In Venezuela le madri abbandonano i figli perché non possono sfamarli

«La gente non riesce a trovare da mangiare. Non hanno di che sfamare i figli. Per questo li abbandonano: non perché non gli vogliano bene, ma proprio perché gliene vogliono».

In Venezuela manca tutto, dal cibo alle medicine. A causa della folle politica del dittatore Nicolás Maduro larghe fasce della popolazione rischiano di morire di fame e già quattro milioni di persone sono scappate dal paese, che pure vanta le riserve petrolifere più vaste del mondo. Sopravvivere è diventato così difficile che sono in aumento le famiglie costrette ad abbandonare i figli. «La gente non riesce a trovare da mangiare. Non hanno di che sfamare i figli. Per questo li abbandonano: non perché non gli vogliano bene, ma proprio perché gliene vogliono», dichiara al Washington Post Magdelis Salazar, assistente sociale venezuelana.

Ottenere cifre ufficiali sul fenomeno è impossibile, dal momento che il Governo non vuole ammettere di essere in crisi. Ma il caso di Fundana, orfanotrofio non profit aperto nel 1991 nel sud della capitale Caracas, aiuta a gettare un po’ di luce. Nel 2017 ben 144 famiglie venezuelane hanno chiesto a Fundana di prendersi cura di almeno un loro figlio, contro le 24 del 2016. La quasi totalità di queste ha parlato di difficoltà economiche per motivare la richiesta.

«Non sapevo cos’altro fare», racconta piangendo Angélica Pérez, madre 32enne di tre bambini. Dopo aver perso il suo lavoro di sarta pochi mesi fa, ha usato tutti i soldi che le rimanevano per curare la malattia del figlio più piccolo di appena tre anni. Agli operatori di Fundana ha chiesto di prendersi cura temporaneamente dei suoi tre figli (di 3, 5 e 14 anni) per darle il tempo di andare nella vicina Colombia a trovare un lavoro per mettere insieme un po’ di soldi. L’orfanotrofio di solito accetta di tenere i bambini fino a un anno prima di renderli disponibili per l’adozione. «Voi non sapete che cosa significa vedere i propri figli affamati. Non ne avete idea. Mi sento responsabile, sento di essere colpevole. Ma ho provato qualunque cosa. Non c’è lavoro e loro dimagriscono di più ogni giorno che passa. Me lo dica lei: che cosa dovrei fare?». Secondo la Caritas, il 71 per cento dei bambini sotto i cinque anni sono malnutriti.

Ma c’è anche chi abbandona i figli agli angoli delle strade. Una bambina di tre anni accolta da Fundana è stata trovata a settembre alla stazione: di fianco a lei una sacca di vestiti e una lettera: «Vi prego, date da mangiare a mia figlia». Nel 2017 otto bambini sono stati abbandonati in ospedali o altre strutture pubbliche nel distretto di Sucre della capitale, contro i quattro del 2016. Altri nove sono stati lasciati in un centro statale che si prende cura di minori l’anno scorso. Nel 2016 non c’era stato invece neanche un caso.

Un funzionario che si occupa della cura dei minori a El Libertador, una delle aree più povere della capitale, afferma che la situazione è  «catastroficaAbbiamo enormi problemi. Il numero dei bambini abbandonati è di gran lunga aumentato. Il punto non è solo che sono di più rispetto a prima, ma che hanno maggiori problemi di salute e denutrizione. E noi non riusciamo a prenderci cura di tutte queste persone».

Leonardo Rodríguez, che gestisce un network di 10 orfanotrofi in tutto il Venezuela, spiega che fino a qualche anno fa i centri ospitavano bambini abusati in famiglia. Ora invece «almeno due madri disperate a settimana» chiamano chiedendo che vengano presi i figli per l’impossibilità di sfamarli. «Le richieste sono così tanti che in alcuni istituti abbiamo le liste di attese». Fundana ha aperto l’anno scorso un secondo orfanotrofio nella capitale con fondi privati, ma i posti non bastano. Per non abortire, molte donne in gravidanza chiedono ancora prima della nascita dei figli di poterli dare in adozione. Proadopcion, tra le organizzazioni più grandi del Paese che si occupano di adozione, ha ricevuto l’anno scorso tra le 10 e le 15 richieste al mese, rispetto a una o due nel 2016. «Abbiamo dovuto respingere molte mamme. Ci dispiace, ma sono troppe».

Leone Grotti | Tempi.it

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