Super, iper …mercato e altri scaffali del desiderio

Perché, usciti dal supermercato, ci ritroviamo spesso il carrello pieno di cose che non ci servono? Che cosa condiziona le nostre scelte? Molto dipende dalla struttura che ospita le merci, spiega il Manuale di progettazione per la grande distribuzione (Franco Angeli editore), scritto dall’architetto milanese Roberta Panza, un pamphlet per fare shopping più consapevole.

Architetto, con quali criteri sono organizzati gli spazi di un supermercato? Perché siamo indotti a seguire un certo percorso che, di solito, comincia con la frutta e finisce con l’acqua?
«Il criterio di base è sfruttare al massimo lo spazio favorendo l’assortimento. In sostanza, i percorsi devono guidare il cliente secondo una sequenza precisa. All’inizio vengono posizionate frutta e verdura, che danno colore e allegria realizzando un “effetto mercato” con bancarelle, tendoni e pavimenti in porfido. Poi, procedendo nelle corsie, si trovano i prodotti legati ai vari momenti della giornata a cominciare dalla prima colazione, con tè, marmellate, merendine. Così il cliente potrà creare continue associazioni: si vuole comprare il caffè ma si mettono nel carrello anche i biscotti. Subito dopo c’è lo spazio legato al pranzo e alla cena, con la pasta e i condimenti ecc. Ma in questo settore ci sono pure lo scolapasta e la pinza per gli spaghetti…».

E l’acqua?
«Esistono due scuole di pensiero: chi posiziona le confezioni all’inizio perché il carrello è vuoto e il cliente ha più facilità a metterci le bottiglie, e chi invece dispone le confezioni alla fine perché così il carrello resta più libero per gran parte del percorso e il cliente può comprare di più.

Il vino in genere è vicino al reparto gastronomia…
«Sì, perché lì, mentre aspetta il proprio turno, ci si guarda attorno. A volte però il vino è in un reparto a sé, per favorire una scelta senza essere disturbati dal passaggio».

Come vengono presentate offerte e promozioni?
«Ci sono le “testate”, la parte finale degli espositori, affacciate sulla corsia principale: sono spazi usati per enfatizzare i prodotti. I posti meno in vista sono riservati ai beni più utili, come sale e zucchero».

Come è concepito un supermercato tipo?
«Nella prima corsia si propongono frutta e verdura, gastronomia, pescheria e macelleria, raggruppati in un’unica area. Nelle zone meno frequentate si collocano i prodotti che il cliente andrà comunque a cercare: acqua, latte e uova. Invece, in quelle più frequentate si mettono anche le merci più care».

Quanto contano l’insegna e le vetrine?
«L’immagine esterna aiuta a identificare subito la catena. Quando viene realizzato un supermercato ex novo, valori e personalità di una certo marchio prendono forma anche nell’architettura. Le vetrine possono trasmettere vari messaggi al consumatore. Alcune sono arricchite con vetrofanie raffiguranti frutta, verdura e carni. Ma possono anche essere trasparenti per attrarre il cliente e suggerire un’impressione di efficienza». 

Oggi si affermano nuove tendenze: supermercati per ipovedenti, per la terza età, ecosostenibili e persino virtuali…
«Non è più come negli anni ’70 quando si parlava genericamente di supermercato. Paradossalmente, in una famiglia, ogni componente vorrebbe frequentare un suo supermercato ideale: il ragazzino che utilizza smartphone e tablet vorrebbe fare la spesa in un supermercato virtuale, dove si ordinano i prodotti inquadrando il codice QR (presto arriveranno anche in Italia, dopo essere stati lanciati in Corea, Gran Bretagna e Belgio). La mamma resterà fedele alla catena in cui andava fin da piccola. Il nonno invece ne vorrebbe uno su misura per lui, come quelli del Nord Europa, con grandi carrelli, prezzi ben leggibili e lenti d’ingrandimento per decifrare le etichette. Chi segue uno stile di vita “ecosostenibile” può scegliere supermercati ad hoc, con prodotti bio».

Sempre più catene commerciali dedicano scaffali o interi reparti ai single, con porzioni monouso di cibi e merci di qualsiasi tipo. Chi vive solo si può incontrare.
«Sì, il supermercato è la rivisitazione contemporanea del mercato. Non è più un luogo da vivere da soli, ottimizzando il proprio tempo. Cominciano a sorgere aree per l’intrattenimento e la ristorazione e si tende a spezzare il percorso concedendo al cliente qualche pausa in più, rendendo l’acquisto sempre più simile a uno svago. Si riscopre il lato ludico, che era rimasto sopito. E in questa nuova stagione c’è spazio anche per gli incontri e l’amicizia».

Architetto Panza, sapere come è organizzato un Supermarket, può aiutare a risparmiare?
«Sì. Non tutti i supermercati però sono uguali e risparmiare non è solo una questione di soldi. Se parliamo di prezzi, meglio gli ipermercati dell’hinterland, con un alto volume di acquisto e quindi più concorrenziali. Se parliamo di tempo, invece, l’ipermercato richiede un “investimento” di almeno due ore. Conviene allora il piccolo market sotto casa o la vendita online proposta da varie catene».

Quando e dove è nato il supermercato e chi lo ha inventato?
«Il concetto di self service alimentare risale al 1916, quando negli Usa Clarence Saunders lasciò ai suoi clienti la possibilità di acquistare i prodotti servendosi da soli. E nel 1930 nasce, in embrione, il supermercato moderno, col primo negozio americano della King Cullen. In Italia solo nel 1956, al Palazzo dei Congressi di Roma, venne realizzato un prototipo di “supermercato all’americana”. L’anno dopo nasce il primo punto di vendita dei Supermarkets italiani, divenuti poi Esselunga, in viale Regina Giovanna a Milano».

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