Carcerati…Bisognosi di liberazione

Il racconto di Michele Altieri, da 21 anni ispettore della Polizia penitenziaria a Poggioreale, testimonia che il carcere può essere un luogo di opportunità per tutti!

Ricordatevi dei carcerati, come se foste in carcere con loro; e di quelli che sono maltrattati, come se anche voi lo foste (Ebrei 13, 3).

Ho 49 anni e sono ispettore della Polizia penitenziaria nell’Istituto di Napoli Poggioreale. Mi arruolai nell’allora Corpo degli Agenti di Custodia nel gennaio del 1989. Ero l’ultimo di sei figli orfani di padre e vivevamo in un brutto quartiere di Napoli. La situazione economica non rassicurante costringeva mia madre a lavorare dalla mattina alla sera. Io sono cresciuto per strada, esposto a tanti pericoli. Ma poi una sera, era il 3 maggio del 1981, si avvicinò un ragazzo di nome Geremia che mi parlò della salvezza in Gesù. Sapevo di essere un peccatore ma gridai dentro di me «Gesù salvami, ti accetto come mio Signore e Salvatore». Mi sciolsi in un pianto di liberazione e di gioia perché sapevo di aver ricevuto il perdono di Dio e perché cominciava per me una nuova vita con Gesù.
Potrei raccontarvi che come credente sono stato una luce dell’evangelo nelle carceri sin dal primo giorno, ma non è così. Solo l’esperienza della vita, accompagnata dalla fede personale, ti fa maturare l’idea che l’universo carcere, che per molti e per definizione è il luogo dell’assenza di speranza, è proprio il luogo dove la speranza può avere il suo inizio.
Negli anni ho capito l’importanza di stare insieme ai detenuti, di «sentirmi uno di loro» nel senso di condividere quella pena con la P maiuscola, che è il dolore di quando si prende coscienza del male commesso. E tutti noi sappiamo di averne commesso e di commetterne.
Attraverso la calma, il tanto tempo a disposizione, la notte – tutte condizioni «forzate» nel carcere – è possibile non solo accorgersi dell’umanità dell’altro ma riconsiderare la propria umanità. Distratti da mille cose, privi del tempo e del coraggio di guardare ai nostri errori, ci manca il silenzio dell’ascolto, il silenzio dell’attesa, il silenzio del ringraziamento, il silenzio della comunione, il silenzio dell’abbandono. Ecco, dunque, che il carcere può essere un luogo di opportunità: proprio nel silenzio Dio ama rivelarsi e nel silenzio possiamo rivedere la nostra posizione davanti a lui, sentirci veramente liberi di quella libertà che nessuno ci può togliere.
Dopo sei mesi a Parma e quattro anni a Cuneo, sono circa 21 anni che lavoro al carcere di Poggioreale e, malgrado le difficoltà, il mio cuore si riempie di gioia e di speranza quando vedo che figli di Dio si prendono a cuore la vita dei detenuti, che restituiscono loro dignità e li sostengono nel pensare a un futuro migliore per loro e le proprie famiglie.
Posso testimoniare che ci sono tantissimi detenuti che, grazie al lavoro di accompagnamento pastorale dei cappellani, hanno trovato quella libertà di cui avevano bisogno e di cui noi tutti, anche se liberi, abbiamo bisogno. Tutti necessitiamo della liberazione, che è una condizione che va ben oltre il concetto delle sbarre.
Negli ultimi anni, a causa di seri problemi al cuore, non mi occupo più strettamente dei detenuti, anche se il mio impegno non è calato. Sono il segretario locale del sindacato più rappresentativo del Corpo (S. A. P. Pe) e vice-segretario regionale della Polizia penitenziaria che non va assolutamente dimenticata. I poliziotti lavorano con grandissimo disagio: turni stressanti, carenza grave di personale (7000 unità in sotto-organico in Italia rispetto alla necessità), molti sono i casi di suicidio anche tra il personale di Polizia Penitenziaria. Da quasi venti anni, inoltre, mi dedico nel tempo libero al volontariato insieme a mia moglie e ai miei figli che condividono con me questo impegno.
Oggi sento che Dio mi ama ancora di più perché ho imparato a non giudicare, a saper chiedere perdono, a perdonarmi e a perdonare il prossimo. Soprattutto ho imparato a ringraziare Dio perché sono un suo figlio, amato e chiamato a essere, anche in un luogo come il carcere, testimone della speranza che Dio mi ha donato.

Michele Altieri

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