L’amare come processo di maturità cristiana

                                                                                                                                     Il filoso Platone (428/427 a.C. – Atene, 348/347 a.C.) afferma: “Non conduce vita umana chi non si interroga su sé stesso” si sottolinea, indirettamente che solo l’uomo, in quanto essere umano, può interrogarsi su sé stesso, sul proprio senso della vita, sul proprio destino e sulle proprie scelte. Al contrario un animale, per quanto organismo vivente, vive di impulsi e istinti e non è in grado di sottoporre al controllo della ragione i suoi istinti. Solo l’uomo ne è capace. In questo senso possiamo considerare un dono di Dio l’avere ricevuto questa possibilità evoluta rispetto ad altre specie viventi. Approfittiamone di questo dono se vogliamo vivere una vita serena. Molte persone affrontano la vita senza alcuna riflessione, portati e trasportati dagli eventi divengono governati dagli stessi e non pensano con la propria testa. L’uomo deve avere il suo pensiero autonomo e critico e ce lo dice la psicoterapeutica del vangelo allorquando Gesù dice ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». (Mt 16,13). Questo è quello che vuole da noi il Signore, avere un pensiero critic sulle cose, quell pensiero autonomo che ci consente di entrare in intimità con l’altro che è la consizione necessaria dell’amare (Riccardi P., La dimensione amorosa tra intimità e spiritualità; D’ettoris editori 2021). Solo chi è maturo è capace di amare e amare, si badi bene è anche desiderare il bene altrui. Ma dal punto di vista psicologico la maturità risiede nella capacità che ognuno ha di dare una risposta all’interrogativo cardine della vita: ed io chi sono? Interrogativo che è il preludio di riflessione e spunti per le decisioni importanti da prendere nella vita perché ogni saggia decisione non può prescindere da una valida conoscenza di sé. Lo affermava una massima spirituale dell’antica Grecia, iscritta sulla porta del tempio di Apollo, a Delfi: «Conosci te stesso». Una massima che suona come un richiamano impellente all’interrogativo cardine della vita: “ed io chi sono?”.  Ma qui subentra un paradosso: la propria conoscenza passa attraverso la relazione con l’altro che sancisce il principio cardine dell’antropologia cristiana: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 13, 33-35). Per cui per rispondere alla domanda «ed io chi sono?», che segna l’inizio di una nuova conoscenza di sé, bisogna rintracciare, scovare, rielaborare quelle relazioni significative che hanno influito sulla propria personalità, il proprio stile di vita, il proprio modo di essere; il proprio «copione di vita» come afferma l’altro psichiatra esistenzialista E’ a partire da questa esperienza relazionale cardine che ognuno apprende come amare. Per cui situazioni conflittuali in ordine a relazioni disturbate ci consentono di definirci e conoscerci prima ancora di accusare l’altro, il partner o il prossimo (Riccardi P., La dimensione amorosa tra intimità e spiritualità; D’ettoris editori 2021). Molte persone si lamentano, si lagnano, accusano altri pur di non guardarsi dentro e cambiare stile di vita. L’emblema è la risposta di Gesù al giovane ricco che vuole avere la vita eterna, intesa come cambiamento di stile di vita, perché insoddisfatto ma non vuole cambiare in niente. Gesù gli risponde: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dàllo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi. Ma il giovane, udita questa parola, se ne andò rattristato, perché aveva molti beni» (Mt 19, 16-22). Ci vuole una certa maturità psicologica, per essere disposte a trasformarsi nuova persona per amare (Riccardi P., Parole che trasformano, Psicoterapia dal vangelo.  Cittadella Assisi, 2016).

La capacità di amare richiede, prima di tutto, nel sapere essere in intimità prima di tutto con se stessi e poi con l’altro, ama il prossimo tuo come te stesso, suggerisce Gesù. Nucleo centrale dell’amore è l’intimità, (Riccardi P., La dimensione amorosa tra intimità e spiritualità; D’ettoris editori 2021) ascrivibile alla capacità di porre in essere la “comunione” di vita che non è la simbiosi, la quale appartiene al mondo del patologico. La comunione tollera le differenze e mette insieme (cum) per un progetto di sana e autentica intimità. Si ricordi che a partire dal Concilio Vaticano II è stata concepito il matrimonio come una “intima communitas vitae et amoris coniugalis” (Gaudium et spes,  n. 48) o come “totius vitae consortium” (can. 1055). Di qui la giurisprudenza canonica che rende nullo un matrimonio quando i partner, immaturi psico affettivamente, non sono in grado di creare comunione di vita e il suo consorzio. Molte relazioni amorose falliscono perché non c’è comunione bensì annullamento di sé nell’altro; annullamento che esula dallo spirito cristiano dell’amare l’altro come sé stesso. Del resto non giova perdersi o rovinare sé stesso (Lc 9,23-25) annullandosi. Diventa ciò che sei, afferma il filosofo Friedrich Nietzsche (Divieni ciò che sei, edizioni Christian Marinotti, Milano, 2006) perché solo nella piena maturità vi è il fondamento dell’amare.

Pasquale Riccardi

Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook