L’Unicef, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia, ha da poco pubblicato un rapporto intitolato “Nascosta in bella vista. Un’analisi statistica sulla violenza contro i bambini”. Contiene i risultati di un’indagine condotta in 190 stati: è la più grande quantità di informazioni mai raccolta in materia di violenze a minori. I criteri adottati nella rilevazione e nell’analisi dei dati rispecchiano quanto affermato dal Comitato ONU sui diritti dei bambini nel commento n.13 alla Convenzione sui diritti dell’infanzia approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989: “tutte le forme di violenza sui bambini, per quanto lievi, sono inammissibili. La definizione di violenza prescinde dalla frequenza, dalla gravità e dalle intenzioni con cui la violenza stessa viene perpetrata. (…) Il diritto assoluto dei bambini alla tutela della loro dignità umana e della loro integrità fisica e psicologica non può in nessun modo essere intaccato definendo alcune forme di violenza legali e/o socialmente accettate”.
Il rapporto prende dunque in considerazione ogni forma di violenza a cui i bambini sono esposti, nelle varie fasi del loro sviluppo fino all’età di 18 anni, incluse quelle inflitte legittimamente perché ammesse e anzi prescritte in determinati contesti culturali e sociali, come, ad esempio, le punizioni fisiche.
I ricercatori hanno distinto quattro tipi di violenza: la violenza fisica, dalle punizioni corporali alla tortura e a tutte le forme di trattamento crudele, inumano e degradante; quella sessuale, che comprende tutte le attività sessuali imposte ai bambini da persone adulte e da altri bambini, se di età significativamente superiore a quella delle vittime; quella mentale, che include i maltrattamenti psicologici, gli abusi mentali, verbali ed emotivi; e infine la negligenza nel provvedere ai bisogni fisici e psicologici dei bambini e nel proteggerli dai pericoli.
Il rapporto, come dice il suo titolo, descrive in effetti realtà note, quantificandole caso per caso. Ecco alcuni dei dati più sconvolgenti.
Quasi un miliardo di bambini di età compresa tra due e 14 anni, circa 6 su dieci, ricevono regolarmente punizioni fisiche dagli adulti ai quali sono affidati. Nel 2012 circa 95.000 bambini e adolescenti sono morti di morte violenta: un quinto dei casi di omicidio verificatisi quell’anno. Nel 2013 quasi uno studente su tre, di età tra i 13 e i 15 anni, è stato coinvolto in uno o più scontri fisici. In particolare, in Europa e in Nord America, un adolescente su tre, di età compresa tra 11 e 15 anni, ha confessato di aver partecipato a uno o più episodi di bullismo contro compagni di scuola nei due mesi precedenti la rilevazione statistica.
E ancora: 120 milioni di ragazze sotto i 20 anni, una su dieci, hanno subìto prima o poi violenze e abusi sessuali. Una adolescente su tre, di età tra i 15 e i 19 anni, in tutto 84 milioni, ha patito qualche forma di violenza psicologica, fisica o sessuale da parte di mariti o compagni. Quasi un quarto delle ragazze di età tra i 15 e i 19 anni, circa 70 milioni, è vittima di violenze fisiche dall’età di 15 anni.
Uno dei dati su cui il rapporto richiama l’attenzione riguarda il numero di adulti che ritengono necessarie le punizioni corporali per allevare ed educare bene i bambini: tre su dieci. Sulla legittimità di certe forme di violenza, però, il dato più sconcertante, benché non sorprendente, è un altro. Quasi metà delle ragazze tra i 15 e i 19 anni ritiene che, almeno in certi casi, i mariti abbiano il diritto di picchiare le mogli. Se ne dichiarano convinte l’84% delle intervistate in Afghanistan, il 79% nella Repubblica Centrafricana, l’89% in Guinea Conakry, l’83% in Mali, l’81% a Timor-Leste: tutti paesi in cui sopravvivono culture patriarcali, in cui maschi e femmine sono educati a ritenere le donne inferiori, assoggettate agli uomini che le posseggono.
Il rapporto Unicef fornisce anche informazioni sul genere di violenze subite dai bambini nelle diverse fasi del loro sviluppo, così suddivise: prenatale e perinatale, prima infanzia, media infanzia, tarda infanzia e adolescenza. Qui si trova qualcosa che lascia a dir poco senza parole.
“La violenza può colpire il feto nel grembo materno” si legge all’inizio del capitolo dedicato alle violenze prenatali e a quelle subito dopo la nascita. Viene fatto l’esempio del cortisolo (un ormone, n.d.A.) che, se eccessivo, può ridurre la crescita del feto il che favorisce l’insorgere di malattie dopo la nascita. Il rapporto prosegue spiegando che violenze e abusi, mancanza di cure mediche adeguate e scarsa alimentazione durante la gravidanza possono comportare gravi conseguenze per i nascituri: fino all’aborto e alla morte perinatale. Nei casi più estremi – conclude il rapporto – si arriva all’infanticidio selettivo in base al sesso, che colpisce le bambine, frequente nelle società in cui le donne si considerano inferiori agli uomini.
Dunque l’Unicef definisce violenza all’infanzia anche tutto ciò che in qualche modo minaccia i bambini quando ancora sono nel grembo materno e lo condanna senza remissione in ragione di quanto ha stabilito la Convenzione sui diritti dell’infanzia; con una eccezione: l’aborto praticato invocando il diritto delle donne di decidere se e quando diventare madri. A queste condizioni, non è incluso tra le violenze all’infanzia.
Le persone che aderiscono ogni anno alla Giornata mondiale per un aborto sicuro e legale, che ricorre il 28 settembre, sono convinte che qualsiasi impedimento all’aborto rappresenti una intollerabile violenza contro le donne. Molte di quelle persone, se non tutte, condannano disgustate la barbarie degli aborti e degli infanticidi selettivi – quelli praticati in India per evitare l’onere della dote al momento del matrimonio delle figlie e in Cina, dove le bambine si abortiscono e uccidono alla nascita a causa della legge sul figlio unico – considerandoli un esempio estremo di violenza contro le donne.
I redattori del rapporto Unicef condividono evidentemente la stessa, schizofrenica posizione.
di Anna Bono
Fonte: http://www.lanuovabq.it/
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