
Sarebbe (se accadesse) il segno più eclatante dell’eclisse che si sta diffondendo nel Vecchio Continente. Figlia – è il caso di dirlo – di una recessione nata sulle piazze finanziarie di matrice anglosassone, ma che ha anche cause che vengono da lontano. I motori principali della crescita risiedono, nella teoria economica “classica”, nelle tendenze del lavoro e del capitale e nella loro produttività. È su questi fattori che si affannano a dibattere politici ed economisti. Poi c’è il motore di riserva: la popolazione appunto, che esercita un benefico influsso tramite gli effetti della sua composizione. La crescita è concentrata oggi nei Paesi in via di sviluppo, dove si espande soprattutto la popolazione giovane. Lo attesta qualche dato generale relativo a due Paesi “rampanti” come l’India e il Brasile: nel primo, nel 2008, quasi una persona su tre aveva meno di 14 anni, contro l’una ogni 7 dell’Italia. E in Brasile la quota di popolazione in età di lavoro è salita di oltre l’8% fra il 1985 e il 2008; in Italia invece è calata di quasi 1,7 punti. Meno giovani si traducono in una minor spinta all’innovazione: non per niente la Ue ha clamorosamente fallito l’obiettivo che si era data 10 anni fa, nella strategia di Lisbona, di portare almeno al 3% del Pil le spese in ricerca e sviluppo. All’estremo opposto, la Cina ha più che raddoppiato, dal 1996 a oggi, le risorse investite.È un fenomeno “oscurato”, quello della correlazione fra un aumento moderato della popolazione e quello dell’economia, ma ogni tanto emerge. Negli Stati Uniti se ne sono occupate anche due autorevoli riviste come Forbes e Foreign Policy: su quest’ultima il demografo Phillip Longman ha sostenuto che il mondo oggi rischia la «sottopopolazione». Cioè l’inverso rispetto alla dimensione dominante finora: sono occorsi infatti oltre 50mila anni perché, circa 200 anni fa, la popolazione mondiale raggiungesse un miliardo di persone. Nel solo XX secolo, invece, si è quadruplicata. Ma lo sviluppo economico l’ha sopravanzata. E non c’è stata alcuna penuria di beni e servizi. Anzi, a livello pro capite, fra il 1950 e il 2000, si sono in media triplicati. Le teorie malthusiane sono state così sconfitte. E nel club mondiale degli economisti crescono gli studiosi “pro-incremento demografico”: come il premio Nobel (nel ’92) Gary Becker, convinto assertore dei «vantaggi di una crescita moderata della popolazione». Anche per evitare di concentrare il carico fiscale sui più giovani, costretti a pagare più tasse per finanziare i servizi destinati alla quota crescente di anziani. E per scongiurare la prospettiva di ritrovarsi «pochi, più vecchi, più poveri», come fu già scritto da Avvenire in un’inchiesta (7 puntate). Correva l’anno 1987…
Tratto da Avvenire.it
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