Lunedì letterario: “Aggiornare” il concetto di laicità

88-7016-529Libera chiesa in libero stato?, a cura di Elena Bein Ricco, Torino Claudiana 2005

Recensione di Stefano Molino, DiRS-GBU

Il testo curato da Elena Bein Ricco raccoglie cinque articoli scritti da diversi studiosi. Le riflessioni sono tutte incentrate sul problema della laicità, ma si propongono riconsiderarla alla luce del nuovo peso delle religioni sulla scena pubblica dopo l’11 settembre. Per quanto il testo abbia già otto anni, i recenti avvenimenti inerenti a quel fenomeno chiamato “primavera araba” ripropongono il tema del rapporto religione e politica, e ne rendono la lettura attuale.

Nel primo articolo, scritto dalla stessa E. Bein Rico, l’autrice prende atto della necessità di aggiornare il modello classico di laicità, improntato alla separazione chiesa stato ed elaborato da autori come Locke e Vinet che vedono nelle chiese società private tra le quali lo stato si pone come garante neutrale dei diritti di tutte e della loro equipollenza. Questo modello, fondato sulle nozioni di coscienza e di patto, ha profondamente influenzato le teorie contrattualiste dello stato moderno, ma ha anche avuto come conseguenza la demarcazione tra sfera politica e privata, relegando in quest’ultima gli affari religiosi. Considerato il risveglio identitario e religioso in risposta alla globalizzazione che caratterizza le società post-moderne, ed il conseguente crescere di fondamentalismi ed integralismi, questo modello si rivela, secondo l’autrice, mancante: se da un lato è utile a ribadire l’eguaglianza tra le diverse confessioni è dall’altro incapace di rispondere al bisogno identitario proprio dell’attuale multiculturalismo.

La proposta della Bein Ricco consiste nell’integrare il modello classico della laicità con una forte spinta al riconoscimento e quindi al confronto delle diverse religioni presenti nella società civile prendendo come riferimento la Carta Costituzionale. Questo confronto non sarebbe generico perché basato su questa Carta e perché come metodo procedurale assume che tutti coloro che partecipano al discorso pubblico devono avere l’opportunità di annunciare il proprio punto di vista e di far valere le proprie opinioni con l’unica forza del convincimento razionale. L’integralismo sarebbe stemperato dal vedersi confrontato con altre posizioni e dal doversi giustificare in maniera razionale e non assertiva. Questo modello conserva dunque l’equipollenza delle religioni davanti allo stato, ma reinserisce le religioni nella sfera politica, come anche Habermas propone dopo l’11 settembre. Il prerequisito per questo confronto è la consapevolezza della relatività e limitatezza delle proprie posizioni, anche in ambito religioso. La proposta è quindi quella di uno stato laico e non etico che consulta le diverse opinioni e non ne costringe nessuna e che passa da una concezione della libertà negativa, vista come una difesa dello stato e la possibilità di godere dei propri diritti in privato, ad una concezione positiva, vista come partecipazione.

Il secondo contributo, dal titolo Intorno alla laicità in Europa è opera di Biagio de Giovanni e fa riferimento soprattutto alla Costituzione Europea. L’autore si dice felice dell’omissione della formula che avrebbe voluto far riferimento alla radici cristiane dell’Europa perché la desacralizzazione e la separazione tra Dio e Cesare sono elementi intrinseci al messaggio cristiano. Tuttavia, problematizza lo status attuale del discorso sulla laicità, e si chiede se essa non venga talvolta confusa con una forma di vago agnosticismo e di rifiuto di pronunciarsi sul piano dei valori. Avverte in questo un rischio, soprattutto nel confronto con un Islam radicale che invece propone in modo forte i suoi valori, e segnala proprio nel concetto di laicità un elemento tipicamente europeo capace di arginare tendenze anti-democratiche. La laicità, recuperata come elemento fondante dell’Europa moderna, diventa quindi asse portante della politica, dell’affermazione dei valori costituzionali e delle istanze democratiche.

Il terzo articolo del libro, L’Islam, i musulmani e il dialogo interreligioso esprime il punto di vista islamico moderato, quello di Moustafa El Ayoub. L’autore parte dalla costatazione che, sul piano teologico, il Corano incoraggia il confronto con altre religioni a patto di non perdere la propria identità. Individua nel timore di perderla un limite che definisce diversi schieramenti all’interno dell’Islam stesso, evidenziando come prima del problema del dialogo interreligioso si ponga per gli islamici quello del dialogo intra-religioso, in quanto è difficile trovare un rappresentante unico delle diverse correnti di pensiero islamiche. Constata che il problema del confronto si pone in modo forte proprio per l’aumento della presenza islamica in Europa e ritiene che il dialogo vada vissuto non solo sul piano teologico, riservato a pochi acculturati, ma soprattutto su quello quotidiano tra lavoratori, cittadini, alunni, studenti, lavoratori. Proprio questo dialogo eliminerebbe la paura del diverso incoraggiando l’integrazione ed eviterebbe l’esclusione dell’altro per mancanza di conoscenza.

Paolo Naso è autore del quarto contributo del libro dal titolo Gli aggettivi della laicità. L’autore fornisce un quadro esaustivo dei possibili rapporti chiesa stato nell’Europa attuale ed osserva due estremi: quello della Francia in cui lo stato tenta di limitare al massimo l’influenza delle religioni e quello inglese, in cui, proprio per iniziativa del ministero dell’interno, si propone una collaborazione e riconoscimento tra stato religioni. Naso si chiede se quest’ultima istanza sia compatibile con il principio di laicità e trova nell’articolo 52 della costituzione europea una risposta affermativa, in quanto questo articolo chiama in causa proprio le religioni invitandole ad essere riconosciute e a cooperare. L’autore vede in questo articolo un nuovo strumento della laicità che riconosce tutte le chiese equiparandole, e quindi sottraendole da eventuali privilegi nazionali, senza privilegiarne nessuna. A sua opinione questo strumento potrebbe favorire fortemente il pluralismo religioso e consentire a che anche in Europa ci sia quel risveglio del religioso che caratterizza le società americana, asiatica e africana.

Ultimo e più sostanzioso saggio è quello di Sergio Rostagno dal titolo Laicità, Riforma, Etica, dal taglio decisamente teologico e filosofico. Rostagno risponde ad alcune critiche mosse dalla filosofia marxista alla Riforma accusata di porre un grande accento sull’interiorità – quella della fede – e quindi di deprezzare il piano dell’esteriorità – quello delle opere – con un conseguente disimpegno sul piano politico e pratico. L’autore fa notare che, tuttavia, proprio questa distinzione ha posto alcuni capisaldi della modernità, come quello della laicità, e pertanto essa va analizzata meglio. Se nell’ottica di Lutero il bene è accessibile unicamente nella fede, anche la distinzione tra male e bene non è mai pensabile in modo assoluto. Ne risulta una scissione tra fede ed etica, per cui l’etica è sempre relativa, a differenza della fede che coglie l’assoluto. Ma questo non deprezza le opere anzi: queste, per quanto chi le compia non possa mai essere certo del loro bene assoluto, sono necessarie in quanto esercizio di responsabilità ed azione civile per il bene comune: in poche parole sono “laiche”, poiché non servono a salvarsi, essendo la salvezza per fede una partenza e non un arrivo. L’idea luterana per cui l’uomo è sempre simul justus et peccator colloca l’agire umano e tutta la condizione umana nel campo della laicità, intesa come terreno umano in cui ci si confronta ed in cui la scelta religiosa non può mai essere rivendicata come assolutamente giusta in quanto tale. Secondo Rostagno questo non produce incertezza costante in chi agisce, ma al contrario, consapevolezza dei limiti della propria giustizia e quindi necessario appello ad una fede che sostenga l’opera incerta. Questo presupposto fonda il dialogo religioso in quanto la consapevolezza della provvisorietà della propria scelta etica – dettata secondo Rostagno dal vangelo stesso – implica la necessità del confronto con altre scelte. Tutto ciò porta l’autore ad osservare come molti presupposti di questa concezione protestante dell’etica, che egli oppone esplicitamente ad una concezione pietista che invece ricerca assoluti, raggiunge il pensiero e le scelte di molti laici. Conclude il saggio con un confronto tra laici, cattolici e protestanti, per individuare terreni comuni di intesa, ma finisce col sottolineare la legittimità e la differenza qualitativa del riferirsi a Dio nel contesto di una scelta etica: Dio è il garante ultimo della scelta compiuta in buona fede, in quanto depositario del bene dell’assoluto. Egli costituisce quindi l’orizzonte del senso della scelta etica che in una prospettiva esclusivamente laica rischia di diventare fine a se stessa. La laicità è quindi un terreno di confronto comune in quanto l’agire di ognuno non rivendica mai la bontà assoluta.

E’ possibile cogliere, tra questi contributi alcune tendenze comuni ed alcuni elementi di criticità. In primo luogo si osserva da parte della maggior parte degli autori la volontà di “aggiornare” il concetto di laicità, sia pure per vie diverse, operazione necessaria proprio alla luce degli eventi evocati all’inizio. In tutti gli articoli l’aggiornamento pare consistere proprio in uno sforzo verso il dialogo ed il confronto, ed in un riconoscimento istituzionale delle diverse religioni che dovrebbero fuoriuscire da una sfera solo privata e quindi segreta. Si tratta di argomenti pienamente convincenti rispetto ai quali le diverse confessioni religiose hanno molto da guadagnare, ma credo anche da imparare, se sei vuole essere fedeli all’esortazione dell’apostolo ad “essere pronti a rendere conto della speranza che è in” noi. (I Pietro 3,15). Tuttavia a questo proposito, se si parla di superamento del modello classico, si può obiettare che già Vinet parlava di concurrence tra i vari culti, ma è pur vero che le conseguenze di quel modello hanno comportato una privatizzazione della religione.

Un secondo elemento, collegato logicamente al primo, che accomuna i diversi articoli è quello che riguarda la necessità di relativizzare, essendo la pretesa di assoluto un ostacolo al dialogo: la laicità impone equipollenza di punti di vista che invocano l’assoluto, ma che devono riconoscere la propria relatività. Condivisibile anche questa relativizzazione dei punti di vista umani, che di per sé non inficia l’assolutezza di Dio, ma si limita a ribadire la provvisorietà della nostra comprensione.

Terzo punto che in qualche modo sembra preoccupare quasi tutti gli autori è una certa inquietudine su fondamentalismi ed integralismo rispetto ai quali è necessario elaborare politiche e leggi capaci di gestire il fenomeno. Va però detto che questa preoccupazione sembra essere interamente relativa all’integralismo islamico ed alle inerenti politiche islamiste di alcuni stati o gruppi; in questo senso il problema della laicità è certamente implicato, ma sposta l’attenzione su un unico attore della scena religiosa.

Proprio questo ultimo ultimo elemento mi porta ad interrogarmi su alcune mancanze del libro, che non ne compromettono tuttavia il valore, ma che propongono semplicemente alcune piste di ulteriore riflessione. In primo luogo, proprio per la preoccupazione preponderante di poter gestire istanze integraliste e rischiose, sembra mancare una proposta di quella che potrebbe/dovrebbe essere una partecipazione positiva delle diverse religioni al dibattito pubblico. Posto che tutti possono partecipare, e che questa partecipazione può stemperare i radicalismi, in cosa le religioni sono cruciali per le sfide poste dalla post-modernità?

Questa domanda ne comporta una seconda: Di Giovanni osserva che la laicità europea rischia di nutrirsi di un certo agnosticismo incapace di opporsi alle istanze più radicali. Se a questo si aggiunge la richiesta di relativizzazione che accomuna i diversi articoli, ma non quello di Al Youbi, si potrebbe avere l’impressione che l’occidente sia scarsamente equipaggiato per fronteggiare i diversi estremismi di stampo islamista. Certo che una risposta può consistere in una sottolineatura della laicità, come indica lo stesso Di Giovanni, ma sarebbe forse importante sollecitare le diverse religioni stesse a proporre una loro proposta che non si limiti alla mera proclamazione del valore della laicità.

Infine, i diversi interventi paiono accomunati da un certo ottimismo che vede nel dialogo, nel confronto o nel riconoscimento dei culti agito secondo vari canali (costituzione europea, teologia, incontri) uno strumento capace di promuovere o consolidare la laicità. Credo sia lecito nutrire qualche dubbio sui limiti di questo dialogo, anche alla luce degli scarsi risultati che questo ha ottenuto in un paese come l’Italia: il nostro paese, per quanto sia definito di una laicità di relazione, vede ancora una forte ingerenza di un’unica confessione – quella cattolica romana – sulla sfera pubblica, nonché una serie di abusi e privilegi sul piano giuridico in suo favore. Rispetto a questi non sembra che il dialogo abbia fruttato molto. Viene da pensare che anche nei confronti dell’Islam sarà possibile e facile coinvolgere nel dialogo quelle correnti moderate che già vi partecipano, ma più difficile implicare le frange radicali che probabilmente di questo dialogo non desiderano avvalersi.

Ciò detto, non si può che salutare con favore una serie di riflessioni che ripropongono un tema non solo attuale ma, genuinamente protestante nelle sue origini.

Stefano Molino, nato in una famiglia priva di orientamento religioso, è diventato cristiano nell’88 grazie alla testimonianza di alcuni cristiani attivi nel mondo del wind surf. Ha studiato lingue  e linguistica a Pisa e Lione e teologia a Vaux-sur-Seine (Parigi) e Roma. Lavora come professore di francese nelle scuole superiori ed è pastore di una chiesa evangelica libera a Lucca. Ha collaborato in diversi modi con il GBU.  E’ sposato con Kekeli. Hanno un figlio,  Gilles, e sono in attesa in attesa di un nuovo arrivo. Temi di interesse: laicità, teologia sistematica, esegesi.

FONTE

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