Considerazioni sul successo degli Evangelici Pentecostali a fronte della decrescita delle comunità storiche

La Stampa di Torino, pubblica oggi una interessante intervista al sociologo Massimo Introvigne, in occasione dell’uscita dell’Enciclopedia delle religioni in Italia, curata dal sociologo Massimo Introvigne e Pierluigi Zoccatelli. Uno dei passaggi dell’intervista, riguarda in modo particolare le ragioni il successo dei Pentecostali anche in Italia, a fronte della riduzione di appartenenti alle comunità storiche.Ecco la risposta del sociologo torinese: 
«Qualche anno fa una figura storica del protestantesimo italiano, il pastore valdese Giorgio Bouchard, presentando un mio libro disse che quando era nato lui il protestante tipico italiano era uomo, viveva in Piemonte, aveva un cognome come Bouchard ed era valdese. Oggi il fedele protestante tipico italiano è una donna, vive in Campania o in Sicilia, è pentecostale e si chiama Esposito. Il protestantesimo italiano cresce in modo significativo, e questa crescita di deve in larghissima parte alle comunità pentecostali.

Il fenomeno è mondiale: ovunque nel mondo le comunità protestanti storiche perdono membri e quelle pentecostali – arrivate ormai al mezzo miliardo di fedeli – ne guadagnano. Certamente – lo sa bene il nuovo Papa Francesco, che si è interessato del fenomeno in Argentina, dov’è molto vistoso – una delle ragioni del successo è la preghiera molto viva e calorosa, che attira ex-cattolici specie nelle zone dove c’era un forte attaccamento a una religiosità popolare che andava certo purificata ed evangelizzata ma che una maldestra “modernizzazione” cattolica ha combattuto, determinando un esodo di cattolici verso il pentecostalismo.

Non a caso  nell’incontro con le confraternite del 5 maggio il maggiore rappresentante della chiesa cattolica ha messo in guardia contro la liquidazione frettolosa della religiosità popolare. Ma una seconda ragione è riassunta nel titolo di un’opera del giurista e sociologo protestante americano Dean M. Kelley (1926-1997) del 1973, che è diventata un classico della sociologia: Why Conservative Churches Are Growing, “Perché crescono le Chiese conservatrici”.

A Kelley, che era un dirigente del Consiglio Nazionale delle Chiese americane, quello che riunisce le comunità storiche, il fenomeno non piaceva, ma già nel 1973 lo constatava e prevedeva che sarebbe esploso: adottando posizioni “liberali” su temi come l’aborto e l’omosessualità, e più in generale una teologia progressista che mette in dubbio la storicità della resurrezione e dei miracoli, le comunità storiche ottenevano l’applauso dei grandi media – il che dava loro l’impressione di essere sulla strada giusta – ma nello stesso tempo perdevano a ritmo sempre più rapido membri, che passavano alle comunità più conservatrici, soprattutto pentecostali».

(BuonaNotizia.org)

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