Anche una bambina pùo insegnare misericordia e amore…

generale_e_bambina.preview“Una piccola bambina, strappata alla sua famiglia e costretta a vivere come schiava lontana dalla sua casa e dal suo paese, rivela tutta la forza della fede che le era stata testimoniata da genitori consacrati e fedeli, affermando con semplicità la sua certezza che Dio è potente e mostrando compassione ed amore nei confronti di chi l’aveva ridotta in servitù. La sua storia è un esempio prezioso per noi ancora oggi!” 

Si suggerisce di leggere il testo di 2Re 5: 1 a 19.In questo brano troviamo due personaggi cosiddetti minori che, come sempre accade nella Parola di Dio, non sono inseriti nel testo a caso ma fanno parte di un più grande progetto divino, a nostro beneficio: donarci degli insegnamenti. Ancora una volta la Parola di Dio ci mostra che in ogni pagina, anche le più antiche, possiamo trovare cose utili a “insegnare…ed educare l’uomo di Dio affinché sia completo e preparato per ogni opera buona” (2Ti 3:16).

È interessante notare che il personaggio principale del racconto è un pagano di nome Naaman che, oltre ad essere un Siro e capo dell’esercito del suo paese, era un uomo veramente importante. Una delle lezioni che ricaviamo da questo brano è quella di illustrarci cosa Dio può (e vuole) fare, per rivelarsi e farsi conoscere da tutti gli uomini (nessuno escluso).

Nel farlo a volte utilizza persone o strumenti che noi non penseremmo (o sceglieremmo) mai, cose diverse o “deboli”, come in questo caso una bambina e un profeta senza armi. Un altro aspetto da considerare in questo avvenimento è sicuramente l’importanza della fede per raggiungere Dio, possibile a qualunque persona, e la necessità dell’ubbidienza alla Parola di Dio come mezzo per ricevere le benedizioni di Dio.

Dio agisce come vuole

Ma partiamo dal protagonista, Naaman, le cui caratteristiche personali troviamo disseminate nel racconto e che prenderemo in esame come guida per le nostre riflessioni.

Prima di tutto ci viene ricordato che era un uomo forte e coraggioso, e non poteva essere diversamente visto il ruolo che ricopriva, quello di comandante in capo dell’esercito siro. Certamente la sua vita era stata costellata di combattimenti e, a questo, aveva dedicato immaginiamo sia il suo impegno sia le sue energie. Sicuramente da buon combattente era una persona abituata a non tirarsi indietro davanti a nulla, e nessuna battaglia o nessun nemico era troppo forte o potente per lui.

Nella breve descrizione personale che troviamo di lui viene indicato, a mo’ di riflessione per noi lettori, che gli straordinari risultati del suo valore, chiamiamoli pure “forza” e “coraggio”, non appartenevano all’uomo Naaman ma lui era solo un “involontario” strumento nella mani del Signore, il grande Dio di Israele.

Proprio come accadde a Nabucodonosor, grande re, che dovette ammettere:

“Benedissi l’Altissimo, lodai e glorificai colui che vive in eterno; il suo dominio è un dominio eterno e il suo regno dura di generazione in generazione. Tutti gli abitanti della terra sono un nulla davanti a lui; egli agisce come vuole con l’esercito del cielo e con gli abitanti della terra, e non c’è nessuno che possa fermare la sua mano” (Da 4:34-35).

Che bella riflessione che dovrebbe farci riflettere! A quanti di noi sarà capitato di pensare ai propri successi, o a ciò che abbiamo raggiunto od ottenuto nella nostra “carriera”, come a qualcosa che meritatamente ci siamo guadagnati, magari grazie ad un duro lavoro o a dure rinunce o perché no ad un impegno costante e duraturo? Quanti di noi invece sanno vedere nelle proprie realizzazioni (come fece Nabucodonosor) qualcosa che Dio ha permesso, oppure si soffermano a considerare quanto buono è stato Dio a darci capacità intellettive o forza per raggiungere quello che siamo? E perché non considerare che egli ci accompagna anche in ogni passo! Se sono quello che sono non è per merito mio, ma per la Grazia di Dio che opera in me e (perché no?) per la sua misericordia che si riversa copiosa su di noi (Ro 9:16). Questo è il senso di questa prima frase del racconto della storia di Naaman.

Potente, ma destinato a soffrire

Ma come tutti gli eroi anche quest’uomo aveva un punto debole, e non da poco, era lebbroso. Sicuramente il suo coraggio e la sua forza lo avevano aiutato a raggiungere il vertice delle forze armate del re di Siria e, assieme a questa posizione, aveva raggiunto fama ed onore. Ma ora proprio colui che aveva combattuto mille battaglie e affrontato e vinto chissà quanti nemici, doveva affrontare un nemico più forte e potente di lui, e che sicuramente non gli avrebbe lasciato scampo.

È particolare il passaggio biblico che ci presenta prima la sua posizione di capo dell’esercito, poi il motivo del suo orgoglio (era stimato ed onorato persino dal suo Re); non a caso la Bibbia ci dice che Dio stesso lo aveva usato per rendere vittoriosa la sua nazione. Infine, sempre la Parola di Dio, ci dice che era lebbroso e cioè un uomo destinato alla sofferenza e alla morte, forse anche in tempi brevi.

Come appare a volte crudele la vita: ecco un uomo famoso, ricco e potente, forse anche orgoglioso di tutto quello che aveva raggiunto, ma pure incamminato a perdere tutto. Mi sono domandato: perché Dio permette tutto ciò? Ma soprattutto, perché Dio prende in esame un uomo simile, con la sua storia, per darci le “sue” lezioni? Spesso Dio sceglie e “usa” certi uomini e poi permette che proprio questi uomini siano provati, apparentemente oltre le proprie forze, quasi a metterli in ginocchio (le tempeste di Giobbe), ma perché? E mi è venuto in mente il brano della resurrezione di Lazzaro quando il Signore stesso dice, parlando ai suoi discepoli: “Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa (il Figlio di) Dio sia glorificato” (Gv 11:4). Sono personalmente convinto che il Signore stesso utilizzò questa malattia per impartire le sue utili lezioni, non solo al personaggio del racconto ma anche a noi, ma anche per trarre gloria per sé stesso.

Piccola, schiava, ma che qualità spirituali!

Subito dopo aver presentato il personaggio “principale”, il famoso ed importante Generale, la Scrittura ci presenta il personaggio “non protagonista” da oscar (spirituale) e a mio parere straordinario, e cioè una ragazza se non una bambina.

La Scrittura ci narra che, come Giuseppe, questa bambina era stata strappata alla sua casa, ed ai suoi affetti, e trasportata contro la sua volontà, nel paese dei Siri da una banda di predoni. Come spesso accade questi predoni vendevano i prigionieri, come schiavi al miglior offerente, e in questo caso la bambina era finita “casualmente” nella casa e al servizio della signora Naaman, moglie del generale.

Non sappiamo quasi nulla di questa giovinetta, se non che fosse ebrea e che era schiava. Ci sarebbe molto da dire intorno alla situazione di schiavitù di molti Ebrei in quel tempo, ma ci limiteremo a segnalare che questa situazione era stata permessa (e voluta) da Dio stesso, nonostante all’origine ci fosse la terribile idolatria del popolo e la conseguente pre-annunciata punizione di Dio.

Cosa era accaduto? Il popolo di Dio si era allontanato dal suo Dio, lo aveva trascurato e poi abbandonato e si era prostituito ad altri dèi. Il Signore più volte aveva richiamato i suoi figli, reclamandone la sottomissione e l’ubbidienzaalle leggi, ma invano. Il Signore l’aveva predetto:

“I tuoi figli e le tue figlie saranno dati in balia di un altro popolo; i tuoi occhi lo vedranno e ti si consumeranno per il continuo rimpianto e la tua mano sarà senza forza” (De 28:32). Ed ecco che la profezia si era avverata, e così

troviamo questa bambina schiava in un paese straniero come molti altri del suo popolo, lontano dai suoi familiari, nella solitudine e forse nella tristezza.

Di questa giovinetta la Parola non ci racconta le caratteristiche umane e non ci spiega il suo stato, e nemmeno se fosse o meno depressa, cose certamente importanti, ma non così tanto se paragonate alle sue qualità spiritualiche emergono come “astri” che brillano nel buio della sua situazione come dei fari.

La bambina era sicuramente stata educata da genitori credenti e temeva Dio come pochi a quel tempo.

Una bambina ben formata da genitori consacrati e fedeli!

Certo il Signore lo aveva detto e ridetto agli Israeliti che in ogni occasione dovevano sia ricordare le grandi opere di Dio, sia la sua forza e la sua potenza a loro favore, ma anche le sue promesse che ne facevano il “loro” Dio fedele. Dio non parla mai a vuoto e, se fa ricordare o ripetere delle cose, vuol dire che quelle cose sono veramente importanti. Come è opportuno ed utile anche per noi questo concetto!

Quante volte abbiamo letto (e riletto) tanti episodi della Parola, oppure abbiamo ricevuto tanti insegnamenti da essa, ma l’aspetto più importante non consiste nella loro conoscenza quanto nel farli nostri.

Quanto bisogno ho di ricordare le grandi cose che Dio ha fatto per me!

Egli è il Dio di Abraamo, di Isacco, di Giacobbe ma anche il Dio di Enrico (e voi potete metterci il vostro nome).

E poi – domandiamoci – tutto ciò che Dio ha fatto per noi, nella nostra vita o in quella della chiesa, lo raccontiamo/ricordiamo/testimoniamo ai nostri figli o ai nostri giovani? Chissà quante volte i genitori di questa bambina hanno presentato i racconti delle opere del-l’Eterno a lei, e agli altri bambini o giovani del villaggio!

Ma detto così sembra tutto bello e semplice, ma così non era. Anche allora c’erano delle difficoltà enormi, sia per dei genitori credenti, sia semplicemente per delle persone che volevano vivere secondi gli insegnamenti biblici.

 

Ricordiamo che Israele era governato da re che notoriamente facevano ciò che era male agli occhi di Dio e il paese era dedito all’adorazione di falsi dei e succube di popoli stranieri che scorazzavano in lungo ed in largo nel paese. Si viveva spesso in periodi di bassa moralità e anche di povertà estrema. Mai come allora la disubbidienza alle leggi del Dio d’Israele e la lontananza dalla comunione con Dio aveva raggiunto livelli di profondità in negativo, tant’è che appunto Dio stesso usava uomini e popoli stranieri per punire il suo popolo. Esattamente come Dio aveva predetto, e promesso.

Ma in mezzo a tanto buio, e sterilità spirituale, c’era chi non dimenticava il suo Dio e continuava a vivere una vita realmente consacrata, anche e seppur in mezzo a mille difficoltà. Così possiamo immaginare i genitori della piccola schiava, che comunque si adoperarono a trasmettere il “timore” di Dio e il suo amore alla loro piccola. Genitori che nonostante l’ambiente non favorevole e le contrarietà si impegnano a trasmettere, con costanza e zelo, i “valori” spirituali più importanti.

L’eco delle parole “inculca il timore dell’Eterno al fanciullo…” è forte e chiaro nel retroscena della storia e così dovrebbe essere oggi per noi genitori credenti.

Abbiamo come obiettivo di preparare i nostri figli ad un futuro che non ci appartiene e che tiene conto delle promesse di Dio che mai viene meno, anche in mezzo ad una generazione storta e perversa, oppure ci preoccupiamo solo del loro futuro terrestre? Nulla di male nel fare anche questo, ma guai a noi genitori quando facciamo “solo” questo per i nostri figli trascurando il trasmettere l’insegnamento “eterno”.

Da cosa possiamo apprendere che la piccola avesse conoscenza del timore dell’Eterno e del-l’amore di Dio?

Lezioni di misericordia e di amore!

La frase che ella disse alla sua padrona è meravigliosa:

“Oh, se il mio signore potesse presentarsi al profeta che sta a Samaria! Egli lo libererebbe dalla sua lebbra”.

Intanto la piccola sapeva che a Samaria c’era un profeta, un uomo di Dio. Chissà quante volte a casa, magari a tavola assieme ai suoi genitori, o alla sera prima di coricarsi, avrà sentito parlare delle cose di Dio e di come il Signore stesso usava questo profeta, Eliseo, a sua lode e gloria. E chissà con quale enfasi i suoi genitori avranno raccontato alla loro piccola come l’Eterno Dio usava quest’uomo per compiere miracoli.

Da notare anche con quale amorevole senso di misericordia questa piccola si rivolge alla sua padrona, parlando del suo padrone: “Oh se il mio signore potesse…guarire”. Non era piena di rancore e di odio verso questo uomo e sua moglie, nonostante fosse la loro schiava. E nonostante queste persone straniere non fossero parte del suo popolo non era arrabbiata con loro, anzi si preoccupava attivamente della salute del suo padrone.

Quanti di noi, davanti a situazioni spiacevoli come questa avrebbero agito così? Forse alcuni avrebbero pensato: “Beh, gli sta bene, così almeno prova cosa vuol dire la sofferenza”. Altri forse avrebbero pensato: “Ben gli sta, così riceve la giusta punizione divina per il male fatto a me, o alla mia famiglia, o alla mia gente/nazione”. Altri ancora avrebbero ringraziato Dio per la malattia, giusta punizione per questo pagano.

Che grande lezione di amore, misericordia, e perdono che la Parola ci da attraverso questa piccola schiava.

Non una parola di rancore, non sentimenti di odio, niente cruccio, anzi pensieri onorevoli –

giusti, puri, amabili, di buona fama, anzi tutto ciò che sicuramente aveva imparato, tramite i suoi genitori, e ricevuto ed udito da Dio si era impegnata a fare, e così il Dio della pace era con lei (Fl 4:8,9).

Quante volte anziché avere pensieri di pace e di perdono ci troviamo a combattere con pensieri cattivi, con un cuore “spirante” vendetta e desiderio di farci giustizia? Io per il primo devo chiedere continuamente a Dio di purificare il mio cuore da pensieri del genere, che se non facciamo attenzione escono/nascono anche davanti a fatti qualunque a carattere quotidiano (es. un sorpasso non digerito nel traffico, o un atto non gradito di un fratello in chiesa).

Possa il Signore insegnarmi ad essere così, ad avere nel cuore gli stessi sentimenti di questa piccola, pallido esempio dell’amore e della misericordia più grande esercitati da Gesù Cristo che mi ha amato quando io lo odiavo ed ero lontano da lui, immerso nel mio peccato e seguace del principe di questo mondo. Cristo che si è rivolto al Padre dicendogli: “Oh se Enrico potesse presentarsi al Padre, per essere guarito dalla sua malattia mortale!” e il Padre lo esaudì mandandolo qui sulla terra a morire proprio per me, al mio posto.

Uno strumento “debole” per parlare ad un uomo “forte”

La storia prosegue perché Naaman decise di ascoltare la voce dell’ultima degli ultimi, infatti chi poteva ascoltare la voce di una piccola bimba, schiava, ebrea e serva della moglie del grande generale? Eppure Naaman ascoltò quella voce, che arrivò là dove Dio aveva previsto. E così abbiamo ancora una volta la prova che il nostro Dio “è il Dio dell’impossibile”! Questo mi fa riflettere sul brano di Romani 8:28, 29 (“Or sappiamo che tutte le cose coope

rano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno. Perché quelli che ha preconosciuti li ha pure predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo”).

Questa ragazza non lo sapeva ma il suo rapimento, la sua schiavitù e la sua prigionia era parte del disegno divino. Lei inconsapevolmente era stata chiamata ad essere parte di un disegno più grande, quello che avrebbe portato alla conversione di quest’uomo pagano. Abbiamo detto che lei amava sicuramente Dio, e lo testimoniano le sue parole e le sue scelte, non stette zitta davanti alla malattia del suo padrone, ma anzi rischiò nel chiedere udienza a sua moglie e poi a parlare con lui direttamente.

Fu così convincente da spingere il grande generale a far menzione di lei al suo re e ad andare addirittura nel Paese dei suoi nemici a cercare un profeta. Che dire se non che dietro alla piccola, stava agendo “il grande Signore dei Signori”?

Dio usava lo strumento più debole che esisteva allora, una piccola bambina, donna, schiava ed ebrea (nemica) per portare alla guarigione ed alla salvezza un grande della terra.

Guarito e… riconoscente!

Tutti conosciamo il resto della storia, vale a dire i passi del generale per arrivare alla “fonte” della sua salvezza, come egli andò dal suo re, poi si incamminò verso Israele e Samaria carico di tesori e regali, pronto a comprare la sua guarigione. E conosciamo anche come Dio guidò quest’uomo a non dipendere dalla sua forza e dal suo coraggio, né dai suoi soldati, e nemmeno dai suoi averi/tesori. Sappiamo anche che quest’uomo dubitò quasi sino alla fine, visto che gli era stata chiesta una cosa “strana” (tuffarsi sette volte nel Giordano), mentre lui si aspettava cose grandi da compiere, come se gli uomini da sempre volessero,

o dovessero, fare grandi cose per compiacere a Dio. Fu il Signore stesso, che usò altri suoi servi sia per placare la sua ira, davanti alla strana indicazione del profeta, sia per convincerlo ad ascoltare la Parola di Dio.

Così l’Eterno lo guidò a scendere nelle acque del Giordano per essere lavato dalla sua malattia, e dovette scendere sette volte, come simbolo del continuo impegno alla purificazione della quale noi tutti abbiamo bisogno. Ma la cosa più importante questo generale la disse al profeta Eliseo, dopo la sua guarigione:

“Ecco io riconosco adesso che non c’è nessun Dio in tutta la terra fuorché in Israele….non offrirò più olocausti e sacrifici ad altri dèi, ma solo al Signore”.

Un altro aspetto del comportamento di Naaman mi ha colpito. Esattamente come uno dei dieci lebbrosi guariti dal Signore stesso, lo straniero samaritano, egli tornò indietro riconoscendo che era stato salvato.

Certo era stato incredulo, in fin dei conti non era parte del popolo di Dio, anzi gli Ebrei erano suoi nemici, eppure aveva accettato quanto gli era stato detto di fare per la sua salvezza. Fu ricalcitrante, ma alla fine seppur spinto da altri “scese” nel fiume mettendo all’opera la sua fede e credette: per questo fu salvato. Ma l’aspetto importante è che tornò indietro, andando dal profeta, e lo fece per riconoscere che Dio era grande e col desiderio di adorare quel Dio che l’aveva salvato.

Il suo tornare indietro mi ha fatto riflettere. Questo uomo si sarà visto guarito, si sarà detto “Ma allora è vero! Questo Dio è grande!”. Non si preoccupò di ritornare subito a casa, di raccontare ai suoi amici, o al suo re, che era guarito, no! La sua prima preoccupazione fu un’altra, vale a dire ritornare indietro, ma non a casa. Che bella questa “conversione”, che mi piace pensare preceduta da un momento di stupore per il miracolo e poi da una riflessione forse commossa per la guarigione ottenuta. Ho bisogno anch’io di fermarmi un momento,

fare una pausa nelle mie mille attività quotidiane e riflettere sulle grandi ed immense cose che Dio fa per me ogni giorno.

Il mio Signore non è solo colui che mi ha salvato e che mi ha risparmiato un futuro di condanna e di morte, a causa del mio peccato.

Egli è anche colui che ha preso l’impegno di prendersi cura di me ogni giorno, ogni momento. Egli è colui che ascolta le mie preghiere, è colui che non mi lascia mai e che mi è accanto in ogni momento della mia vita. Devo proprio fermarmi e ringraziarlo per tutto questo. Che grande Dio e buon Padre che ho!

Abbiamo così visto come Dio ha sotto controllo ogni momento della nostra vita: nulla gli è nascosto e neppure un istante noi siamo alla mercé degli eventi. Per i credenti non esiste il caso o la fortuna, anzi per noi c’è sempre la preziosa promessa di Romani 8:28 “Tutte le cose, ma proprio tutte, anche le più piccole ed ininfluenti, anche le più banali concorrono al mio bene”, perché dietro questi eventi (piccoli o grandi, facili o difficili, belli o tristi, gioiosi o tragici, felici o tristissimi) c’è sempre la sua mano amorosa. E proprio perché Dio è dietro questi eventi che egli nella sua grazia può usare piccoli e deboli strumenti per fare “grandi” cose a sua lode e gloria. Ecco perché una bambina, piccola schiava ma credente, cambiò la vita ad un potente generale. Perché questa piccola era stata educata nelle vie del Signore ed era stata educata (e quindi pronta!) a lasciarsi usare come Dio gradiva ed aveva deciso, a lode e gloria del suo nome.

Che Dio permetta ovunque io sia, e in qualunque situazione mi possa trovare, che io possa essere uno strumento docile ed utile nelle mani del grande Re a beneficio di chiunque egli mette sulla mia strada, affinché il suo nome sia glorificato.

notiziecristiane.com

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