L’utero in affitto cela anche truffe. Proprio come una compravendita di oggetti

L’utero in affitto è un barbaro mercato che mercifica i corpi delle donne e riduce i neonati a meri oggetti di compravendita. È una realtà incontrovertibile, che da parte sua Pro Vita & Famiglia evidenzia da anni e che perfino l’Europa – ed è tutto dire – si è spinta a condannare, seppur si sia limitata a farlo solo per il suo sfruttamento e non in toto.

Ciò nonostante, il gigantesco business dell’utero in affitto continua a prosperare, originando situazioni drammatiche, che non fanno che evidenziare quanto quella della surrogata sia un fenomeno da contrastare e sul quale ad avere la meglio è sempre la logica della speculazione.

Va in questa direzione anche una vicenda ricostruita dal Corriere in questi giorni, in un servizio di Monica Ricci Sargentini, la quale ha raccontato la vicenda di Sara e Alberto, nomi di fantasia di una coppia milanese rispettivamente di 43 e 35 anni, con lei che non ha più l’utero e che, pertanto, non può più concepire. Il desiderio di genitorialità è però così forte che i due decidono di intraprendere la strada dell’utero in affitto in un Paese che, soprattutto ultimamente, si è ritagliato amplissime fette di mercato: la Georgia, uno dei pochi Paesi che consente la maternità surrogata internazionale, non a caso Avvenire è arrivato a parlare di nuovo supermarket.

Così, nel 2022, colpita dalle recensioni positive del sito della Clinica Vita Nova a Tbilisi – che vanta 20 anni esperienza -, la coppia decide di procedere, firmando il contratto con l’agenzia. La scorsa estate viene comunicato ai due, al terzo tentativo – grazie agli ovuli forniti da un’altra donna -, che la mamma surrogata ingaggiata è finalmente incinta. Aspetta due gemelli. Per i due la gioia è immensa. Nel febbraio di quest’anno, però, iniziano le brutte sorprese: la mamma surrogata ha la pressione alta ed è in ospedale. Così il 23 dello stesso mese, alla trentaduesima settimana, i gemelli nascono: sono due bimbe, una pesa 1,5 kg, l’altra poco meno di 1,3 kg.

Il parto pretermine rende necessario il ricovero in neonatologia, reparto di cui la clinica di Vita Nuova è però priva. Le bimbe così sono state trasferite al Gudushauri National Medical Center, una clinica perinatale, da dove non saranno dimesse se prima – viene detto alla coppia – non verrà pagata una somma ingente legata al loro ricovero. L’importo è di 12.000 euro, richiesti in contanti. Quando però volano a Tbilisi, i due “genitori” committenti hanno un’altra brutta sorpresa: gli euro richiesti sono saliti a 24.000. Un aumento sospetto, tanto più dopo aver appreso dell’odissea georgiana anche di altre coppie, guarda caso tutte con figli nati prematuri a seguito di maternità surrogata. Sono così coinvolti dalla coppia sia un avvocato, sia la Farnesina, e la vicenda dovrebbe sbloccarsi proprio in questi giorni con una riduzione pattuita a “soli” 19.000 euro del compenso all’ospedale georgiano.

Quale però che sia l’esito di questa sconvolgente storia, una cosa pare tuttavia evidente: l’utero in affitto è una trappola. Lo è anzitutto, come già si diceva in apertura, per i neonati, che sono completamente spogliati della loro dignità di persona e ridotti a merce. Ma lo è anche, oltre che per le gestanti – anch’esse spesso illuse da quattrini facili, prima di ritrovarsi ad essere ingranaggi umani di un meccanismo che di umano ha ben poco -, per le stesse coppie, che da un lato alimentano il barbaro mercato nelle vesti di committenti, e, dall’altro, da questo mercato possono essere a loro volta sfruttate e spremute, come acquirenti da spennare. Un motivo in più, per il Parlamento italiano, per procedere a rendere l’utero in affitto reato universale, senza illudersi che ne possano esistere improbabili varianti solidali né, tanto meno, gratuite.

https://www.provitaefamiglia.it/blog/lutero-in-affitto-cela-anche-truffe-proprio-come-una-compravendita-di-oggetti

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