«Vietato piangere». La vita dei bambini yazidi schiavizzati dall’Isis e i sogni di vendetta dei loro genitori

iraq-yazidi-ansa1I bambini liberati dalle mani dello Stato islamico raccontano il loro indottrinamento: «Ci frustavano durante l’addestramento e se non imparavamo il Corano. Poi ci dicevano: sarete kamikaze». 

Sharu Baharu è un uomo yazida di 80 anni e ha sempre vissuto in Iraq, nella città di Sinjar. Fino a quando non è arrivato lo Stato islamico. Nell’agosto del 2014 i terroristi islamici, che considerano gli yazidi eretici, hanno occupato Sinjar, massacrando almeno 5.000 tra uomini e bambini e sequestrando almeno 7 mila donne. Grazie all’aiuto dei peshmerga curdi, Baharu è riuscito a fuggire sul monte Sinjar, dove l’inverno è gelido, ma ricorda bene il giorno dell’invasione.

I VICINI MUSULMANI. «Un mio vicino arabo», racconta alla Cnn, «la cui famiglia vive a fianco della mia da generazioni ha aiutato 60 yazidi a scappare dall’Isis. L’altro mio vicino arabo, musulmano sunnita anche lui, invece, ha issato la bandiera nera dell’Isis e ha preso la sua pistola. Ha ucciso quasi 20 persone mentre cercavano di scappare».

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BAMBINI TORTURATI E INDOTTRINATI. Intorno a lui giocano nove nipotini, riusciti a scappare dall’Isis insieme a lui. Non tutti sono stati altrettanto fortunati. Dakhil, 10 anni, è stato catturato e indottrinato. «Gli uomini dell’Isis mi picchiavano con i cavi della luce», spiega al Corriere della Sera. «Schiena, mani, gambe. Ci picchiavano durante l’addestramento e quando non imparavamo bene il Corano, ma anche senza motivo. Dicevano che ci avrebbero mandato a uccidere i miscredenti, gli yazidi e il Pkk. Ci dicevano: diventerete kamikaze».

«UN’ARMA, UN SALARIO E UNA BOMBA». Kamikaze contro il loro stesso popolo. Ora Dakhil è stato liberato e vive con parte della sua famiglia nel campo profughi di Qadia, nel Kurdistan iracheno. Ci sono altri bambini, fuggiti dai terroristi come lui. La vita di Azad, nove anni, sotto l’Isis era rigidamente scandita dall’addestramento jihadista: «Tre ore di Corano, otto con le armi, altre sette di attività fisica». L’addestratore proveniente dall’Arabia Saudita li allenava così: «Ci mostrava video di decapitazioni. Prometteva che ci avrebbe dato un’arma, un salario e una bomba per farci esplodere in Kurdistan. Ci diceva: “Nessuno di voi tornerà a casa”. Io non piangevo, era vietato. Ma pensavo che l’America sarebbe venuta a salvarmi». Azad invece è stato liberato dopo il pagamento di un riscatto di 20 mila dollari e grazie all’intermediazione di un altro combattente dell’Isis.

VENDETTA. Che vivano nei campi profughi o dall’altra parte del monte Sinjar, tutti gli yazidi sognano di tornare alle loro case un giorno. Kji Am Silu ora vive a Snuny, città protetta dai curdi, ed è uno dei pochi uomini sopravvissuti al massacro di Kojo, dove l’Isis ha sterminato 600 uomini e rapito oltre mille donne. «Non possiamo tornare a casa senza protezione internazionale, non saremo mai al sicuro», racconta all’emittente americana. Come tutti gli altri, desidera una sola cosa: vendetta. «Quando torneremo a Sinjar, non faremo prigioniero neanche un terrorista di Daesh (acronimo arabo per Isis, ndr)». Non c’è dubbio sul significato di queste parole.

PESHMERGA. Sinjar è strategica per il Califfato, perché collega l’importante città irachena di Mosul con la Siria. I peshmerga curdi sembrano intenzionati a riprendersela. E anche se non sarà facile, a causa delle mine sparse dappertutto e dei tunnel scavati sotto la città, i comandanti curdi sono sicuri dei loro mezzi: «Non vogliamo che nessun partito curdo turco o siriano ci aiuti. Ce la facciamo da soli».

Foto Ansa
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