Libri: Ben Witherington, Women and the Genesis of Christianity.

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WOMEN-and-the-Genesis-195x300Ben Witherington III, Women and the Genesis of Christianity, Cambridge University Press, New York, 1995. Chiaro presupposto della Scrittura come unico fondamento sulle questioni di fede e di morale.

Recensione di Daniele Mangiola, DiRS-GBU

Già noto al pubblico evangelico italiano per il suo “Il codice del Vangelo. Su Gesù, Maria Maddalena e il neognosticismo”, edito qualche anno fa da Edizioni GBU, Ben Witherington III è autore di fama mondiale per la sua conoscenza profonda del periodo dei primissimi secoli del nascente cristianesimo. Il testo qui presentato, non edito in Italia, è, come egli stesso precisa nell’introduzione, la versione divulgativa di due suoi precedenti lavori più tecnici sulla questione del ruolo e lo spazio occupato dalle donne nella prima chiesa, segnatamente quella raccontata dai testi del NT.

Molto efficace la panoramica sul ruolo della donna nella società del tempo nei tre contesti in cui la Nuova Via si andò affermando – il giudaismo, l’ellenismo, Roma – a cui sono dedicati i primi tre capitoli. Tutt’altro che pedante, rende più intensa la comprensione di come e dove il cristianesimo si ponesse in continuità e rottura rispetto alle consuetudini già vigenti. Ad esempio la figura di Lidia, il cui ruolo è fondamentale per lo sviluppo della chiesa nella Macedonia, in un certo senso trova fondamento in una cultura che, qui e in Asia Minore, vede normalmente la donna impegnata sia nel pubblico che nel privato allo stesso livello dell’uomo. Ma si tratta di un contesto a parte. Né la cultura greca, né quella romana, a dispetto di tanta apparenza, concedono altrettanta emancipazione alla donna, soprattutto rispetto alla predominanza maschile, in famiglia e in società.

Per comprendere il rapporto di Gesù con le donne bisogna radicarlo nel suo contesto giudaico. Un elemento di rottura sta nella distinzione che Egli fa tra la famiglia fisica e la famiglia della fede, dando una netta predominanza a quest’ultima (l’”odiare” padre e madre, il rifiuto di incontrare sua madre e i fratelli, ecc.). Con un tale gesto l’individuo viene restituito alla propria scelta di fede, sia esso uomo, donna, schiavo o libero: lo testimoniano le varie volte in cui i modelli di fede che porta siano proprio delle donne e spesso tra quelle più ai margini (la vedova, la prostituta, la donna del flusso di sangue, la straniera). Ciò sia nei diversi episodi della sua vita terrena che negli insegnamenti e parabole (è quella di una donna straniera la “grande fede”, laddove quella dei suoi intimi è “piccola fede”).

Interessante è vedere che i vangeli offrano delle donne come esempio di discepolato: Maria sorella di Marta e la stessa Maria madre di Gesù, alla quale è dedicata un’attenta riflessione, dalla quale risalta come essa, nella sua esperienza di vita, abbia maturato un fedele discepolato a spese della sua maternità (vedi le nozze di Cana). E come in nessun modo la prima chiesa possa aver rivestito la sua figura di particolare sacralità.

Ma con lo stesso coraggio con cui riscatta il ruolo della donna dai pesanti stereotipi della sua cultura, nulla lo avrebbe trattenuto dallo scegliere tra i dodici qualche donna, cosa che, bisogna constatare, non fa. Da questo e da altri episodi si evince che Gesù, pur mirando ad una riforma delle dinamiche di genere in seno alla cultura giudaica in nome del Regno, sembra però volerne preservare la struttura fondamentalmente patriarcale, sia a livello sociale che familiare.

La terza parte del libro è dedicata alla teologia paolina. È importante tener ben presenti i differenti contesti in cui Paolo scrive e il fatto che il più delle volte egli si trovi impegnato a dibattere questioni concrete sorte nelle comunità a cui si rivolge. È molto importante spesso riflettere, nota Witherington, su ciò che l’autore non dice, dà per scontato o sulle modalità con cui tratta delle differenti questioni, oltre che su ciò che esplicitamente dice. Ad esempio, 1 Corinzi 7, con il suo costante parallelismo tra uomo e donna denota una visione egualitaria nella relazione tra i due sessi, laddove la normalità del tempo vedrebbe una preponderanza di diritti da una parte e di doveri dall’altra. Anche altrove, laddove parla di sottomissione, in nessun caso questa può essere pretesa o forzata dall’uomo, ma soltanto risultato di una volontà responsabile della donna in funzione proprio della sequela di Cristo, non di una qualsiasi inferiorità. Ciò per quanto riguarda la famiglia fisica.

Per quanto riguarda la famiglia della fede, pur esaminando i punti in cui Paolo si trova a ridimensionare dei comportamenti disordinati da parte di donne, la stessa esistenza di questi episodi dimostra che la normalità prevede, in quella prima chiesa, una partecipazione femminile attiva anche in termini di diritto di parola (profezia, preghiera, ecc). è evidente poi quanta importanza abbiano le donne nel lavoro missionario di Paolo. E in questo primo periodo della chiesa non sembrano esistere dei sistematici percorsi di ordinazione al ministero pur essendo presente una certa struttura nella divisione delle funzioni. Non risultano però presenti esplicite limitazioni di genere nell’accesso a una qualsiasi mansione spirituale.

Anche Paolo, con la stessa determinazione con cui riconosce come collaboratrici molte donne, dimostra di mantenere come valida la struttura patriarcale sia in seno alla famiglia che alla chiesa, pur se riformata radicalmente nella sua sostanza, laddove l’uomo, non più dominatore e detentore di diritti, è ora protettore e gravato della responsabilità della cura.

La quarta parte analizza la presenza della donna negli evangeli notando le differenze tra i quattro. Laddove Marco manifesta scarso interesse per la tematica di genere e Matteo risulta in certo senso aderente alla visione giudaica tradizionale, è interessante invece notare l’attenzione alla questione che manifestano Luca e Giovanni (non a caso, nota in un altro punto, tra gli scritti più tardi del NT). Sia tra gli episodi che riporta che tra le parabole, Witherington nota lo sforzo di Luca di portare avanti un costante parallelismo uomo-donna che non di rado si esplicita in inversione dei ruoli (lo stesso modello narrativo continua nello scritto degli Atti) laddove è la donna a manifestarsi come modello di fede invece che l’uomo. Poi le donne nella prima chiesa impegnate nella nascita, crescita, formazione delle varie comunità, da Lidia alle figlie di Filippo, a Priscilla con Aquila (quattro volte la coppia viene menzionata anteponendo il nome della donna, cosa decisamente inusuale, se non per specifici motivi: aveva lei forse un ruolo di preminenza nella chiesa rispetto al marito?). La stessa attenzione alle figure femminili come modello di fedeltà (Maria Maddalena al sepolcro, messaggera verso i dodici, la Samaritana, annunciatrice nel villaggio) si trova in Giovanni.

Valgono da sole l’intero libro le poche pagine di conclusione dell’opera, in cui l’autore tira le fila di quanto esposto e soprattutto lo inserisce nel quadro della prima comunità cristiana, del suo particolare modo di essere una comunità religiosa, del suo particolare modo di intendersi in mezzo al mondo, della sua particolare vocazione missionaria. Una comunità guardata con sospetto per la sua distanza dai costumi mondani, per la sua sottomissione ad un unico Dio che non era l’imperatore. Una tale comunità si preoccupava di non causarsi inutili ulteriori persecuzioni né un eccessiva ostilità che avrebbe danneggiato l’opera evangelizzatrice. Portatrice com’era di una nuova cultura, di istanze egualitarie tra i sessi e tra classi sociali in nome di Cristo, è normale che si preoccupasse di incitare all’obbedienza alle autorità o al rispetto delle dinamiche sociali e familiari, di prevenire inutili disordini che sarebbero stati motivo di scandalo. Ovviamente, se di questione di genere si tratta nelle pagine del NT, lo si fa in modalità che differiscono di molto dalla nostra percezione di uguaglianza tra i sessi. L’analisi teologica è deliziosamente profonda e illuminante e non può essere ulteriormente qui approfondita.

Una riflessione, questa di Ben Wiherington III, portata avanti con il chiaro presupposto della Scrittura come unico fondamento sulle questioni di fede e di morale. Un argomento sul quale molta chiesa evangelica italiana dimostra di muoversi ancora con pesantezza e tanti imbarazzati silenzi.

Daniele Mangiola

Fonte: http://www.cristiani.info/lunedi-letterario/

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