Vivere in pienezza

La vita non vissuta accumula insoddisfazione e frustrazione, si vive in uno stato di disagio generale, compromettendone la salute fisica e psichica. La scienza medica e psicologica ci dice come molte delle malattie del corpo hanno un legame con le emozioni negative, per la medicina psicosomatica, ad esempio, problemi di affezioni cutanee hanno un riferimento ai sentimenti di paura, ansia, senso di minaccia, stress e problemi nervosi e di relazioni; calcoli biliari hanno un riferimento al senso dell’amarezza e dell’aggressività trattenuta; la sindrome del colon irritabile ha un riferimento alla paura e l’insicurezza; la depressione e ansia sono in riferimento a sentimenti di disperazione e disistima. Quando l’anima è afflitta da sentimenti negativi questi divengono, addirittura, la «carie delle ossa» così si esprime nei Proverbi 14:30.  Ciò che non è espresso rimane impresso e provoca risentimento, disistima e dolore. Ognuno, pertanto, indipendentemente da quello che può accadergli nel proprio cammino è tenuto a dare risposta responsabile; la chiamiamo vocazione (Riccardi P., ogni vita è una vocazione ed. Cittadella, Assisi 2014). Chi scopre la propria vocazione vive la vita come un “dono”. La vita, per essere vissuta bisogna viverla in pienezza, se vogliamo realizzare in pieno la nostra umanità e le nostre potenzialità. Diversamente produrremo quella vita non vissuta del “nevrotico adattato” (Riccardi P., ibidem). Vivere in pienezza è possibile allorquando si è pienamente se stessi; individuarsi, direbbe lo psicologo Carl Gustav Jung e, individuarsi significa divenire ciò che si è (C.G.Jung, Opere, Vol. 16, p.118). E il filosofo danese Soren Keergaard aggiunge: «diventa ciò che sei».

Nella psicologia del vangelo e dell’insegnamento psicoterapico di Gesù, non possiamo non riflettere alla parabola dei talenti (Matteo 25,14-30). Questa descrive la realtà della vita umana, indica la paura che ci sottrae ai compiti della vita. Indica, però, anche la strada della trasformazione di se (Riccardi. P., Parole che trasformano psicoterapia dal vangelo, ed Cittadella Assisi 2016).

La vita terrena è un’opportunità unica e decisiva e da come si reagisce a ciò che essa mette davanti ne deriva il proprio benessere. La vita si configura come compito da risolvere e affrontare tipico dei servi del padrone, che reagiscono in maniera diversa: «Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli e ne guadagnò altri cinque, Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due, Colui, invece, che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone» (Mt 25,15b-18).

Il padrone aveva agito tenendo conto delle “capacità” di ognuno, il servo stesso spiega al padrone il suo gesto: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso, Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo» (Mt 25,24b-25). Si è fatto prendere dal panico a causa della propria auto considerazione, seppure il padrone lo abbia riconosciuto coerente con le sue qualità. Diversamente, la sua stessa auto considerazione si è trasformata in paura di non essere all’altezza nel dare alcun contributo dignitoso.

Quante volte noi ci tiriamo fuori dai compiti, dalle sfide eppure è solo la paura che ci porta a non vivere in pienezza la vita.

Nelle paure ognuno diventa il seme di una bella pianta. Ma il seme non schiuso non realizza quello che è in suo naturale interno, l’essere pianta. Così l’uomo nasce, cresce e “dovrebbe” diventare l’uomo completo, perché quella è la legge che ha dentro. In realtà non sempre si segue quella che è nella natura di ognuno “divenire pienezza”.
“Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” … afferma il poeta Dante.

Naturalmente dobbiamo fare qualche precisazione a riguardo dell’essere se stessi, perché nella società di oggi, dove vige la cultura dell’apparenza e della falsità, dell’inganno e dell’incoerenza, dell’egoismo e dell’edonismo più smoderato si può rischiare di calpestare gli altri per essere se stessi e questo è individualismo, naturalmente una dinamica, questa, non contemplata nella visione del cristiano che fa della relazione l’eccellenza per il regno: «amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Ama il prossimo tuo come te stesso». L’individualismo, mette l’accento sull’Io è l’Io il padrone di se stessi e in questo caso si diventa centrati sul proprio narcisismo dove l’Io sovrasta ogni tu. Nel processo di individuazione, invece l’io realizza se stesso in pienezza perché si relazione e si confronta con l’altro in senso di comunione di intendi.

Pasquale Riccardi

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