PERDONO E GIUSTIZIA: PAROLE ANTITETICHE O SINTETICHE|

Leggendo un saggio teologico sul perdono, mi sono imbattuto, colpito dalle sferzanti parole, in uno stralcio di una confessione di un ebreo, Simon Wiesenthal (1), sopravvissuto ai campi di concentramento e noto come “il cacciatore degli Ebrei” per non avere concesso il suo perdono ad una giovane SS morente che glielo chiedeva/invocava per i crimini commessi. Esso suona nel seguente modo:

“…Io avrei dovuto perdonare? O potuto perdonare? E altri avrebbero potuto o dovuto farlo? Oggi il mondo ci chiede di perdonare anche quelli che con il loro atteggiamento continuano a provocarci. Ci chiede di cancellare con un tratto di penna, come se nulla di grave fosse accaduto. E molti di noi che soffrirono in quegli anni di orrore, e ancora legati a volte con i loro pensieri a quell’inferno, restano muti davanti a questa pretesa.

Desta stupore, ammirazione e scandalo il suo rifiuto per non avere concesso il suo perdono ad una giovane SS morente, che glielo implorava per i crimini commessi. Di fronte a siffatti crimini e, generalmente, a comportamenti più veniali ci si chiede: “cosa significa perdonare in senso evangelico e quali effetti etico-spirituali il perdonare produce nell’offeso che perdona l’offensore sia che lo chieda, sia che non sia mai richiesto?

Si impone la necessità di rivisitare il linguaggio evangelico del perdono cristiano per riscoprire il significato autentico secondo il racconto biblico e l’evento cristologico.

Immergendoci nelle acque torbide del nostro sentire e interrogandoci secondo il dettame biblico-evangelico si può dare una risposta al quesito posto da Wiesenthal senza che ci si perda in una retorica romanticizzante (“devi perdonare… sei chiamato a perdonare… Dimentica quello che ti è stato fatto… Lascia perdere… e via dicendo) e senza che vi sia un abuso (“perdonare fino a un certo punto… Se non mi chiede perdono io lo mando a quel paese… Deve strisciare ai miei piedi e deve tirare fuori dalla mia bocca avvelenata il perdono… perché perdonare? Deve subire le pene dell’inferno…”).

LA PROSPETTIVA BIBLICO-TEOLOGICA DEL PERDONO

A. IL PERDONO NELL’AT.

1. IL PERDONO NELLA TORAH.

a. l’aspetto semantico della parola “perdono”.

La parola “perdono” implica l’idea della relazione, una relazione interpersonale: all’interno di una relazione di due persone si può circoscrivere l’esperienza del perdono, richiesto da chi ha offeso e dato con benevolenza da chi ha subito un torto, un danno materiale, psicologico o morale.

Siffatto ordine relazionale è definito nell’AT con la parola ebraica “Berith”, che significa patto o alleanza. Con il Patto o Alleanza si definisce una relazione prima verticale e poi orizzontale, una relazione di Dio con l’uomo e, di conseguenza, una relazione dell’uomo con il suo compagno di umanità. La relazione orizzontale dell’uomo con l’uomo ha la sua ragione d’essere nel vissuto quotidiano della relazione di Dio con l’uomo. Nel cuore della relazione ordinata interpersonale si impone la coscienza del vilipendio della dignità umana, che è stata violata, violentata, infangata.

Un aspetto fondamentale del messaggio biblico è quello della sacralità dell’essere umano: l’uomo ha un valore assoluto, conservandolo nel caso in cui egli si rende protagonista di orribili crimini (cfr. Gen. 4:15).

In Genesi 1:26 fa risaltare la preziosità dell’essere umano in quanto tale: l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio.

Il perdono e la sua concessione postula un’azione destrutturante l’ordine relazionale, richiama in mente la parola “colpa”: essa affiora e smuove la coscienza dell’uomo, ne determina la conoscenza di essa e, di conseguenza, impone l’ammissione della responsabilità. Nell’atto criminoso si registra la volontà dell’uomo nella sua dolorosa e nefasta realizzazione. La Scrittura fa risaltare la libertà e la responsabilità dell’uomo nel commettere azioni lesivi della dignità dell’uomo, vanificando la pretesa scientifica che postula un determinismo neurochimico nelle malevoli azioni umane.

Dal punto di vista del linguaggio, nella Scrittura vengono usati sette parole per definire la parola perdono, di cui tre si registrano nel linguaggio veterotestamentario e quattro in quello neotestamentario.

In ebraico ricorrono le tre seguenti parole: “Kipper”(coprire), “Nasa”(portare, portare via, togliere la colpa), “Salah” (perdonare). In greco, la parola più ricorrente è “Aphesis”, che esprime l’idea di lasciare andare, mandare via, sciogliere.

b. IL SIGNIFICATO BIBLICO DEL PERDONO

Il Pentateuco fa risaltare il senso teologico della pratica etico-spirituale del perdono evangelico. In esso sono contenuti i racconti storici di un gruppo di nomadi, che diventa la nazione d’Israele.

Tale narrazione storica, che è una testimonianza fondamentale dell’esistenza d’Israele come popolo scelto da Jahvè, evidenzia alcuni elementi fondamentali tesi a una corretta comprensione della logica del perdono.

1. LA CENTRALITÀ DEL PATTO

Dio stipula un patto con Israele, caratterizzato dalla legge di Mosè. In questo patto Dio stabilisce ordinamenti etico-spirituali e culturali che Israele ha il dovere di adempiere.

2. IL CONTENUTO DEL PATTO

È una relazione d’amore tra Dio e Israele espresso nella metafora coniugale di Osea e nel Cantico dei Cantici.

3. LA CONDIZIONE DEL PATTO

Il dono della libertà è l’elemento determinante che responsabilizza Israele. Dio ama Israele e vuole essere riamato (cfr. Deut. 6:4-9).

4. LA DRAMMATICITÀ DEL PATTO

La richiesta d’amore da parte di Dio al suo popolo è continuamente disattesa: egli continuamente fallisce nel suo rapporto con il Signore (cfr, Es.32).

5. LA DRAMMATICA TENSIONE TRA PECCATO E PERDONO NELLA VITA DEL POPOLO DEL
PATTO

La conseguenza della disobbedienza d’Israele era il subire l’ira di Dio (cfr. Es.32:7-10).

Tuttavia, in una seconda fase dell’azione di Dio, il perdono sostituisce i propositi di distruzione di Israele (cfr. Es.32: 11-14). Il perdono è un atto caritatevole e benevolo di Dio concesso a Israele nonostante l’azione criminale che il suo popolo ha commesso, è l’evangelo, la buona notizia Che Dio non abbandona Israele, sebbene egli abbia abbandonato Dio. Vi è la mediazione di Mosè nella concessione del dono del perdono da parte di Dio (cfr. Es.32:30-32). Nella dinamica della concessione del perdono di Dio , Israele comunque riceve l’adeguata punizione (Es 32: 26-29). Israele umiliato, punito e perdonato assente alla ricostituzione dell’Alleanza con le due nuove Tavole della Legge (cfr.Es.34:1-3).

Il perdono divino non annulla la responsabilità umana, ma è la condizione che essa viene risvegliata.

Nell’attuazione del perdono divino si stagliano nella vita culturale d’Israele diverse modalità espressive.

1. L’AZIONE SIMBOLICA

Il “Capro Espiatorio” è un espediente simbolico attraverso cui Israele, avendo preso coscienza del proprio peccato, si libera della sua colpa. È un’azione culturale dal sapore magico-sacrale, con cui Israele si affranca dalla colpa, trasferendola dal proprio essere a quello di un animale. Essa è cancellata attraverso l’allontanamento dell’animale o la sua soppressione (cfr. Lv 16:2-22).

2. L’AZIONE DELLA PREGHIERA INDIVIDUALE

Israele sta alla presenza del Signore in atto di preghiera, riconoscendo la propria colpa, invocando il Suo perdono e proclamando la Sua misericordia (cfr. Salmo 51)

3. L’AZIONE LITURGICA

Essa consiste nel confessione nazionale della colpa una volta l’anno, il primo giorno dello Yom Kippur-giorno del grande perdono o espiazione. Israele confessa le sue colpe, invocando la misericordia e il perdono divino. La festa si protrae per dieci giorni, caratterizzati dal riconoscimento delle proprie colpe e dalla richiesta del perdono (cfr. Lv 16:29-34).

4. L’AZIONE ETICA

Essa si basa nella ricostituzione dei rapporti di amore e di giustizia con il prossimo, che sono stati infranti dal peccato (cfr. Is. 1:11-17). Il peccato dell’israelita è cancellato nel momento in cui egli cessa di fare il male e torna ad agire con benignità, cercando la giustizia, soccorrendo l’oppresso, rendendo giustizia all’orfano e difendendo la causa della vedova.

(1) Simon Wiesenthal (1908-2005), intellettuale ebreo austriaco, sopravvisse al lager di Mathausen, divenendo un accanito cacciatore di nazisti, ossia si ingegnò a raccogliere notizie sui nazisti in fuga per portarli in giudizio e condannarli. È autore di diversi testi sull’olocausto, tra i quali “il Girasole” pubblicato da Garzanti, Mi, 2001

Paolo Brancè | Notiziecristiane.com

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