“Fame di senso”

Da sempre l’uomo ha cercato di comprendere il significato e il senso della vita. E’ un tema ricorrente nelle religioni, nella filosofia, in psicologia e medicina. Nel 1985, in una conferenza al Politecnico di Vienna, lo psichiatra e filosofo Viktor Frankl così si espresse: «Non si è affamati soltanto di pane, ma anche di senso. Ci si preoccupa troppo poco di quest’aspetto nello stato sociale odierno» (V. Frankl, Logoterapia. Medicina dell’anima), un’affermazione che ricalca l’evangelica affermazione “non di solo pane vive l’uomo” (Mt 4, 4). Centrale nell’uomo è il bisogno di dare un senso, un significato, un valore a quanto ci si conquista con il quotidiano vivere. In ultima analisi il dare un senso alla vita, si configura come possibilità di vivere in armonia con il creato, con il mondo con il prossimo attraverso un progetto che ha significato per la propria vocazione del vivere.  Il senso della vita passa, quindi, attraverso il senso che si dà alle cose materiali e immateriali che siano. Le cronache quotidiane riportano eventi che interessano adolescenti, giovani e adulti i cui comportamenti sono espressione di una marcata violenza verso l’altro; una violenza che tradisce un marcato vuoto interiore che trova compensazione nella violenza fisica e virtuale, nelle dipendenze tecnologiche, nelle perversioni sessuali, nelle depressioni esistenziali ecc. malauguratamente sempre in aumento nella popolazione odierna. Duole constatare che alla luce di queste manifestazioni di base vi è un vuoto che non riempie di senso l’esistenza.

E’ probabile che in una società dove è stato fatto credere di potere raggiungere tutto, dal potere del successo al soddisfacimento dei propri desideri infantili, l’uomo è finito nel credere che il senso della vita sia comprare la felicità. Credere in ciò dà solo un’apparente senso di stabilità e difatti una pandemia da Covid-19, come quella che stiamo vivendo mette a rischio non solo le certezze fisiche ma anche quelle esistenziali già precarie di per sé. Nell’attuale mondo occidentale l’incertezza esistenziale ha un movente che affonda le radici in quei comportamenti che sono produttori di noia. In ultima analisi sembra che l’uomo del terzo millennio, se vuole fronteggiare le crisi, deve trovare un’alternativa dentro di se; dare senso alla vita. Per troppo tempo ci si è dedicati ad attività privi di valore, privi di significato, dove si sono svolte professioni e attività lavorative non corrispondenti alla propria vocazione pagando a caro prezzo con la nevrosi da mancanza di vocazione (Riccardi P., Ogni vita è una vocazione; per un ritrovato benessere. Ed. Cittadella Assisi 2014).

Il senso non è un concetto astratto è estremamente concreto nel qui ed ora, e lo si può trovare nel significato che diamo a quello che facciamo e per come lo facciamo. I tanti disagi esistenziali e psicopatologici che vanno dall’isolamento, alla depressione, alla dipendenza e alla violenza sono l’espressione di un marcato vuoto interiore dove la vita non brilla di senso perché quello che facciamo non appaga interiormente. E’ necessario un cambio di mentalità che riconosca nelle patologie e disagi esistenziali l’annidarsi di una mancanza di valori e tradizioni che non orientano l’agire umano. In mancanza dei quali l’uomo di oggi non agisce in base a quello che è ma in base a quello che gli dicono di fare (totalitarismo) o in base a quello che fanno tutti (conformismo).

Precisamente, scrive lo psichiatra Viktor Frankl: «la ricerca di senso ha un orientamento […] è diretta verso quei valori che ogni singolo uomo ha da realizzare nell’unicità della propria esistenza e nella singolarità del proprio spazio vitale» (V. Frankl, Logoterapia. Medicina dell’anima) ed ognuno è invitato a rispondere personalmente e con responsabilità.

Pasquale Riccardi D’Alise

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