Non abbiate paura di volere bene

Oggi vi sono molti virus psicologici che contaminano e minano la salute mentale, sia dei giovani che degli adulti. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alle crisi dei ragazzi (baby gang, bullismo, cyberbullismo, hikikomoro (sindrome, quest’ultima citata nell’articolo del “Il senso della responsabilità sociale e salute mentale” di P. Riccardi del 27 gennaio 2018 in notiziecristaine.com), né tanto meno far finta di niente di fronte alle insoddisfazioni e alle frustrazioni degli adulti che brancolano nel vuoto di una solitudine imperante. Ci sentiamo confusi, minacciati da un’illusione di felicità che non collima con la realtà. C’è da avere paura. E se ci si scopre senza punti di riferimento la paura si trasforma in terrore. “Non avere paura” deve essere lo slogan di chi vuole vedere la verità, di chi vuole comprender il valore psicologico e spirituale della fede. Non aver paura, un’affermazione che nella bibbia compare 365 volte come i giorni dell’anno, quasi a rammentarcelo ogni giorno. Più direttamente ed esplicitamente Gesù si rivolge agli apostoli, mentre sono in balia delle onde: “Coraggio, sono io, non abbiate paura” (Mt.14,27). Quante volte avremmo voluto sentire il senso di sicurezza, di protezione dal nostro simile che ci tende la mano. Siamo turbati nel cuore quando non abbiamo il senso della fede in Dio e al contempo nell’uomo «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede in me» (Gv 14, 1).

E’ una realtà psicologica che ognuno di noi ha un bisogno di essere “accolto, accarezzato, protetto per sentirsi al sicuro”. L’essere umano struttura la sana personalità attraverso la relazionalità, il dialogo, la presenza dell’altro accogliente. Un bambino si sente al sicuro se vive in un ambiente familiare calmo, tranquillo e capace di rispondere ai suoi bisogni di protezione, ci insegna la psicologia evolutiva. L’assenza o la negazione di una sufficiente qualità di presenza dell’altro contribuisce al disagio altrui. Siamo responsabili gli uni degli altri proprio in virtù dell’importanza della relazionalità dell’uomo. Questo aspetto ci pone una riflessione; il malessere dell’uomo post moderno è in riferimento alla mancanza di affettività reciproca. Con “affettività” si indica l’insieme dei sentimenti e delle emozioni di un individuo (vedi nell’articolo “L’amore come cura delle patologia affettivo relazionali” di P. Riccardi del 22 novembre 2017 in notiziecristaine.com) che incide sulla salute psicologica. Forse che viviamo in una tagliente solitudine mascherata nella presenza dei social net. Più volte ho dovuto rielaborare, come psicoterapeuta, il senso del “mi piace” che riceveva il mio cliente sul suo profilo. Ne parlava come un vanto, eppure soffriva di depressione esistenziale. Viviamo nella costante percezione di un sentirsi soli, e vuoti. Non abbiamo più la fiducia che la persona che ci vive accanto, della porta accanto, dell’amico sul lavoro possa essere rassicurante per noi. E noi per lui. Abbiamo una fame di vivere la vera intimità, familiare, amicale, nelle comunità strette e allargate. L’esperienza dell’intimità è un momento di salute per ognuno di noi. L’intimità ci riporta agli abbracci dell’accoglienza, gratuita, senza condizione come della madre verso il proprio figlio che per naturale conseguenza ama e difende. Anche un gatto diventa una tigre pur di difendere il suo cucciolo. Un esempio, per dire come nella nostra natura di esseri viventi vi sia la motivazione alla cura, che ha la stessa radice di cuore; e solo un cuore aperto è capace di entrare in intimità e godere dei privilegi che questa assicura. Ma abbiamo paura dell’intimità perché ci mette alla prova. Perché stimola un senso di insicurezza nel lasciarsi andare all’altro e allo stesso momento un dare all’altro. La nostra è la società dove il prendere oscura il dare. Gesù Cristo, da profondo conoscitore dell’animo umano ci insegna che «Ciò che si semina si raccoglie». Questo significa che qualunque cosa ognuno di noi faccia gli riornerà. «Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato» (Lettera ai galati 6, 7).

Pasquale Riccardi

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