Natura: Delfini. Persone non umane? Anche loro hanno il diritto di rimanere liberi!

captive_dolphin.jpg.662x0_q100_crop-scaleThe Cove, la baia dei delfini, la baia rossa. Un nome suggestivo per qualche chilometro di costa giapponese che si affaccia sull’Oceano Pacifico, su cui si riflettono i raggi caldi del sole del tramonto. Un nome che evoca spiagge dorate, acque limpide, fondali da esplorare… No, niente di tutto questo. La spiaggia è protetta, e l’accesso proibito. È la baia rossa, rossa del sangue del massacro continuo e costante di cetacei, soprattutto delfini. Quella di Taiji, distretto di Higashimuro, è la baia dove vanno a morire, spinti dalle grandi navi dell’industria della pesca ai cetacei, intrappolati e uccisi a coltellate da piccole barche di pescatori, con un procedimento non necessario e inutilmente crudele. The Cove, omonimo film documentario uscito nel 2009, diretto dal fotografo ed ex direttore di National Geographic Louie Psihoyos e premiato come miglior documentario con l’Academy Award nel 2010, esplora ampiamente le anse della baia e delle assurdità dei comportamenti dell’uomo. La stima dei curatori del film è che ogni anno vengano uccisi più di 23.000 delfini, numero che supera di gran lunga quello delle balene vittime della pesca nell’Atlantico. Non solo. Il documentario mette in guardia anche dal rischio di avvelenamento da mercurio per chi mangia carne di delfino, lanciando un appello straziante per porre fine alle uccisioni di massa di migliaia di cetacei e soprattutto un monito al governo giapponese perché regolamenti e modifiche queste pratiche disumane.

Ed è proprio questa parola, disumane, che torna a farci riflettere, perché associata ad esseri viventi che non siamo abituati a considerare “persone”. È il governo indiano a riportare recentemente sul tavolo la questione, nello specifico il ministero dell’Ambiente e delle Foreste, decidendo di vietare nel Paese la detenzione di delfini in cattività in esercizi di pubblico intrattenimento. La notizia rimbalza su importanti siti e blog attenti al rispetto dell’ambiente e dei suoi abitanti, come Global Voices e Tree Hugger, ma non sufficiente rilievo viene dato dalla stampa internazionale. Nel comunicato ufficiale del Governo indiano si invitano le amministrazioni locali a rifiutare qualsiasi proposta per istituire delfinari (“reject any such proposal for dolphinarium”) che provenga “da qualsiasi persona, organizzazione, agenzia governativa, imprese pubbliche o private e che implichi l’importazione o la cattura di specie di cetacei per scopi commerciali, per parchi di divertimento, per esibizioni pubbliche o private o a scopi di intrattenimento di qualsiasi tipo”.

Il passaggio dibattuto è che si definiscono i delfini come “non-human persons”. È ormai noto – ma forse mai abbastanza – che i cetacei in generale sono animali decisamente intelligenti e sensibili. Molti scienziati che svolgono ricerche sul comportamento dei delfini hanno suggerito che per l’inusuale livello intellettivo (se comparato ad altri animali) i delfini dovrebbero essere considerati “persone non-umane” e come tali dovrebbero godere di diritti specifici. Sarebbe quindi moralmente inaccettabile tenerli in cattività per scopi di intrattenimento, figuriamoci massacrarli selvaggiamente lontani dagli occhi dell’opinione pubblica che come spesso accade in questi casi non vede o non vuole vedere.

Lo sforzo di ri-categorizzazione dei cetacei (delfini, balene, focene, orche) come “persone non-umane” bolliva in pentola già dal 2011, quando in un incontro dell’American Association for the Advancement of Science (Associazione Americana per il progresso della Scienza) un gruppo di filosofi, ambientalisti e comportamentisti tentarono di raccogliere consensi per una Dichiarazione dei Diritti dei Cetacei elaborata dalla comunità scientifica. Nella dichiarazione si evidenziano alcuni punti salienti e fondamentali.

1) Ogni singolo cetaceo ha diritto alla vita.

2) Nessun cetaceo deve vivere in cattività, subire trattamenti crudeli, essere strappato al suo ambiente naturale.

3) Tutti i cetacei hanno diritto a libertà di movimento e permanenza nel proprio habitat.

4) Nessun cetaceo può essere proprietà di enti pubblici, privati o di individui.

5) I cetacei hanno diritto a che il loro ambiente naturale venga protetto.

6) Vanno preservate le dinamiche sociali e relazionali tipiche dei rapporti tra i cetacei.

7) I diritti e le libertà sanciti dalla Dichiarazione dovrebbero essere protetti dalla legge internazionale e nazionale.

Ma cosa significa dire che un animale “ha dei diritti”? Non si tratta di quei diritti positivi cui si fa riferimento quando si parla, ad esempio, di “diritto all’educazione” o “diritto alla salute”. Si tratta piuttosto di uno “stand-alone right”, che ha una propria autonomia e sta in piedi da solo. Non si prospetta nessuna tassazione per procurare ai delfini cibo, rifugio e cure veterinarie. Significa solo impedire che vengano uccisi e fatti soffrire. E’ complicato? Direi di no, anzi, direi che pare del tutto ragionevole. La dichiarazione non sembra essere una proposta sovversiva o particolarmente radicale. E molti studi hanno dimostrato che i cetacei hanno consapevolezza di sé, usano strumenti, cooperano per risolvere problemi, comunicano tra loro utilizzando suoni corrispondenti a nomi propri. Certo definire i cetacei “persone non umane” implica un ragionamento importante su cosa intendiamo con il termine “persona”, concetto al centro del pensiero filosofico e religioso, disegnato da labili contorni. Riserva anche un pensiero particolare alla controversa questione di rispettare e garantire diritti solo a quegli animali che presentano caratteristiche “umane” (intelligenza, interazione sociale, etc.) Ci fermiamo a delfini e balene? E se andiamo oltre, dov’è, se esiste, la linea di demarcazione? Come giustificarla?

Certo è che un aspetto di questa dichiarazione ha effettivamente importanti conseguenze: considerare i cetacei persone non umane significa eliminare tutti gli show marini nei parchi dei divertimenti, liberando i vari Flipper dagli acquari e dagli zoo, luoghi e vite incompatibili con la loro intelligenza e sensibilità. Ma significa soprattutto proibirne il massacro indiscriminato. Un impegno per lo più assunto da organizzazioni ambientaliste note come Greenpeace e meno note come il Ric O’Barry’s Dolphin Project, attraverso azioni di lobbying e di sensibilizzazione, a volte anche attraverso rischiose e accorate battaglie in difesa dei cetacei.

Con questo provvedimento è certo che l’India diventa ora il Paese più grande al mondo ad aver messo fuori legge tale tipo d’intrattenimento, insieme a Cile, Costa Rica e Ungheria.

A quando gli Stati Uniti? La PETA (People for the Ethical Treatment of Animals) sta da tempo dedicando energie a questa battaglia, lavorando ai fianchi i governi e restando col fiato sul collo degli imprenditori che ricavano il loro introito proprio dallo sfruttamento degli animali a scopi di intrattenimento.

A quando l’Europa e l’Italia? I delfinari e i parchi acquatici generano grandi affari e, come sempre in questi casi, gli sforzi degli attivisti si scontrano con gli interessi economici e faticano a penetrare le legislazioni spesso dipendenti da quegli stessi flussi economici che dovrebbero disciplinare. Il 4 luglio ricorre la Giornata mondiale contro la cattività dei mammiferi marini ed è in quell’occasione che è stata presentata la campagna di Lav e Marevivo SosDelfini, che rileva le pessime condizioni di cattività dei cetacei nei delfinari italiani e ne chiede la chiusura. L’ENPA stesso ha presentato una denuncia alla Procura della Repubblica e chiede il ritiro della licenza a Zoomarine. Diciamo di più: secondo un sondaggio realizzato da IPSOS il 68% degli italiani chiede la chiusura dei delfinari, mentre il 96% auspica il divieto, se non almeno una stretta regolamentazione, della cattura di cetacei per esibizioni nei parchi acquatici. Ci chiediamo, come d’altronde spesso in questo periodo, cosa manchi per compiere questo passo.

Da unimondo.org

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