed antropologica.

Con questo atteggiamento, i Belgi irrigidirono la struttura della società e non fu più possibile, per nessuno, cambiare più gruppo: si restò bloccati all’interno di quello di appartenenza, si crearono delle vere e proprie caste, chiuse come gabbie.

I Tutsi divennero i ricchi che stavano al potere e che potevano fare tutto quello che volevano, mentre gli Hutu erano i poveri che dovevano subire tutto. Intorno alla fine degli anni cinquanta ed i primi anni sessanta, dopo numerose rivolte e massacri, i Belgi favorirono gli Hutu che presero in mano il potere. Iniziò, così, una lunga persecuzione nei confronti dei Tutsi. Il fenomeno divenne talmente grave che molti di loro, si rifugiarono nei paesi limitrofi, soprattutto in Uganda, dove misero radici, ma sempre sperando di poter un giorno rientrare in patria e prendersi la rivincita sui rivali.

Nel 1993 con gli accordi di pace di Arusha si cerca di riportare la serenità e la convivenza civile tra Hutu e Tutsi.

Come sempre avviene, ci fu chi cercò di sabotare quegli accordi e iniziò soffiare sul fuoco di questa delicata situazione armando i gruppi di Tutsi che si erano rifugiati in Uganda. Fu creato il Fronte Patriottico Ruandese (FPR) che iniziò una vasta azione di guerriglia e di attacchi indiscriminati nei confronti degli Hutu, loro storica etnia rivale.

Il giornalista francese Bernard Lugan ci aiuta a comprendere meglio tutta la trama che condusse a questi tragici e sanguinosi eventi. C’è un altro tipo di variabile che, a questo punto, deve essere considerata.

L’Africa è un continente ricchissimo di materie prime di ogni genere e soprattutto di rare materie strategiche. La presenza americana è stata ed è, però molto marginale, per cui Washington aveva deciso di creare un forte nucleo di influenza in Africa centro orientale. La Gran Bretagna, invece, era stata sempre massicciamente presente nel continente nero dove esercitava ed esercita ancora, una fortissima influenza sui suoi ex territori coloniali.

Gli USA scelsero di far diventare l’Uganda il fulcro della loro strategia di penetrazione in questa parte del continente nero. Proprio in questo paese, gli Stati Uniti armarono ed affiancarono loro consiglieri al FPR,  che dopo l’ottobre 1990, iniziò la guerra contro il Ruanda. Fornirono al Fronte anche un notevole supporto diplomatico, attraverso le basi delle ONG legate ai loro servizi che operavano in Ruanda, allestirono delle vere e proprie campagne di demonizzazione del regime di Habyarimana, presentando, invece, gli uomini del generale Kagame come degli eroici combattenti per la democrazia. Classico esempio, questo, di disinformazione di massa che partendo dal concetto di democrazia, divide in maniera manichea buoni e cattivi solo in conformità a parametri di pura convenienza politica, strategica, o commerciale.

Fino a quando in Francia François Mitterrand rimase al potere, questo piano di conquista del Ruanda fu bloccato. Cominciò ad avere successo, soltanto nel 1994 quando in Francia ci fu una divisione del potere tra la “sinistra” che occupava l’Eliseo e la “destra” che era insediata alla presidenza del consiglio, a palazzo Matignon.

  Il 7 aprile, il giorno successivo all’attentato contro Habyarimana il FPR riprese unilateralmente le ostilità violando anche gli accordi di pace di Arusha. Il presidente Mitterand divenne allora fautore di un intervento militare francese destinato a ricondurre il FPR sulle linee di partenza e ciò con l’obiettivo di salvare il processo di pace di Arusha. Il progetto trovò contrario il primo ministro francese Edouard Balladur e, di conseguenza, il generale Kagame ebbe campo libero per conquistare il paese: nel mese di luglio del 1994 divenne il padrone assoluto a Kigali.

Ciò in barba a tutti i concetti di democrazia, che come tutti sanno si basa sulla legge della maggioranza!

Facendo base in Ruanda gli Stati Uniti prepararono la seconda fase del piano: stendere la loro longa manus sullo Zaire, ricchissimo di materie strategiche di vitale importanza. Il piano prevedeva, in maniera primaria, il rovesciamento del maresciallo Mobutu dalla presidenza dello Zaire¹. Arriviamo al 1997. Paralizzato dalle false accuse di complicità con gli autori del genocidio, create ad arte dai servizi americani e riprese per intero dalla stampa francese, il governo francese non osò assolutamente intervenire per sostenere il suo alleato dello Zaire attaccato da una coalizione ugando-ruandese.

Lo Zaire ribattezzato Repubblica democratica del Congo, fu smembrato e lo sfruttamento selvaggio delle ricchezze di Kivu posto in essere dalle società-schermo ruandesi, poté avere il via libera. La conoscenza di questo retro piano è indispensabile per la comprensione della intricata situazione ruandese. I massacri incominciano quasi subito: i 580.000 machete importati dalla Cina, iniziano la loro opera di sterminio e di morte. Gli Hutu non fanno sconti a nessuno nemmeno a quella parte di popolazione del loro gruppo etnico, che, però ha dei legami di parentela con i rivali Tutsi: entrano in scena dei gruppi paramilitari gli Interahamwe e Impuzamugambi, che ferocemente infieriscono sulla popolazione avversaria.

L’unica radio ancora in funzione e non sabotata, l’estremista “RTLM” invitava, per mezzo dello speaker Kantano, a seviziare e ad uccidere gli “scarafaggi” Tutsi.

Per tre mesi e mezzo interminabili, si susseguono massacri feroci, barbarie di ogni tipo; alla fine il numero di persone che persero la vita fu tra gli 800.000 ed il milione: una cifra precisa non sarà mai possibile stabilirla.

Uno degli episodi più efferati fu compiuto a Gikongoro, allora sede dell’Istituto tecnico di Murambi: oltre 27.000 persone vennero massacrate senza pietà. La notte il sangue uscì dalle fosse comuni in cui erano stati seppelliti i cadaveri ed andò ad inumidire il terreno. Per dare un’idea, sebbene sommaria, di quello che successe si pensi che in un solo giorno, vennero trucidate ottomila persone: circa 330 persone all’ora, 5 al minuto; davvero diabolicamente agghiacciante!

A questo quadro già così fosco si aggiunga che non furono adoperate armi da fuoco o mitragliatrici, ma l’arma che fece la maggior parte del lavoro fu, ancora una volta, il machete: sicuramente rudimentale e primitiva come arma, ma altrettanto micidiale ed efficace.

Il genocidio ebbe termine nel luglio del 1994 con la completa vittoria del FPR. Esso giunto ad avere il controllo di tutto il paese, pose in essere una serie di comportamenti che finirono per aggravare la situazione già precaria del post genocidio. Il risultato fu la fuga di circa un altro milione di profughi Hutu verso i paesi confinanti: Burundi, Zaire, Tanzania ed Uganda.

Significativo fu l’atteggiamento delle Nazioni Unite: l’organismo internazionale, si disinteressò del tutto delle pur tempestive richieste di intervento urgente inviategli dal generale canadese Roméo Dallaire, comandante delle forze Onu presenti in Ruanda (UNAMIR). Anzi il numero degli effettivi fu ridotto da 2500 a 500, un mese dopo l’inizio del genocidio.

Gli Stati Uniti posero il veto in Consiglio di Sicurezza, impedendo il riconoscimento del genocidio; alla fine dopo tante traversie l’ONU, nel novembre del 1994, con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, votò la creazione di un Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda. Esso riuscì ad insediarsi nel maggio del 1995 ad Arusha in Tanzania.

Fin dall’inizio dei lavori investigativi,  gli USA esercitarono forti pressioni, affinché l’indagine sull’attentato del 6 aprile 1994, fosse esclusa dall’ambito delle attività, che il Tribunale doveva svolgere e ciò nonostante che la data rientrasse perfettamente nei limiti temporali assegnati alla competenza investigativa del tribunale medesimo. Essa era, infatti, compresa tra il primo gennaio ed il 31 dicembre 1994.

Tutti i procuratori che si alternarono alla guida del detto Tribunale si rifiutarono di cercare e perseguire gli autori materiali dell’attentato, che ne fu la causa scatenante.

L’insolito atteggiamento assunto dagli USA, pone ancora più problemi che nel 1995; allora infatti non c’erano dubbi da parte di nessuno che gli autori dell’attentato del 6 aprile 1994 erano sicuramente quegli “estremisti Hutu” tante volte accusati dalle ONG americane. Allora perché mai, gli americani si erano opposti alla possibilità che i responsabili del’attentato, fossero posti sotto inchiesta da parte del TPIR?

La risposta più plausibile a questa domanda è che i servizi statunitensi sapevano bene che l’attentato non era stata opera di estremisti Hutu… Impedendo al TPIR di condurre un’inchiesta sull’assassinio del presidente Habyarimana, gli americani coprirono di fatto gli autori materiali dell’attentato. La conseguenza fu che permisero al FPR (Fronte Patriottico Ruandese movimento quasi totalmente rappresentato dall’etnia Tutsi,  cioè rappresentativo solo del 10/15% dell’intera popolazione ruandese) di impadronirsi militarmente del potere,  cosa che la, matematica delle etnie, avrebbe reso impossibile conquistare attraverso le urne.

Nel 1998, in seguito alle denunce alla magistratura francese fatte dai familiari dell’equipaggio francese dell’aereo e anche da parte della vedova del presidente Habyarimana, Agathe, il giudice Bruguière, capo della sezione antiterrorismo, aprì un’inchiesta. Le prove raccolte contro il generale Kagame, capo dello stato ruandese, furono schiaccianti: dichiarazioni giurate, testimonianze rese davanti al giudice ed al medesimo Tribunale Internazionale, lo coinvolgevano in maniera netta ed inequivocabile.

La sua reazione fu altrettanto immediata e la stampa francese, da Libération fino a Le Figaro, cercarono di mettere in dubbio quanto raccolto dal giudice francese. La testimonianza resa a Johannesburg dal generale Faustin Kayumba Nyamwasa ex capo dello stato maggiore dell’APR (Armata Patriottica Ruandese) che nel 1994 era responsabile dei servizi informazioni militari del generale Kagame, affermò, sotto giuramento, davanti a un tribunale, che quest’ultimo: ”Ordinò l’uccisione del presidente Habyarimana”.

Il nove luglio 2013 la corrispondente di RFI in Sud Africa, Sonia Rolley, pubblicò due interviste esclusive, l’una con il generale Faustin Kayumba Nyamwaza l’altra con il colonnello Patrick Karegeya ex capo dei servizi informazione del generale Kagame, nelle quali i due personaggi accusavano, nella maniera più assoluta,  Kagame di essere il mandante dell’attentato del 6 aprile 1994, costato la vita al presidente Habyarimana.

Patrick Karegeya che, ai microfoni di RFI aveva affermato che era in grado di provare da dove il missile era stato lanciato, fu strangolato nella sua camera dell’hotel di Johannesburg, dove alloggiava, il primo gennaio 2014.

Ma c’è di più: i due missili, lanciati contro l’aereo presidenziale erano rispettivamente contrassegnati dai numeri di matricola:  04-04814 e 04-87-04835.  Essi facevano parte di un lotto di 40 missili SA 16 IGLA consegnati all’esercito ruandese qualche mese qualche anno prima e ciò lo si è potuto appurare proprio grazie alla cooperazione giudiziaria della Russia, che aveva fornito i missili qualche anno prima. Ora Kagame ed i suoi principali collaboratori, prima di tornare in patria ed assumere il potere dopo i massacri, furono, anche, ufficiali superiori dell’esercito ugandese e sappiamo bene che, dal 1990 1994, l’Uganda fu la base arretrata delle operazioni preparate dagli Stati Uniti, ma anche sede dell’arsenale protetto del FPR.

Davanti al TPIR fu ampiamente dimostrato, che l’esercito ruandese non disponeva assolutamente di questo tipo di missili e che l’arma usata per il crimine era invece nelle mani del TPR.

La signora Carla del Ponte, succeduta a Louise Arbour come procuratore del TPIR, dichiarò: “ Se in effetti è stato accertato che fu il FPR ad abbattere l’aereo del presidente Habyarimana, è tutta la storia del genocidio del Ruanda che dovrà essere messa in discussione e riscritta.”

A questo punto il coinvolgimento nel genocidio ruandese da parte degli Stati Uniti diventa assolutamente inequivocabile e le loro tattiche dilatorie, i veti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite servivano esclusivamente per coprire  gli autori dell’attentato che dette il via al massacro ruandese e che erano stati da loro istigati e guidati!

Diversi paesi occidentali mandarono dei contingenti con l’unico scopo di salvare i propri cittadini. Fra questi spiccano il Belgio e la Francia: quest’ultima, a causa del differente orientamento politico tra Presidenza della Repubblica e Presidenza del Consiglio non pose in essere nessun tipo di azione, né diplomatica né militare per limitare o porre fine alla vergogna del genocidio ruandese.

Numerosi autori delle stragi rimasero impuniti, o indirettamente protetti da altri paesi occidentali, come la Gran Bretagna, a causa dell’assenza di trattati di estradizione con il Ruanda. Nel corso degli avvenimenti persero la vita anche 27 membri dell’UNAMIR², 22 caschi blu, 3 osservatori militari, un membro civile della polizia che collaborava con l’ONU ed un interprete.

Gran parte dei responsabili trovarono rifugio nel confinante Zaire (poi Repubblica Democratica del Congo). Gli odi razziali passarono così alle nazioni vicine: si suppone infatti che essi abbiano alimentato la prima e la seconda guerra del Congo (rispettivamente, 1996-1997 e 1998-2003), e che siano stati uno dei principali fattori della Guerra civile del Burundi (1993-2005).

Il 18 dicembre 2008, il TPIR, istituito dall’ONU ad Arusha, in Tanzania, ha condannato all’ergastolo per genocidio il colonnello Théoneste Bagosora, nel 1994 a capo del Ministero della Difesa ruandese e ritenuto l’ideatore del massacro, il maggiore Aloys Ntabakuze e il colonnello Anatole Nsengiyumva.

Note: 1. “Infine a tutto ciò si aggiungeva il fatto che i dirigenti della Union Minière sapevano benissimo che il generale Joseph Mobutu era in stretto contatto con la CIA l’agenzia di intelligence americana. Sarà poi la volta del generale Mobutu di rovesciare Kasavubu e di proclamarsi presidente e capo dello stato congolese, il 24 novembre 1965”. Così Jaques Bordiot: Une main cachée dirige … Documents et Témoignages, Paris 1974, pag. 303. L’America come Crono divora le sue creature, quando non servono più le rottama, come ferri vecchi.

2. UNAMIR: United Nations Assistance Mission for Ruanda. Venne creata il 5 ottobre 1993 con la risoluzione 872 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Alla fine del 1996, avendo fallito la missione prioritaria, l’UNAMIR venne ritirata.

di Luciano Garofoli

Fonte: http://www.losai.eu/

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